Omesso versamento IVA: esclusi i principi Taricco per mancanza di frode

Letizia d'Altilia
11 Maggio 2017

Occorre chiedersi se i principi dettati dalla sentenza Taricco della C.G.UE nei casi di gravi frodi fiscali possano trovare applicazione anche nell'ipotesi di omesso versamento Iva (art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000).
Massima

L'art. 325 T.F.UE, come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, Grande Sezione, Taricco e altri del 8 settembre 2015, C-105/14, non si applica ai reati strutturalmente non caratterizzati da frode, come è quello previsto dall'art. 10-ter del D.lgs. n. 74/2000.

Il caso

Il tribunale di Padova dichiarava non dovesi procedere nei confronti di Tizio, imputato per il reato di cui all'art. 10-ter del D.lgs. n. 74/2000, perché estinto per prescrizione.

Avverso tale sentenza, proponeva ricorso il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia, eccependo, ai sensi dell'art. 606, lett. e) c.p.p., la mancanza di motivazione in ordine alla disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p. che il giudice di merito, nel rispetto dei principi stabiliti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza Taricco e, successivamente, dalla giurisprudenza italiana di legittimità, avrebbe dovuto operare nella fattispecie, in ragione del pregiudizio arrecato dalla condotta contestata agli interessi finanziari dell'Unione a causa della prescrizione.

Viceversa, la difesa dell'imputato eccepiva preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, ritenendo l'insussistenza di qualsivoglia vizio di motivazione, nonché l'indeducibilità di un simile vizio in costanza di una causa estintiva del reato; nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso, deducendo l'inapplicabilità dei principi invocati dal ricorrente:

a) in primo luogo, per l'assenza dei requisiti di gravità e considerevole numero di casi di frode grave;

b) in secondo luogo, per l'intervenuta prescrizione del reato in epoca antecedente alla citata sentenza della CGUE.

La questione

Dalla vicenda appena descritta, emerge la necessità di verificare, anzitutto, l'ammissibilità del ricorso; in secondo luogo occorre chiedersi se i principi dettati dalla sentenza Taricco della CGUE nei casi di gravi frodi fiscali possano trovare applicazione anche nell'ipotesi di omesso versamento IVA (art. 10-ter, D.lgs. n. 74/2000).

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento ai profili di ammissibilità, la Corte di cassazione rileva che, al di là della formale qualificazione del motivo, non v'è alcun dubbio che la questione devoluta riguardi la erronea applicazione degli artt. 160 e 161 c.p. al reato previsto e punito dal citato art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000.

Il ricorso, pertanto, è ammissibile ai sensi dell'art. 569 c.p.p.; sul punto viene, in particolare, richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui in caso di ricorso c.d. per saltum, la Corte di Cassazione deve interpretare la volontà della parte (cfr. Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 1996, n. 4264; Cass. pen., sez. II, 26 novembre 2002, n. 5786; Cass. pen., sez. II, 17 dicembre 2013, n. 1848).

Per il Supremo Collegio, il ricorso è tuttavia infondato nel merito.

Difatti, l'art. 325 T.F.UE, come interpretato dalla C.G.UE, non si applica alle fattispecie di reato strutturalmente non caratterizzate da frode, come quella prevista dall'art. 10-ter, D.lgs. n. 74/2000, così come definita dall'art. 1 della Convenzione elaborata in base all'art. K.3 del trattato sull'Unione europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Lussemburgo il 26 luglio 1995 (c.d. Convenzione Pif), cui fa riferimento, a fini definitori, la giurisprudenza eurounitaria.

A tal proposito, i giudici di legittimità richiamano il passaggio motivazionale n. 41 della sentenza Taricco, in cui viene specificato che la nozione di frode comprende «qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa [...] all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale (dell'Unione) o dei bilanci gestiti (dall'Unione) o per conto di ess(a). Tale nozione include, di conseguenza, le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell'Unione. Questa conclusione non può essere infirmata dal fatto che l'IVA non sarebbe riscossa direttamente per conto dell'Unione, poiché l'art. 1 della Convenzione Pif non prevede affatto un presupposto del genere, che sarebbe contrario all'obiettivo di tale Convenzione di combattere con la massima determinazione le frodi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione».

Rispetto alla sentenza Pennacchini richiamata dal P.G. ricorrente a sostegno dell'invocata disapplicazione delle citate disposizioni in materia di prescrizione, la Corte evidenzia come tale richiamo sia del tutto inconferente, poiché avente ad oggetto un caso di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2, D.lgs. n. 74/2000, integrante un'ipotesi di c.d. frode carosello (cfr. Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2015, n. 2210), diversa quindi dalla fattispecie di omesso versamento Iva sottoposta al proprio esame.

Ciò vale anche per quanto riguarda i procedimenti sottesi alle ordinanze della Corte di cassazione (cfr. Cass. pen., sez. III, 30 marzo 2016, n. 28346) e della Corte di appello di Milano (cfr. sez. II pen., ord. 18 settembre 2015, n. 339), con le quali sono stati rimessi gli atti alla Corte costituzionale, invitandola espressamente ad opporre l'arma dei c.d. controlimiti alle limitazioni di sovranità nei confronti dell'ordinamento europeo, denunciando l'art. 2 della Legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene ordinata l'esecuzione nell'ordinamento italiano del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, «nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325, §§ 1 e 2, T.F.UE, dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla CGE nella sentenza in data 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161 comma 2, c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, comma 2, Cost.».

Per quanto riguarda, invece, il reato di omesso versamento IVA contestato nel caso di specie, la Corte rimarca come la frode non faccia parte degli elementi costitutivi del reato.

Si tratta, infatti, di un delitto che «si consuma semplicemente con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo nemmeno richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto» (cfr. sul punto Cass. pen., ss. uu.,28 marzo 2013, n. 37424).

La fattispecie incriminatrice in parola non richiede, dunque, alcuna indagine sulla corrispondenza tra il debito tributario dichiarato e quello effettivo, rilevando semplicemente la dichiarazione in sé, quale fatto che oggettivamente quantifica l'imponibile e, quindi, la misura dell'inadempimento penalmente sanzionato.

Per tali considerazioni, la Corte di cassazione rigetta il ricorso del pubblico ministero.

Osservazioni

Seguendo il percorso argomentativo della sentenza in rassegna, dovremmo ritenere che esso valga non solo per il delitto di omesso versamento di IVA contestato nel caso di specie ma anche per le altre fattispecie incriminatrici che contengono espressamente il requisito della fraudolenza, come nel caso degli artt. 2, 3 e 11, D.Lgs. n. 74/2000.

Sembrerebbe, dunque, che la Cassazione voglia prendere le distanze da quanto affermato nella precedente ordinanza del 30 marzo 2016 n. 28346, nella cui motivazione si legge che lo stesso concetto di frode grave, suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell'Ue, assunto dalla Corte di giustizia quale presupposto per la disapplicazione dei termini massimi di prolungamento della prescrizione, è da ritenersi integrato, nella prospettiva dell'ordinamento penale italiano, dalle fattispecie che contengono il requisito della fraudolenza nella descrizione della norma penale ma anche dalle altre fattispecie che, pur non richiamando espressamente tale connotato della condotta, siano dirette all'evasione dell'Iva; in tal senso, secondo i giudici di legittimità, militerebbe non soltanto l'osservazione secondo la quale, «opinando in senso contrario, si otterrebbe una irragionevole disparità di trattamento in relazione a condotte comunque poste in essere al medesimo fine illecito, ma, altresì, la considerazione che proprio nelle operazioni fraudolente più complesse ed articolate (come le cc.dd. frodi carosello”, e dunque maggiormente insidiose per il bene giuridico tutelato, le singole condotte, astrattamente ascrivibili alla tipicità di fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza – soprattutto a quelle di cui al d.lgs. 74/2000, artt. 5, 8 e 10-ter –, rappresentano la modalità truffaldina dell'operazione».

Per quel che concerne, in linea generale, l'attendibilità degli esiti che la sentenza Taricco ha riscosso nell'ambito di una buona parte della giurisprudenza nazionale di legittimità (a tal proposito, cfr. Cass. pen., sez. III, 17 settembre 2015, n. 2210; Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2016, n. 7914; Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2016, n. 44584), ci si augura che il rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017, alla Corte di giustizia dell'Unione europea, a seguito delle le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici milanesi e dalla Corte di cassazione, possa, in virtù della portata degli interessi in gioco, essere esaminato il prima possibile, e soprattutto che l'interpretazione correttiva costituzionalmente fornita dagli ermellini possa trovare condivisione anche da parte dei giudici di Lussemburgo.

Fonte: ilpenalista.it

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