L'irretroattività espressa dell'abrogazione integrale del regime dei costi “black list” inibisce anche il “favor rei”

Luigi Vele
13 Giugno 2016

Il regime impositivo e sanzionatorio dei costi relativi a operazioni intercorse con soggetti residenti o localizzati in Stati inseriti nella cd. “black list”, è irretroattivo stante quanto previsto, in via generale, dall'art. 11 delle “preleggi” e, in particolare, dalla relativa disciplina transitoria secondo cui la nuova normativa decorre dal 1° gennaio 2016. Tale previsione, avente pari forza di legge, esclude anche l'applicazione del principio del favor rei ex art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997.
Massima

L'abrogazione espressa dei commi da 10 a 12-bis, art. 110, TUIR, recanti il regime impositivo e sanzionatorio dei costi relativi a operazioni intercorse con soggetti residenti o localizzati in Stati inseriti nella cd. “black list”, è irretroattiva stante quanto previsto, in via generale, dall'art. 11 delle “preleggi” e, in particolare, dalla relativa disciplina transitoria secondo cui la nuova normativa decorre dal 1° gennaio 2016. Tale previsione, avente pari forza di legge, esclude anche l'applicazione del principio del favor rei ex art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997.

Il caso

L'Amministrazione finanziaria, dopo una verifica, relativa all'annualità 2003, effettuata nei confronti di una società che aveva omesso di indicare separatamente in dichiarazione i costi afferenti operazioni commerciali intercorse con imprese residenti in Hong Kong, disconosceva la deducibilità di tali componenti in applicazione della normativa sui costi “black list” vigente ratione temporis.

La società impugnava il relativo avviso sostenendo che tale omissione era da considerarsi validamente sanata dalla dichiarazione integrativa, ancorché presentata dopo l'inizio delle operazioni di controllo. La tesi della contribuente era accolta sia in primo che secondo grado.

L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione deducendo, ai fini che rilevano, la violazione di norme di diritto (art. 1, commi 302 e 303, L. n. 296/2006; art. 2, commi 8 e 8-bis, d.P.R. n. 322/1998; art. 8, comma 3-bis, D.Lgs. n. 471/1997 e art. 13, D.Lgs. n. 472/1997) per avere, i giudici di seconde cure, respinto la richiesta dell'ufficio di rideterminazione della sanzione nella misura proporzionale del 10% dei costi originariamente non dichiarati, in sostituzione della più grave sanzione dell'indeducibilità degli stessi, a ciò non ostando la presentazione di una dichiarazione integrativa, anche se avvenuta dopo l'avvio di controlli fiscali.

La società resisteva con controricorso e insisteva, con le note d'udienza, per la conferma della sentenza gravata anche alla luce della sopravvenuta abrogazione del regime dei costi “black list”.

Le questioni

Le principali tematiche giuridiche affrontate sono:

a) la valenza, ai fini di una possibile regolarizzazione, della presentazione di una dichiarazione integrativa ancorché dopo la contestazione di indeducibilità di costi “black list” per la mancata indicazione separata degli stessi in dichiarazione;

b) gli effetti della sopravvenuta abrogazione integrale, con decorrenza dal periodo d'imposta 2016, del regime dei costi “black list” sulle violazioni pregresse, anche in relazione alla norma sanzionatoria ad essa connessa e, quindi, all'applicabilità del principio del favor rei.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento, confermando i principi enunciati su casi simili (Cass. civ., sez. trib., 20 novembre 2015 n. 23745; Cass. civ., sez. trib., 21 luglio 2015 n. 15285; Cass. civ., sez. trib., 24 settembre 2014, n. 20081; nonché, Cass. civ., sez. trib., 4 aprile 2012 n. 5398), la Corte di Cassazione chiarisce in primis che l'omessa separata esposizione, in dichiarazione, delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni con imprese residenti o localizzate in Paesi “black list” costituisce violazione della corrispondente prescrizione normativa e che, dopo la contestazione di una inosservanza o dopo l'avvio di una verifica, è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, posto che, ove ciò fosse possibile, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni comminate dal legislatore (Corte cost. 23 luglio 2002, n. 392).

Lo strumento della dichiarazione integrativa ex art. 2, commi 8 e 8-bis, d.P.R. n. 322/1998 è inoltre inapplicabile ai casi di omessa indicazione separata dei costi prescritta dall'art. 110, comma 11, TUIR, poiché tale omissione non dà luogo ad alcuna rettifica, né in aumento né in diminuzione, del reddito dichiarato. Inoltre, l'inciso “salva l'applicazione delle sanzioni”, posto all'inizio dell'art. 2, comma 8, d.P.R. n. 322/1998, conferma l'estraneità della procedura della dichiarazione integrativa alla materia delle sanzioni, per le quali vige il diverso istituto del ravvedimento operoso di cui all'art. 13, D.Lgs. n. 472/1997.

Consentire, quindi, al contribuente di sanare ex post un'irregolarità mediante presentazione di una dichiarazione integrativa, secundum eventum inspectionis, contrasterebbe manifestamente oltre che con il principio di effettività della sanzione tributaria, anche con i principi di efficienza e buon andamento dell'Amministrazione finanziaria ex art. 97, Cost., in quanto ciò vanificherebbe le attività ispettive svolte dagli Uffici finanziari, con evidenti effetti pregiudizievoli sia sullo scopo della norma che sull'efficacia degli stessi controlli (Cass. civ., sez. trib., 21 luglio 2015 n. 15285).

La Suprema Corte afferma poi che a seguito delle innovazioni apportate dalla L. n. 296/2006, l'esposizione separata dei costi “black list” in dichiarazione è stata derubricata da presupposto di indeducibilità ad obbligo dichiarativo amministrativamente sanzionato, così coniugando la deducibilità dei costi, che il contribuente dimostri effettivi ed inerenti, con il mantenimento, ai fini di controllo, dell'obbligo di indicazione separata in dichiarazione anche se con effetti sanzionatori più circoscritti e comunque applicabili retroattivamente (Cass. civ., sez. trib., 27 febbraio 2015 n. 4030; Cass. civ., sez. trib., 27 marzo 2015 n. 6205; nonché, Cass. sez. V 15 maggio 2015).

Sugli effetti dell'intervenuta abolizione dei commi da 10 a 12-bis dell'art. 110, TUIR, i Supremi Giudici precisano, invece, che nessun rilievo può avere in tali casi lo ius superveniens rappresentato dall'art. 1, comma 142, lett. a), L. n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), stante l'irretroattività dello stesso discendente, oltre che, in via generale, dall'art. 11 della “preleggi”, dalla specifica e pienamente convergente disciplina transitoria di cui al comma 144 del medesimo articolo 1, a mente del quale “le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015”.

Il Supremo Collegio ha epilogato statuendo che alla luce di tale espressa previsione nemmeno può soccorrere il richiamo alla norma di cui all'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997, a mente del quale, “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”, attesa per l'appunto la previsione di espressa e contraria disciplina transitoria, avente pari forza di legge.

Osservazioni

Le questioni esaminate nella pronuncia in commento sono state entrambe risolte in senso favorevole all'Amministrazione finanziaria, tuttavia, se con riguardo alla prima la soluzione giuridica approntata dalla Corte di Cassazione non sorprende siccome in linea con l'orientamento giurisprudenziale oramai maggioritario – secondo il quale la presentazione di una dichiarazione integrativa è inidonea a sanare la violazione dell'obbligo di indicare separatamente in dichiarazione i costi “black list – quanto statuito in ordine alla seconda tematica non solo non stupisce, ma nemmeno convince.

L'iter argomentativo utilizzato per sancire l'irretroattività dell'abrogazione della normativa sostanziale (i.e. art. 110, comma 10 e ss., TUIR) pur risultando, in linea teorica, ammissibile o quantomeno l'unico coerente con il tenore della disposizione che disciplina il regime transitorio – il richiamo all'art. 11 delle “preleggi” sembra, in realtà, pleonastico – non è sufficiente a dissipare le perplessità sulle tesi addotte per giustificare anche l'inibizione dell'applicazione del principio del favor rei in relazione alla sanzione ex art. 8, comma 3-bis, D.Lgs. n. 471/1997.

La Corte di Cassazione deduce tale esclusione dal presupposto che la disciplina transitoria – in forza della quale l'abrogazione del regime dei costi “black list” decorre dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 – integra quella “disposizione di legge”, espressa e contraria, idonea a derogare l'applicazione del principio del favore rei nei casi di “abolitio criminis”, come stabilito dall'incipit del comma 2, art. 3, D.Lgs. n. 472/1997.

La soluzione individuata non convince in quanto, oltre a liquidare la questione in esame con passaggi argomentativi un pò troppo sbrigativi per essere la prima sentenza in materia dopo l'abrogazione del regime dei costi “black list” – anche se un precedente, come obiter dictum, in realtà era già intervenuto (Cass. civ., 1° aprile 2016, n. 6340) – restringe eccessivamente l'ambito di applicazione del principio del favor rei e stride con la ratio sottesa a tale principio.

La locuzione “salva diversa disposizione di legge” con cui inizia il comma 2, art. 3, D.Lgs. n. 472/1997 è stata prevista per consentire al legislatore di derogare all'applicazione del favor rei in caso di abolizione dell'obbligo cui è correlata la sanzione solo in casi eccezionali, ammettere, per contro, che il ricorso a tale principio possa essere inibito semplicemente sulla base di un rinvio normativo generico e a carattere transitorio, ne svilisce non solo l'efficacia, posto che ogni modifica normativa reca una decorrenza, ma anche la ratio siccome, in tale ottica, il principio dell'“abolitio criminis” perderebbe la sua funzione tipica, vale a dire quella di adeguare il trattamento di un soggetto ad una nuova valutazione del legislatore in ordine ai comportamenti (che erano) meritevoli di sanzione.

A favore della conclusione raggiunta dalla Suprema Corte non depone nemmeno la mancata abrogazione espressa dell'art. 8, comma 3-bis, D.Lgs. n. 471/1997, in quanto dall'abolizione integrale della disciplina in questione, incluso l'obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei costi “black list” a presidio del quale è posta la sanzione in parola, consegue comunque l'abrogazione tacita della citata disposizione ai sensi dell'art. 15 delle “preleggi”.

Vale rilevare, in aggiunta, che l'interpretazione della Corte Suprema è addirittura più restrittiva di quella sostenuta dall'Agenzia delle Entrate la quale, proprio in materia di favor rei, ha reiteratamente affermato che l'abolizione della condotta sanzionabile “riguarda tanto le ipotesi in cui la legge sopravvenuta si limiti ad abolire la sola sanzione, lasciando in vita l'obbligatorietà del comportamento prima sanzionabile, quanto quelle in cui venga eliminato un obbligo strumentale e quindi, solo indirettamente, la previsione sanzionatoria” (C.M. n. 180/1998; Agenzia delle Entrate, Circolare n. 4/2016).

Se per i contenziosi pendenti non resta che auspicare un repentino revirement di quanto statuito con la sentenza in esame, per le contestazioni che saranno sollevate in ordine ai periodi d'imposta per i quali il regime dei costi “black list” sarà ancora operativo (fino al 2015) sarà possibile eccepirne l'illegittimità, almeno sotto il profilo sanzionatorio, per violazione del principio del favor rei senza che ciò escluda l'opportunità di domandare, in subordine, la disapplicazione delle sanzioni per le obiettive condizioni di incertezza esistenti sulla portata e l'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce, evidenziando, da un lato, le numerose modifiche (ed i relativi regimi transitori) che hanno interessato, nel tempo e anche di recente, il regime dei costi “black list” fino all'intervenuta abrogazione integrale dello stesso, dall'altro, l'interpretazione sostenuta dall'Amministrazione finanziaria in ordine all'applicazione del principio del favor rei in caso di “abolitio criminis”.

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