Il contraddittorio endoprocedimentale trova applicazione anche per gli accertamenti c.d. “a tavolino”

11 Aprile 2017

È nullo l'avviso di accertamento emesso dall'Amministrazione finanziaria a seguito di un controllo c.d. “a tavolino” senza la preventiva instaurazione del contraddittorio con il contribuente. L'obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, in quanto principio immanente nell'ordinamento giuridico, posto a garanzia e tutela del contribuente, nonché a presidio di valori costituzionalmente tutelati, oltre che espressione di civiltà giuridica, trova applicazione in tutti gli accertamenti tributari conseguenti a ogni tipo di verifica.
Massima

È nullo l'avviso di accertamento emesso dall'Amministrazione finanziaria a seguito di un controllo c.d. “a tavolino” senza la preventiva instaurazione del contraddittorio con il contribuente. L'obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, di cui all'art. 12, comma 7, L. 27 luglio 2000, n. 212, in quanto principio immanente nell'ordinamento giuridico, posto a garanzia e tutela del contribuente, nonché a presidio di valori costituzionalmente tutelati, oltre che espressione di civiltà giuridica, trova applicazione in tutti gli accertamenti tributari conseguenti a ogni tipo di verifica.

Il caso

La controversia sottoposta all'attenzione dei giudici traeva origine da un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle entrate, a seguito di un controllo c.d. “a tavolino”, ha accertato nei confronti di una Società maggiori ricavi non dichiarati, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. c) e d), D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Avverso l'atto impositivo la Società proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lodi, eccependo, in via preliminare, la nullità della pretesa, in quanto emessa in violazione delle garanzie previste dall'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 e, nel merito, l'insussistenza delle valide ragioni economiche per l'adozione del metodo induttivo in sede di accertamento dei ricavi.

Il ricorso veniva accolto dai giudici di primo grado, i quali, nel rilevare che l'avviso di accertamento era stato sottoscritto da un dirigente c.d. “decaduto” per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, 17 marzo 2015, n. 37, statuivano in ordine all'inesistenza dell'atto impositivo, in quanto “promanante da soggetto privo di necessaria qualifica”. L'Agenzia censurava la sentenza presso la Commissione tributaria regionale di Milano che, aderendo al motivo principale di ricorso, dichiarava la nullità dell'atto impositivo, poiché emesso senza la preventiva instaurazione del contraddittorio con la Società contribuente, in violazione dell'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000.

La questione

La sentenza in esame affronta la dibattuta questione relativa all'ambito di applicazione del diritto alla instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, di cui all'art. 12,, comma 7, L. n. 212/2000.

Come noto, la citata norma prevede che “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”.

Il principale dubbio interpretativo della norma de qua, riguarda la controversa applicabilità di tale principio a tutti gli accertamenti tributari compresi quelli emessi a seguito di indagini c.d. “a tavolino”, ovverosia eseguite presso la sede dell'Ufficio.

Le soluzione giuridiche

Con la sentenza in commento, i giudici milanesi hanno affermato la sussistenza di un generale obbligo all'instaurazione del contraddittorio preventivo applicabile “non soltanto nel caso di contestazione di fattispecie elusive a carico dei contribuenti, ma anche nel caso dei cosiddetti accertamenti a tavolino”.

La Commissione tributaria, aderendo al costante e consolidato orientamento espresso dai giudici comunitari, più volte confermato anche una parte della giurisprudenza di merito, ha rilevato come il contraddittorio endoprocedimentale, in quanto “elemento essenziale e imprescindibiledel corretto svolgimento dell'attività accertativa,trova diretta applicazione ogniqualvolta l'Amministrazione finanziaria adotti un provvedimento potenzialmente lesivo, al fine di consentire al soggetto destinatario dell'atto impositivo di manifestare preventivamente le proprie ragioni.

Il diritto alla preventiva instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale ha trovato definitivo riconoscimento con la sentenza Sopropè, con cui la Corte di Giustizia ha affermato chiaramente che “il rispetto dei diritti di difesa implica, perché possa ritenersi che il beneficiario di tale diritto sia stato messo in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista, che l'amministrazione esamini, con tutta l'attenzione necessaria, le osservazioni della persona o dell'impresa coinvolta” (Corte Giust., 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropé, in curia.eu; Corte Giust., 17 giugno 2004, causa C-30/02, Recheio - Cash & carry, in Racc., 2004, 6051; Corte Giust., 4 luglio 1963, causa C-32/62, Alvis vs. Consiglio CEE, in Racc., 1963, 101; Corte Giust., 24 ottobre 1996, causa C-32/95, Commissione vs. Lisrestal e a., in Racc., 1996, 5373; Corte Giust., 18 dicembre 2008, Corte Giust., 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino international logistics, in curia.eu).

Nel panorama giurisprudenziale italiano l'esistenza di un generalizzato diritto al contraddittorio preventivo è stata confermata anche dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 7 luglio 2015, n. 132.

I Giudici delle leggi hanno rilevato come tale principio riguardi qualsivoglia attività di controllo eseguita dall'Amministrazione finanziaria anche se non espressamente previsto da specifiche disposizioni di legge.

Diverso orientamento è stato espresso, in più occasioni, dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte di Cassazione, con la nota sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, apertamente criticata dai giudici milanesi con la pronuncia in esame, ha limitato l'ambito applicativo del diritto al contraddittorio preventivo ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali e aventi a oggetto tributi c.d. armonizzati (IVA all'importazione, dazi e accise), con esclusione degli atti impositivi emessi a seguito di indagini c.d. “a tavolino”.

In particolare, le Sezioni Unite, sulla base di una interpretazione letterale dell'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, che si riferisce espressamente ad “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, ha affermato l'inesistenza nell'ordinamento tributario di un obbligo generalizzato per l'Amministrazione finanziaria all'instaurazione del contraddittorio con la parte prima dell'emissione dell'atto impositivo.

La sentenza delle Sezioni Unite, che sembrava dovesse dirimere l'annosa querelle giurisprudenziale, è stata sin dal principio duramente criticata da una parte della giurisprudenza di merito, che nell'ottica di valorizzare la collaborazione fra Fisco e contribuente, ha precisato, al contrario, l'operatività della clausola generale del contraddittorio endoprocedimentale di matrice comunitaria, il cui mancato rispetto comporta la radicale nullità dell'atto impositivo.

A conferma dei numerosi dubbi interpretativi in merito alla portata applicativa del principio del contraddittorio endoprocedimentale, a oggi tutt'altro che risolti, si segnala che la Commissione tributaria regionale della Toscana, con l'ordinanza 18 gennaio 2016, n. 736, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, rispetto agli artt. 3, 24, 53, 111, 117 Cost. “nella parte in cui si riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale da cui decorrono 60 giorni per le controdeduzioni, nelle sole ipotesi in cui l'amministratore abbia effettuato un accertamento, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività del contribuente”.

Osservazioni

In attesa della decisione della Corte Costituzionale e nella speranza di un risolutivo intervento normativo, deve riconoscersi alla pronuncia in commento il merito di aver quantomeno offerto un ulteriore spunto di riflessione su un tema di indubbia rilevanza in considerazione delle ricadute pratiche.

La sentenza, infatti, ha posto sotto la lente di ingrandimento le criticità di un orientamento volto a riconoscere una applicabilità “condizionata” del contraddittorio preventivo, in ragione della tipologia di controllo effettuato dall'Amministrazione finanziaria.

Il contraddittorio endoprocedimentale assolve a una duplice funzione di garanzia delle ragioni e del diritto di difesa del contribuente e, al contempo, del corretto svolgimento dell'iter accertativo in un'ottica collaborativa.

La previsione di un regime diversificato per le verifiche c.d. “a tavolino” rispetto a quelle presso i locali ove si esercita l'attività imprenditoriale e/o professionale, comporterebbe una non prevista e ingiustificata disparità di trattamento, in danno al contribuente nei cui confronti la pretesa impositiva sia stata emessa a seguito di un controllo presso l'Ufficio.

In tale senso, assume particolare rilievo la posizione dell'Amministrazione finanziaria, resa nota con la circolare 28 aprile 2016, n. 16/E. Con tale documento di prassi, l'Agenzia delle entrate ha fornito importanti linee guida sul corretto svolgimento dell'attività impositiva, sottolineando la necessità di garantire l'effettiva partecipazione del contribuente nel procedimento accertativo, al fine anche di realizzare una più proficua attività tributaria.

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