Residenza P.F.: la decisione dei giudici piemontesi è in linea con la normativa convenzionale ed europea?
18 Luglio 2017
Massima
La cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione all'AIRE non costituiscono requisito sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio dello Stato, allorché il soggetto mantenga nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell'interessato, ma dovendosi contemperare la volontà individuale con le esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi, per cui il centro principale degli interessi del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi. A tal fine, ciò che conta non è la presenza continuativa in un luogo, quanto la volontà di rimanervi e ritornarvi appena possibile. Il caso
Nel caso oggetto di analisi, l'Amministrazione finanziaria contestava al contribuente l'effettività della residenza estera e accertava una maggiore IRPEF, irrogando le relative sanzioni. A tale conclusione giungeva sulla base di una serie di elementi che, a parere dell'Agenzia, sarebbero stati sufficienti per rinvenire il centro degli interessi economici e commerciali del contribuente in Italia, riconducendone il domicilio nel nostro paese ed ivi assoggettandolo a tassazione. Dai dati in possesso dell'Amministrazione finanziaria risultava che il contribuente avesse percepito ingenti emolumenti per la carica di amministratore, ricoprisse la carica di legale rappresentante e socio in diverse società italiane, fosse intervenuto alla stipula di atti notarili in Italia, intrattenesse numerosi rapporti con operatori finanziari presenti nel territorio dello Stato, avesse collaboratori domestici in Italia e polizze assicurative stipulate con compagnie di assicurazione italiane. Ricorreva contro l'avviso di accertamento il contribuente deducendo che la propria residenza e domicilio fossero da localizzare in via esclusiva in Belgio e tale ricorso veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale. I giudici di primo grado valorizzavano che il contribuente – cittadino belga – avesse trasferito la propria residenza in Belgio sin dal 1990 – essendosi cancellato dalle Anagrafi della Popolazione Residente (APR) ed iscritto all'Anagrafe della Popolazione Residente all'Estero (AIRE) – paese dove aveva localizzato il proprio domicilio, avviato un'attività commerciale in proprio, aderito al sistema previdenziale, sanitario, assicurativo, elettorale, e creato – inoltre – il proprio nucleo familiare. Per contro l'azienda di famiglia – la cui gestione aveva richiesto il compimento delle operazioni contestate dall'Amministrazione finanziaria – era stata ereditata successivamente al trasferimento della residenza e domicilio in Belgio, il che, a parere del ricorrente, rendeva infondata la pretesa impositiva.
Di segno opposto la decisione della Commissione tributaria regionale, qui commentata. Condividendo la pretesa vantata dall'Amministrazione finanziaria, i giudici di secondo grado hanno accolto il ricorso in appello, riformando la sentenza impugnata e attribuendo al contribuente la residenza fiscale in Italia. Tali conclusioni si espongono ad alcune valutazioni critiche di seguito affrontate. La questione
Sebbene la massima disponibile, come sopra riportata, si ponga in linea con l'orientamento giurisprudenziale prevalente, la decisione dei giudici di secondo grado non sembra applicare correttamente i criteri previsti per l'identificazione della residenza o del domicilio, giungendo a collocare la residenza fiscale in Italia pur in presenza di evidenze fattuali che inducono ad una soluzione opposta. Anche convenendo con la conclusione adottata, la sentenza non sembra tenere in adeguata considerazione che il contribuente risulta altresì residente in un altro stato europeo, il Belgio, paese nel quale risulta residente, domiciliato e dove lo stesso svolge un'attività di lavoro autonomo. Da ciò sembra che la decisione in commento non si ponga in linea né con le disposizioni della convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Belgio, né con la libertà di stabilimento prevista dagli artt. 49-55 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (“TFUE”). Le soluzioni giuridiche
1) Residenza fiscale in Italia: normativa, giurisprudenza e prassi a confronto La normativa fiscale italiana considera residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle APR o che hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile (art. 2, co. 2, d.P.R. 22 ottobre 1986, n. 917, “TUIR”). La norma assomma tre caratteri fondamentali, di tipo formale (iscrizione nelle APR), sostanziale (domicilio e residenza), temporale (maggior parte del periodo d'imposta, vale a dire per più di 183 giorni o 184 nel caso di anno bisestile) e territoriale (lo Stato). I tre presupposti sono alternativi e non concorrenti, nel senso che la realizzazione di solo uno di essi è condizione sufficiente e necessaria perché la persona sia considerata fiscalmente residente in Italia. Una volta attribuita la residenza nel territorio dello Stato, le persone fisiche sono assoggettate ad imposizione su tutti i loro redditi, prodotti in Italia e all'estero, in applicazione del principio della tassazione del reddito mondiale. Diversamente accade per i non residenti, per i quali l'imposta si applica soltanto sui redditi prodotti nel territorio dello Stato (seguendo i criteri di cui all'art. 23 del TUIR), in base al principio della territorialità, trovando ciò giustificazione nel loro minore radicamento nel tessuto socio-economico domestico.
Iscrizione nella APR In linea di principio, ogni persona fisica iscritta nelle APR è considerata residente in Italia ai fini fiscali, senza che ne sia ammessa la prova contraria (Cass. civ., 28 ottobre 2015, n. 21970, sent. n. 677 del 16 gennaio 2015 e n. 14434 del 15 giugno 2010). Ciò rende tale previsione difficilmente compatibile con il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), assoggettando ad imposizione anche coloro che sebbene iscritti nella APR siano privi di legami sostanziali – i.e. residenza o domicilio – con il territorio dello Stato, che si troverebbero dunque a concorrere alle spese pubbliche, senza tuttavia poterne trarre un beneficio (G. Melis, Trasferimento della residenza fiscale e imposizione sui redditi, Milano, 2009). Questa visione trova argomento rilevante in ambito internazionale, dove la nozione di “residenza”, accolta dall'art. 4 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, presuppone – come si vedrà – l'adozione di criteri di collegamento che riflettono un effettivo legame fra la persona ed il territorio (P. Piantavigna, La funzione della nozione di “residenza fiscale” nell'Irpef, Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, fasc. 3, 2013). Gli effetti dell'iscrizione nelle APR sono ancor più difficilmente giustificabili se paragonati a quelli derivanti dalla cancellazione dall'APR e successiva iscrizione all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (“AIRE”), che non vale di per sé ad escludere la residenza fiscale in Italia per coloro che conservano nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza, sulla base dei criteri di seguito individuati.
Domicilio Notoriamente, il domicilio viene definito come una res juris, in quanto identificato nel luogo principale in cui si trovano gli affari ed interessi della persona fisica (elemento oggettivo), sulla base dunque di un criterio giuridico che prescinde dalla presenza dell'individuo e che richiede all'interprete una valutazione complessiva degli aspetti patrimoniali, economici, morali, sociali e familiari da cui emerge il legame tra il contribuente ed il territorio dello Stato (Cass. civ., 12 febbraio 1973, n. 435; Cass. civ., 26 ottobre 1968, n. 3586; Cass. civ., 29 dicembre 1960, n. 3322; Cass. civ., 15 marzo 1954, n. 751). Nel luogo – principale ed unico – così identificato deve corrispondere la volontà del soggetto di concentrarvi la sede principale dei suoi affari e interessi, di rimanervi e ritornarvi appena possibile (c.d. elemento soggettivo) (Cass. civ. , 21 gennaio 2015, 961 ). La necessità di contemperare tale facoltà di scelta con il rispetto dell'affidamento dei terzi ha portato talvolta ad annientare l'elemento soggettivo, come quando il domicilio è stato identificato nel luogo in cui il contribuente era presente nel territorio dello Stato non per propria scelta, ma in quanto obbligato da un provvedimento restrittivo della libertà individuale (Cass. civ., 15 giugno 2010, n. 14434 ;CTP Milano,
20 luglio 2011, n. 241 ).Sulla possibilità di includere nella nozione di domicilio anche i rapporti personali oltre che quelli economici, la giurisprudenza si è espressa in modo difforme.
Secondo un primo orientamento, più aderente al tenore letterale della norma e volto a tutelare l'affidamento dei terzi, nell'individuazione del domicilio di una persona fisica assume rilevanza il luogo dove la persona fisica lavora stabilmente piuttosto che quello in cui risiedono i familiari (Cass. civ., n. 24246 del 18 novembre 2011 e Cass. civ., n. 5385 del 4 aprile 2012). Pertanto, quando una persona ha concentrato i suoi affari ed interessi economici in un luogo, fissando in un altro l'abitazione sua e della famiglia, è nel primo che occorre individuare il domicilio; ciò è confermato da recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 6501 del 31 marzo 2015) relativo al caso di una persona che dal 1978 aveva trasferito la propria residenza fiscale in Svizzera, paese di cui aveva la cittadinanza e dove prestava attività di lavoro autonomo, mentre in Italia risultava disporre di un immobile locato ad uso archivio, oltre che di legami familiari in merito ai quali l'Agenzia delle Entrate aveva accertato la residenza fiscale in Italia.
A questo orientamento si contrappone un diverso approccio giurisprudenziale, nazionale e comunitario, che include nella nozione di domicilio anche gli interessi personali del contribuente destinati ad avere preminenza su quelli patrimoniali (CGUE -262/99 del 12 luglio 2001, Louloudakis; Cass. civ., n. 11186 del 7 maggio 2010; Cass., sent. n. 12259 del 19 maggio 2010; Cass., sent. n. 2936 del 5-05-1980; Cass., sent. n. 435 del 12-02-1973). È stato dunque escluso che il domicilio in Italia del contribuente venga meno nel caso in cui lo stesso debba, per ragioni legate alla sua attività professionale, recarsi spesso all'estero (Cass. civ.,sent. n. 11186 del 07 maggio 2010), e tale principio è stato esteso fino al punto di considerare fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all'estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga il "centro" dei propri interessi familiari e sociali in Italia. Indizi del mantenimento in Italia del centro degli interessi familiari e sociali sono stati rinvenuti nella: disponibilità di un'abitazione permanente, residenza in Italia del nucleo familiare del contribuente, titolarità di cariche sociali, detenzione di rilevanti partecipazioni in società residenti di persone o a ristretta base azionaria, iscrizione a circoli o clubs, intestazione di utenze elettriche, idriche, del gas e telefoniche attive, disponibilità di autoveicoli, motoveicoli e unità da diporto, titolarità di partita IVA attiva; nel versamento di contributi per collaboratori domestici (Amministrazione finanziaria, circolari n. 9/E del 26 gennaio 2001 e n. 304/E del 2 dicembre 1997; Risoluzione n. 8/1329 del 14 ottobre 1988 ).Una nozione di domicilio comprensiva degli interessi familiari rischia di creare – come di seguito esposto – una sovrapposizione con la definizione di residenza, rendendo il ricorso a quest'ultimo criterio ridondante.
Residenza La residenza consta di due presupposti, ovvero l'oggettiva permanenza di un individuo in un determinato luogo con un certo grado di stabilità e continuità (elemento oggettivo), accompagnata dall'intenzione del soggetto di rimanere in quello stesso luogo (elemento soggettivo) (Cass., sent. n. 1738 del 14-3-1986; Cass. civ., 5 febbraio 1985, n. 791; Cass. civ., 3 maggio 1980, n. 2936; Cass. civ., 17 gennaio 1972, n. 12). Quale res facti, risulta irrilevante la mera intenzione di risiedere in un determinato luogo, sganciata dall'elemento oggettivo della dimora abituale in quel luogo (TAR Valle d'Aosta, sent. n. 172 del 20 -11-1995). Presupposto oggettivo e soggettivo devono sussistere contestualmente (Cass. civ., 3 maggio 1980, n. 2936; Cass. civ., 26 luglio 1966, n. 2073); il che esclude il venir meno della residenza quando la persona, per questioni di lavoro o per altra causa, si sposti al di fuori del comune di residenza dimostrando l'intenzione di mantenere un legame stabile con tale luogo, ad es., conservandovi l'abitazione e rientrandovi quando possibile. (Cass. sent.n. 1789 del 14-3-1986; Cass. civ., ss.uu., 28 ottobre 1985, n. 5292 ; Cass. civ., 29 aprile 1975, n. 2561). Controversa è la possibilità di attribuire rilevanza – nella determinazione della residenza – ai locali in cui il soggetto esplica la propria attività lavorativa; in tal modo si rischia di creare sovrapposizioni tra i criteri di residenza e domicilio, senza considerare la distinzione effettuata dallo stesso legislatore, che ricorre al concetto di “domicilio” in presenza di interessi economici – ad es. in materia di apertura di successione (art. 343 c.c.) e tutela (art. 456 c.c.) – e a quello di residenza in presenza di interessi extra-patrimoniali, come accade ad es., nelle pubblicazioni matrimoniali (art. 94 c.c.) o nelle procedure per lo stato di adottabilità (art. 12, l. n. 184/1983). (G. Pezzuto, S. Screpanti, Il nuovo regime della residenza fiscale delle persone fisiche, in “Rass. Trib.” n. 2/1999; S. Capolupo, La residenza fiscale, in “il fisco” n. 40/1998; G. Melis, La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell'ordinamento tributario italiano, in “Rass. Trib.” n. 6/1995).
La decisione ha correttamente individuato la residenza fiscale del contribuente? Aderendo all'ampia nozione di domicilio, comprensiva degli interessi patrimoniali e personali, sembra arduo poter considerare fiscalmente residente in Italia un contribuente che – come nel caso di specie – svolge la propria attività professionale in Belgio, paese nel quale ha creato il proprio nucleo familiare e si è integrato nel relativo sistema previdenziale, sanitario, assicurativo ed elettorale; a meno di non aderire a quell'orientamento giurisprudenziale – in contrasto con la giurisprudenza comunitaria – che localizza il domicilio esclusivamente laddove si collocano gli interessi economici del contribuente. Ammessa così la residenza del contribuente in Italia, i giudici della Commissione tributaria regionale avrebbero quantomeno dovuto constatare l'esistenza di una duplice residenza in capo al contribuente e ricorrere all'applicazione delle disposizioni previste dalla Convenzione italo-belga contro le doppie imposizioni. Nell'omettere ciò, la Commissione tributaria regionale ha disapplicato le disposizioni della Convenzione e perpetrato una violazione della libertà di stabilimento a danno del contribuente.
2) Doppia residenza e tie-breaker rules La maggior parte degli ordinamenti statuali adotta un sistema di tassazione ancorato sul criterio personale della residenza, assoggettando a tassazione i redditi ovunque prodotti, il che può condurre a fenomeni di doppia residenza qualora due Stati, in conformità alla normativa interna, considerino la stessa persona residente in ciascuno dei rispettivi territori. A mitigare i fenomeni di doppia imposizione che possono nascere da tali situazioni soccorrono le normative previste dalla legislazione di ciascuno Stato (per l'Italia soccorre l'art. 165 del TUIR) o dalla eventuale convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni se presente, da applicarsi con prevalenza sulle norme nazionali in base all'art. 117 della Cost.
Nel Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni predisposto dall'OCSE (“Modello OCSE”), i fenomeni di doppia residenza sono oggetto di una specifica disciplina che ricorre all'impiego delle tie-breaker rules (art. 4(2) del Modello OCSE). L'art. 4(2) prevede una serie di test, in cui il passaggio a quello successivo è ammesso solo allorché il precedente non conduca ad attribuire la residenza fiscale in uno solo degli Stati coinvolti. In prima battuta, la residenza della persona fisica viene identificata dove la stessa possiede o utilizza un'abitazione permanente, il che esclude i luoghi oggetto di soggiorni di breve durata. Se il contribuente dispone di abitazioni permanenti in entrambi gli Stati contraenti, assume rilevanza il luogo dove il contribuente vanta relazioni personali ed economiche più strette, che determinano il c.d. centro degli interessi vitali (art. 4(2), lett. a). A tal riguardo, rilevano le relazioni familiari e sociali della persona fisica, la sua occupazione, le sue attività politiche, culturali, il luogo d'affari, il luogo da dove amministra i propri beni. Tali circostanze devono essere valutate nel loro complesso. Se una persona fisica non dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti e non sia possibile determinare in quale dei due Stati abbia il centro degli interessi vitali, ovvero non disponga di alcuna abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, la preferenza viene accordata allo Stato contraente del soggiorno abituale (lett. b). A tale riguardo devono essere presi in considerazione non solo i soggiorni che l'interessato effettua nell'abitazione permanente nello Stato considerato, ma anche i soggiorni in qualsiasi altro luogo del medesimo Stato. Sul piano temporale la verifica in ordine al requisito dell'abitualità dovrebbe essere effettuata su un periodo di tempo sufficientemente lungo da consentire di valutare se la residenza in ciascuno dei due Stati possa ritenersi abituale e di determinare al contempo la periodicità dei soggiorni. Qualora l'individuo soggiorni abitualmente in entrambi gli Stati contraenti o in nessuno di essi, la preferenza viene accordata allo Stato di cui la persona fisica abbia la nazionalità (lett. c); infine, se cittadino di entrambi gli Stati o di nessuno di essi, la determinazione della residenza compete alle autorità di ciascuno Stato mediante ricorso alla procedura amichevole ex art. 25 del Modello OCSE (art. 4, paragrafo 2, lett. d).
È evidente che un meccanismo come quello delle tie-breaker rules presuppone che ogni Stato contraente abbia il dovere di riconoscere la residenza così come attribuita dalle autorità dell'altro Stato contraente, che si aggiunge pertanto alla residenza dalle stesse attribuita; diversamente non si creerebbe mai il presupposto per l'applicazione dell'art. 4 qualora le autorità di uno Stato potessero de plano disconoscere l'attribuzione della residenza effettuata dall'altro Stato. In ambito europeo, inoltre, i certificati di residenza emessi dalle autorità fiscali straniere hanno valenza probatoria vincolante ed è onere dell'Amministrazione italiana – che abbia dubbi al riguardo – avviare un contraddittorio con i colleghi stranieri per valutare l'autenticità dell'attestazione. La persona può limitarsi ad assumere la certificazione fiscale rilasciata dal Paese estero quale valido elemento di prova della sussistenza in capo al soggetto estero dei requisiti richiesti dalle disposizioni convenzionali per beneficiare di regimi fiscali di favore (CTR Lombardia n. 2897 del 29 giugno 2015; CTR Piemonte n. 28 del 4 maggio 2012); ogni comportamento volto a disconoscere la documentazione ufficiale proveniente da altre amministrazioni finanziarie costituisce violazione del principio di collaborazione tra amministrazioni fiscali degli Stati aderenti all'Unione Europea previsto dalla Direttiva 77/799 CEE (Agenzia delle Entrate, circolare n. 32/E dell'8 luglio 2011). Così si è pronunciata la Corte di Cassazione che, sulla base dell'efficacia attribuita alla certificazione rilasciata dall'Autorità fiscale olandese attestante la residenza del contribuente in Olanda (Cass. civ., n. 1553 del 3 febbraio 2012), ha escluso l'esterovestizione di una società di diritto olandese, ritenendo tale documentazione una valida prova dell'effettiva residenza all'estero. Peraltro, ogni disconoscimento della residenza fiscale di una persona che svolge un'attività economica priva di vincolo di subordinazione in un altro Stato Membro si pone in contrasto con la libertà di stabilimento sancita dagli artt. 49-55 TFUE, salvo che non ricorrano alcune ipotesi eccezionali e derogatorie.
Esterovestizione e abuso di stabilimento L'intento di realizzare un mercato unico europeo nel quale beni, servizi, capitali e persone possano liberamente circolare, ha indotto i redattori dei trattati europei alla elaborazione delle libertà comunitarie, tra cui si colloca la libertà di stabilimento. In tal modo viene riconosciuta la possibilità a qualsiasi esercente un'attività economica svolta in regime di non subordinazione, in modo continuativo e stabile, di trasferirsi in uno Stato membro diverso da quello di origine per accedere al mercato di quel paese. Destinatari degli artt. 49-55 del TFUE sono i lavoratori autonomi e gli imprenditori, in forma individuale e societaria. L'attuazione di questa libertà impone allo Stato membro di stabilimento di astenersi dal perpetrare disparità di trattamento e a quello di origine di non ostacolarne, disincentivarne o impedire di conservarne lo stabilimento già acquisito in un altro Paese dell'UE (CGUE, C-81/87 del 27-9-1988, Daily Mail and General Trust, punto 16; 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, punto 28; 11 marzo 2004, causa C-9/02 De Lasteyrie du Saillant, punto 42; 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, punto 31; 12 settembre 2006, causa C-194/04, Cadbury Schweppes plc, punto 42).La libertà di stabilimento infatti non si esaurisce nel diritto di stabilirsi una sola volta nell'ambito della Comunità, ma implica il diritto di creare e di conservare più di un centro di attività nel territorio degli Stati membri (C-53/95 Inasti; C-143/87 Stanton; C-107/83 Klopp). Misure nazionali restrittive sono ammesse solo se volte a colpire costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato. La necessità di coordinare l'esterovestizione con la libertà di stabilimento ha indotto la giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione,sentenza 7 febbraio 2013, n. 2869) ad affermare che in ambito comunitario si possa parlare di esterovestizione solamente qualora di configuri un abuso del diritto di stabilimento, il che si verifica ogniqualvolta la forma giuridica di un'operazione non riproduca una corrispondente e genuina realtà economica, indice dell'artificiosità dell'operazione, la cui prova è a carico dell'Amministrazione finanziaria. Indici di artificiosità sono stati individuati nell'ipotesi in cui lo stabilimento in un altro Stato europeo sia stato posto in essere per sottrarsi alle norme sull'esercizio della professione di avvocato, ovvero alle norme che regolano la trasmissione dei programmi televisivi in uno Stato UE (ECJ, C-33/74, del 3-12-1974, Van Binsbergen; C-23/93, del 5-10-1994, TV10).
Nel caso di specie emerge a chiare lettere che il contribuente svolge un'attività professionale fonte di reddito – l'unico reddito disponibile per il contribuente anteriormente all'eredità del patrimonio in Italia – la cui genuinità non è messa in discussione né dall'Amministrazione, né dalla Commissione. Quest'ultima, evidenzia l'irrisorietà del reddito professionale conseguito in Belgio rispetto a quello d'impresa generato nel nostro paese, il che giustificherebbe – in spregio alle disposizioni convenzionali ed europee – la localizzazione della residenza esclusiva nel nostro paese. Ma questa conclusione è contraria alla giurisprudenza comunitaria (che ha tra l'altro esteso la libertà di stabilimento anche a soggetti in perdita fiscale - CGUE, C-446/03, del 13-12-2005, Marks & Spencer).
Osservazioni
La sentenza in commento pare affetta da un duplice errore di diritto. In primis, la CTR di Torino ha ricondotto la residenza del contribuente in Italia, pur in presenza di elementi di prova formali (certificato di residenza delle autorità belghe) e sostanziali (localizzazione del centro degli interessi vitali) che – alla luce della costante interpretazione giurisprudenziale – sembrano collocare la residenza del contribuente – ad abundantiam, cittadino belga – al di fuori dell'Italia. Questo errore avrebbe potuto trovare “correzione” con l'applicazione delle tie-breaker rules, previste dall'art. 4 (2) della convenzione italo-belga contro le doppie imposizioni: la potestà impositiva sarebbe in tal modo stata ricondotta in Belgio, paese dove il contribuente dispone dell'abitazione permanente e del centro degli interessi vitali. Ma ciò non è avvenuto. La residenza belga del contribuente non è stata presa in considerazione ed è mancato dunque il presupposto applicativo delle tie-breaker rules. Ciò, senza che l'Amministrazione abbia provato una condotta abusiva da parte del contribuente, con buona pace del principio dela libertà di stabilimento. Sulla base di questi argomenti si ritiene la sentenza passibile di revisione da parte della Cassazione. Nel mentre, si auspica che le pronunce delle Corti di merito siano più meditate e si attengano ai principi del diritto europeo e convenzionale. |