L’errore materiale di calcolo può essere rettificato in sede contenziosa

Ignazio Gennaro
15 Ottobre 2015

In caso di errore materiale di calcolo nella dichiarazione dei redditi che incida sull'ammontare della base imponibile o dell'imposta, nulla osterebbe a provvedere alla rettifica anche in sede contenziosa di impugnazione della relativa cartella, anche se sia già scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa.
Massima

Nell'ipotesi di errore materiale di calcolo nella dichiarazione dei redditi che incida sull'ammontare della base imponibile o dell'imposta, agli effetti del rimborso “nulla osterebbe” a provvedere alla rettifica anche in sede contenziosa di impugnazione della relativa cartella, anche se sia già scaduto il termine previsto dall'art. 2, comma 8-bis, D.P.R. n. 322 del 1998 per la presentazione della dichiarazione integrativa.

Ciò in ossequio ai principi di “capacità contributiva” e di buona fede (artt. 53 Cost. e 10 Statuto diritti del contribuente) e stante l'inapplicabilità in sede processuale delle decadenze previste dalle norme amministrative che disciplinano l'accertamento e la riscossione.

Il caso

Una società ha impugnato una cartella di pagamento per IVA e Imposte Dirette anno di imposta 2002, emessa a seguito di controllo automatizzato (art. 36-bis,D.P.R. n. 600/1973; art. 54-bis, D.P.R. n. 633 del 1972) sostenendo di essere incorsa in errore nella compilazione del quadro RS (avendo omesso di esporre dei costi ed errando nella quantificazione del risultato di esercizio) e di aver quindi provveduto a rettificare (entro il quarto anno successivo) con dichiarazione integrativa il 30 dicembre 2006.

I giudici di prime cure, e successivamente anche quelli di appello, hanno rigettato i gravami proposti dalla società ritenendo preclusa ogni rettifica per lo spirare del termine annuale di cui l'art. 2, comma 8-bis cit.

La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza di appello.

La Suprema Corte, sezione Tributaria, investita della controversia, ha ritenuto che “nulla osterebbe”, alla luce dei principi di capacità contributiva e di buona fede (artt. 53 Costituzione e 10 Statuto diritti del contribuente), alla possibilità di correzione degli errori non solo nei limiti previsti dalle disposizioni sulla riscossione delle imposte (art. 38, D.P.R. n. 602/1973) o del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (art. 2, commi 8 ed 8-bis, D.P.R. n. 322 del 1998), ma finanche in sede processuale.

A parere dei Giudici di legittimità “...il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione rispetto a quelle che governano il processo tributario, nonché il rispetto della capacità contributiva, comportano l'inapplicabilità, in tale sede, di decadenze relative alla sola fase amministrativa..”.

La sezione tributaria della suprema Corte, considerata la “duplice chiave di lettura che può avere la questione dei tempi e dei modi per emendare le dichiarazioni fiscali”, ha quindi rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

La questione

La questione ha origine dall'impugnazione di una cartella di pagamento emessa nei confronti di una società a seguito di controllo automatizzato (art. 36-bis, D.P.R n. 600 del 1973; art. 54-bis, D.P.R. n. 633 del 1972) della dichiarazione fiscale 2003 per l'anno di imposta 2002.

La società contribuente ha dedotto, sia in primo che in secondo grado, di essere incorsa in errore nella compilazione del quadro RS e di aver quindi provveduto alla rettifica con dichiarazione integrativa presentata (entro il quarto anno successivo) il 30 dicembre 2006.

I giudici tributari territoriali aditi, sia in primo che in secondo grado, hanno ritenuto preclusa ogni rettifica essendo spirato il termine di cui all'art. 2, comma 8-bis del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (D.P.R n. 322 del 1998).

La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione rilevando di non aver effettuato alcuna compensazione e che pertanto il termine per “emendare” la propria dichiarazione non era quello annuale, bensì quello quadriennale che spirava il 31 dicembre del 2006.

L'impugnabilità della cartella

Con l'ordinanza in commento i Giudici della Suprema Corte, richiamando proprie precedenti statuizioni (Cass. 5947/15 e 1263/14) preliminarmente osservano che “... la cartella emessa a seguito di controllo automatizzato (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis) può essere impugnata, ai sensi dell'art. 19 proc. Trib. non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva ...” in quanto “ ... riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale è esercitata ...”.

Possibilità di emendare la dichiarazione in sede contenziosa

Con riguardo alla possibilità per il contribuente di emendare anche in sede processuale la propria dichiarazione allegando errori di fatto o di diritto incidenti sull'ammontare dell'obbligazione tributaria, i Giudici di legittimità, nel ricollegarsi a propri precedenti arresti, hanno ribadito che la dichiarazione fiscale “...non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione..” ed inoltre che esigenze di mera stabilità amministrativa non “...possono mai comprimere il diritto del contribuente a versare le imposte secondo il principio sancito dall'art. 53 Cost.: tanto in sintonia con la disposizione statutaria dell'art. 10, secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede ...”.

Le soluzioni guiridiche

Sulla base di tali argomentazioni i giudici della Suprema Corte sono quindi pervenuti alla conclusione che “...nulla osterebbe a che la possibilità di emenda, mediante allegazione di errori nella dichiarazione e incidenti sull'obbligazione tributaria, sia esercitabile non solo nei limiti delle disposizioni sulla riscossione delle imposte (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38) ovvero del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2) ma anche nella fase difensiva processuale per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco...”.

Nel rimettere gli atti al primo Presidente, i Giudici della sezione tributaria rilevano che “..il diverso piano sul quale operano...” le norme che disciplinano l'accertamento e la riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, nonché il rispetto del principio della capacità contributiva “...comportano l'inapplicabilità in tale sede, di decadenze relative alla sola fase amministrativa...”.

Secondo i Giudici della Corte di Cassazione quindi le norme amministrative che disciplinano i tempi e le procedure per la riscossione non possono incidere negativamente sul diritto del contribuente a versare imposte comunque in ragione della propria “capacità contributiva” (art. 53 Cost.).

A parere dei Giudici di legittimità della sezione tributaria, infatti, nell'ipotesi in cui il contribuente impugni un atto impositivo emesso sulla base di dati forniti dallo stesso, non si verterebbe in tema di “dichiarazione integrativa”, bensì in ordine alla reale “fondatezza della pretesa tributaria” con la conseguenza che va “...riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della sua dichiarazione ed incidenti sull'obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine annuale previsto per la dichiarazione integrativa...”.

I due orientamenti

Motivando la propria ordinanza di rimessione al primo Presidente, i Giudici della sezione tributaria hanno osservato che sulla questione vi sono stati nel tempo due diversi orientamenti interpretativi seguiti dalla stessa Corte.

Un primo orientamento riconoscerebbe al contribuente, anche in sede contenziosa, la possibilità di emendare eventuali errori che incidano sull'obbligazione tributaria (Cass. 5947/15; 6665/15, 434/15, 26187/14, 18765/14, conf. 3754/14, 2226/11, 22021/06), in quanto incidenti sull'effettiva capacità contributiva e sulla buona fede che deve sempre ispirare i rapporti tra contribuente e fisco (artt. 53 Cost. e 10 Statuto diritti del contribuente).

In evidenza:

Su tale solco interpretativo negli anni si sono succedute una serie di pronunce.

La più recente tra queste la n. 10775/15 secondo la quale è emendabile qualsiasi errore di fatto o diritto contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente in quanto la disciplina amministrativa in materia di accertamento e riscossione rispetto alla disciplina del processo tributario comportano l'inapplicabilità in sede processuale di decadenze riguardanti la fase amministrativa.

Nella stessa direzione si era posta un'altra rilevante pronuncia, la n. 19537/14, la quale aveva riconosciuto “la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione Finanziaria, allegando errori di fatto e di diritto, commessi nella redazione della sua dichiarazione ed incidenti sull'obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine annuale previsto per la dichiarazione integrativa”.

Dello stesso tenore anche la statuizione n. 5852/12 nella parte in cui aveva previsto che la ”... possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull'obbligazione tributaria, ma di carattere meramente formale, è esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa dell'Amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l'integrazione della dichiarazione, (fissato in quello prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo dall'art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, come introdotto dall'art. 2, D.P.R n. 435 del 2001), poiché questa scadenza opera, atteso il tenore letterale della disposizione, solo per il caso in cui si voglia mutare la base imponibile, ma non anche quando venga in rilievo un errore meramente formale”.

Un secondo orientamento interpretativo invece ritiene che “... la richiesta di rimborso presentata ai sensi dell'art. 38, primo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 è idonea, per i periodi anteriori al 1 gennaio 2002, a rettificare in senso favorevole al contribuente la dichiarazione stessa, non essendo previsti, prima di detta data, termini di decadenza per tale rettifica favorevole, diversi da quelli prescritti per il rimborso dalla citata norma...(...)... da un lato l'art. 9, ottavo comma del D.P.R. n. 600 del 1973 (aggiunto dall'art. 14 della Legge 29 dicembre 1990 n. 408, applicabile ratione temporis), il quale prevede un termine per l'eventuale integrazione della dichiarazione, farebbe riferimento soltanto alle omissioni ed agli errori in danno all'Amministrazione e non anche a quelli in danno del contribuente; mentre dall'altro solo con l'art. 2 del D.P.R. 7 dicembre 2001 n. 435, il quale ha modificato – con effetto 1 gennaio 2002 - l'art. 2 del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322, introducendo l'ottavo comma bis, è stata prevista una dichiarazione integrativa per correggere errori od omissioni in danno del contribuente, che va comunque presentata “... non oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo ...” (Cass. civ., sez. trib., 2 marzo 2004, n. 4238).

A parere dei giudici rimettenti il nucleo centrale di tale secondo orientamento, più favorevole al fisco, sarebbe costituito dalla pronuncia della Suprema Corte 4 aprile 2012, n. 5373, in cui si statuisce “non sostenibile” una lettura dell'art. 2, comma 8-bis del D.P.R. n. 322 del 1998 nel senso che “il termine da tale norma previsto rileverebbe soltanto al fine della possibilità di opporre in compensazione il credito risultante dalla rettifica, mentre resterebbe salva la possibilità di operare la rettifica stessa agli effetti del diritto al rimborso” in quanto ”... in base ad essa la facoltà di rettificare la dichiarazione in senso favorevole al dichiarante sarebbe esercitata senza limiti di tempo il che è certamente contrario all'intenzione del legislatore ...

Le conclusioni dei Giudici rimettenti

A corredo della propria ordinanza i Giudici della sezione tributaria rilevano, inoltre, che anche con una recente statuizione (Cass. civ., sez. VI-T, 24 giugno 2014, n. 14294), è stato affermato che “l'atto di rettifica da parte del contribuente inteso a correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito o minor credito di imposta, è ammissibile, ai sensi dell'art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322, solo entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo”.

A conclusione del proprio percorso argomentativo i Giudici rimettenti della V sezione osservano quindi che “... considerata la duplice chiave di lettura che può avere la questione dei tempi e dei modi per emendare le dichiarazioni fiscali e tenuto conto della particolare rilevanza dei principi anche costituzionali e statutari....ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle SS. UU.”.

Osservazioni

Con l'ordinanza in commento i Giudici della sezione tributaria fanno appello alla funzione nomofilattica delle SS.UU. al fine di individuare univocità interpretative con riguardo ai tempi ed ai modi di integrazione delle dichiarazioni fiscali al fine di correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di maggior reddito o di un maggior debito di imposta.

Da una parte infatti l'art. 2, comma 8-bis del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi prevede il termine annuale, coincidente con il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo successivo, o quello del 31 dicembre del quarto anno successivo, nell'ipotesi in cui non vi sia alcuna compensazione.

Dall'altra, la suprema Corte, con i citati arresti, ha affermato il principio di diritto secondo il quale il contribuente, in adesione all'art. 53 della Costituzione, può emendare la propria dichiarazione allegando errori di fatto o diritto commessi nella sua redazione ed incidenti sull'obbligazione tributaria, anche in sede contenziosa.

Risulta ben chiaro il diverso piano sul quale operano le norme che disciplinano le fasi dell'accertamento e della riscossione rispetto a quelle che disciplinano il processo tributario.

La questione da sottoporre alle SS. UU. riveste quindi una importanza di estremo rilievo, se solo si considera che precludere al contribuente la possibilità di correggere in sede processuale eventuali errori nella propria dichiarazione che ne abbiano alterato la base imponibile, significherebbe “comprimerne” il diritto a versare le imposte in ragione della propria “capacità contributiva”, violando così un preciso precetto costituzionale, nonché inficiare la correttezza dei rapporti tra Contribuente e Fisco che il Legislatore vorrebbe invece ispirati a “collaborazione e buona fede”.

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