Indagini finanziarie: valenza retroattiva dei limiti quantitativi

Elisa Manoni
13 Settembre 2017

L'art. 32, comma primo, numero 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, novellato dall'art. 7-quater, comma 1, lett. a) e b) del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, è norma che ha valore procedimentale (perché incide sul controllo della dichiarazione e, più specificamente, sull'acquisizione delle prove), pur in carenza di una espressa previsione, sicché può spiegare gli effetti anche in relazione a rapporti pregressi e non ancora conclusi.
Massima

L'art. 32, comma primo, numero 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, novellato dall'art. 7-quater, comma 1, lett. a) e b) del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, è norma che ha valore procedimentale (perché incide sul controllo della dichiarazione e, più specificamente, sull'acquisizione delle prove), pur in carenza di una espressa previsione, sicché può spiegare gli effetti anche in relazione a rapporti pregressi e non ancora conclusi.

Ne deriva, quindi, che alla luce del novellato art. 32, comma primo, numero 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, non possono considerarsi operazioni imponibili, per quanto riguarda gli imprenditori, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000,00 giornalieri e ad Euro 5.000 mensili.

Il caso

L'Amministrazione Finanziaria provvedeva a notificare alla contribuente, in qualità di titolare di un'agenzia (ditta individuale) di vacanze, avviso di accertamento con il quale veniva rideterminato il reddito di impresa, ai sensi dell'art. 39, comma primo, lett. d) e dell'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600 del 1973 (oltre che dell'art. 51, comma secondo, del d.P.R. n. 633/1972), recuperando a tassazione i versamenti ed i prelevamenti, non giustificati da prova certa, avvenuti nei conti correnti della contribuente e dei suoi familiari.

In particolare, tale ripresa a tassazione derivava dal fatto che, a seguito di un controllo fiscale eseguito nei confronti della contribuente, quale titolare di un'agenzia di vacanze, era emersa documentazione con cui si pubblicizzava l'attività di locazione di alcuni appartamenti. Tuttavia, non si riscontravano fatture di vendita o ricevute fiscali attestanti i corrispettivi percepiti per la presunta attività di intermediazione. L'Ufficio procedeva, quindi, al controllo dei conti correnti della contribuente e dei suoi familiari, rilevando in essi una serie di operazioni di versamento e di prelevamento non imputabili all'attività dell'agenzia di viaggi.

Avverso tale avviso di accertamento, la contribuente proponeva ricorso, che veniva accolto.

In particolare, la Commissione di primo grado aveva affermato come i movimenti bancari contestati dall'Agenzia si riferissero ad incassi dai clienti ed ai successivi versamenti ai proprietari degli appartamenti a titolo di caparra o di saldo per la locazione turistica degli stessi e, dopo aver preso atto che tale attività di intermediazione era gestita in modo abusivo e con totale evasione di imposta, senza il supporto di alcuna scrittura contabile, aveva condiviso le spiegazioni della contribuente.

La Commissione, quindi, riteneva giustificate tutte le operazioni di versamento e di prelevamento, perché in assenza di scritture contabili “risalire alla reale situazione ex ante è obiettivamente difficile”, posto che “la ricorrente agiva in regime di contabilità semplificata”; conseguentemente, riteneva applicabile, all'attività di intermediazione svolta dalla contribuente, la percentuale dell'8%, concludendo per la congruità del reddito dichiarato dalla parte, che si era adeguata allo studio di settore.

Tale sentenza veniva appellata dall'Agenzia eccependo:

a) la violazione dell'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 51, comma secondo, del d.P.R. n. 633/1972, per non avere la contribuente fornito prova analitica (contrariamente a quanto richiesto dai predetti articoli) in ordine agli elementi risultati dai conti correnti bancari. Secondo l'Amministrazione Finanziaria, la decisione di primo grado avrebbe deciso in contrasto con la presunzione legale posti dagli articoli in oggetto, ritenendo giustificati i prelevamenti ed i versamenti sulla base di generica documentazione extracontabile e del fatto che la ditta individuale operava in regime di contabilità semplificata;

b) l'erroneità e contraddittorietà motivazione in ordine al merito del recupero effettuato, per avere la sentenza individuato la provvigione per l'attività di intermediazione immobiliare stagionale svolta nella misura dell'8%, annullando in toto l'atto impugnato ritenendo congruo il reddito che era stato dichiarato in adeguamento allo studio di settore per l'attività di agenzia di viaggi.

Gli eredi della contribuente (che nel frattempo era deceduta) si costituivano in giudizio eccependo, tra l'altro, che i movimenti in uscita non fossero contestabili, avuta considerazione del fatto che da dicembre 2016 (a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 7-quater, comma primo, lettere a] e b], del D.L. n. 193/2016) rientrano nella presunzione legale di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 solo i prelevamenti per importi superiori ad Euro 1.000 giornalieri e, comunque, ad Euro 5.000 mensili e che tale disciplina, essendo più favorevole, sarebbe applicabile alla vicenda in causa.

Le questioni

Occorre dare atto che assumono particolare rilievo, ai fini della decisione, due questioni:

  1. se la contabilità semplificata possa, in qualche modo, incidere sull'onere probatorio a carico del contribuente, quale posto dall'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973;
  2. se il limite agli importi dei prelevamenti, posti come ricavi a base delle rettifiche e degli accertamenti nei confronti degli esercenti attività di impresa, introdotto dall'art. 7-quater del D.L. 22 ottobre 2016, conv. con la Legge 1° dicembre 2016, n. 225, il quale ha apportato modifiche all'art. 32, comma primo, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973, abbia o meno efficacia retroattiva.
Le soluzioni giuridiche

L'incidenza della contabilità semplificata sull'onere probatorio posto a carico del contribuente

La questione dell'incidenza della contabilità semplificata sull'onere probatorio del contribuente è stata particolarmente attenzionata dalla giurisprudenza.

In particolare, con la sentenza 28 gennaio 2015 n. 1560, la Suprema Corte ha confermato la piena applicabilità della presunzione legale posta dall'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973, anche nell'ipotesi in cui il contribuente abbia adottato il regime di contabilità semplificata.

Per tale ragione il Supremo Consesso ha cassato la sentenza impugnata, in quanto “ha completamente omesso la analitica valutazione delle risultanze del conto corrente bancario poste a fondamento dell'accertamento e delle giustificazioni, correlate alle suddette movimentazioni, da parte del contribuente, erroneamente affermando da un lato che il contribuente non poteva fornire più dettagliate informazioni, in conseguenza del regime di contabilità, semplificata, adottato, dall'altro che in caso di dubbio spettava all'Amministrazione finanziaria effettuare ulteriori accertamenti.

Tali statuizioni sono in contrasto con la presunzione legale posta dal d.P.R. n. 600/1973, art. 32, che ha portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell'attività svolta e dalla quale quei redditi provengano e che pone un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, a prescindere dal regime di contabilità”.

In evidenza:

Sul punto, in senso conforme, la Suprema Corte si era già pronunciata con sentenza 27 settembre 2011, n. 19692 (pronuncia poi ribadita con ord. 5 maggio 2017, n. 11102), la quale ha riconosciuto la valenza generale della disposizione di cui all'art. 32, comma primo, numero 2) del d.P.R. n. 600/1973, che riguarda la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell'attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengano.

Prosegue la Corte nell'affermare che “Nè in contrario senso può fondatamente invocarsi il riferimento ai "ricavi" e alle scritture contabili contenuto nella suddetta norma, giacchè esso risulta limitativo unicamente della possibilità per l'ufficio di desumere reddito dai "prelevamenti", non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali le spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. Ciò senza peraltro che l'utilizzo dei termini suddetti possa in alcun modo impedire all'ufficio di desumere per qualsiasi contribuente che i "versamenti" operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscano reddito, dovendosi ritenere tale attività accertativa pienamente consentita dalla norma in esame e assolutamente ragionevole”.

La Cassazione, nella sentenza n. 1560/2015, ha altresì precisato come la prova contraria che il contribuente è tenuto a fornire possa essere resa, sempre in relazione ad ogni singola movimentazione finanziaria, anche tramite presunzioni semplici da sottoporre comunque a verifica da parte del giudice “il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative”.

La CT II° di Trento, con sentenza pubblicata in data 12 luglio 2017, n. 79, ha accolto parzialmente l'appello proposto dall'Amministrazione Finanziaria.

Nel merito la Commissione di seconde cure ha rilevato l'erroneità e la contraddittorietà dell'assunto dei Giudici di primo grado, avuta considerazione del fatto che in sede di dichiarazione per l'anno di imposta 2005, la contribuente si era adeguata alle risultanze dello studio di settore applicato all'attività di agenzia viaggi e non aveva dichiarato redditi derivanti dall'attività di intermediazione.

Pertanto, secondo la Commissione di secondo grado, anche a voler imputare ad incassi per conto terzi/inquilini, l'intero importo dei versamenti contestati sui conti correnti bancari e postali ed anche a voler imputare a pagamenti a terzi/proprietari l'intero importo dei prelevamenti/disposizioni di giro conto contestati, emerge una differenza che, qualora fosse imputata a provvigione, corrisponderebbe alla percentuale del 42 per cento dell'incassato.

In punto di diritto, i Giudici, allineandosi all'orientamento di cui supra si è data contezza (28 gennaio 2015, n. 1560 e 27 settembre 2011, n. 19692) hanno osservato come l'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 sancisca una presunzione di legge relativa in ordine alla determinazione induttiva del reddito; conseguentemente, l'onere probatorio gravante sull'Amministrazione Finanziaria è assolto, ex lege, mediante i dati desumibili dai conti correnti spettando, invece, al contribuente fornire la prova concreta che gli elementi desunti dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili.

Ai fini dell'assolvimento di tale onere probatorio non è sufficiente la presentazione di prove generiche, ma occorre fornire “prove analitiche” (date, importi, soggetti coinvolti), anche mediante presunzioni semplici purchè precise e concordanti, della riferibilità di ogni singola movimentazione ad operazioni già evidenziate nella dichiarazione, oppure l'estraneità delle stesse all'attività di impresa e ciò anche in caso di contribuente in regime di contabilità semplificata.

Sulla scorta di tali principi, la Suprema Corte ha ritenuto che solamente in due casi l'Amministrazione avesse conseguito la prova (anche in via presuntiva) che alcune operazioni fossero state effettivamente poste in essere nei confronti dei proprietari di appartamenti, in quanto gli interessati avevano dichiarato il reddito da locazione ed avevano registrato il relativo contratto. Negli altri casi (in particolare, in riferimento a tre operazioni di prelevamento) tale prova, invece, non era stata raggiunta.

La natura retroattiva dei limiti quantitativi alla presunzione legale dei prelevamenti di cui al novellato art. 32, comma primo, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973.

L'art. 7-quater, comma primo, lettere a) e b) del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1° dicembre 2016, n. 225, ha inserito limiti quantitativi alla presunzione legale di cui all'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973, stabilendo che essa non operi, nei confronti degli esercenti attività di impresa, in riferimento ai prelevamenti o agli importi riscossi nell'ambito dei rapporti od operazioni per importi superiori ad Euro 1.000,00 giornalieri e, comunque, ad Euro 5.000,00 mensili.

La Commissione ha osservato come la portata di tale disposizione si apprezzi nel limite in cui “autorizza” la parte privata, titolare di reddito di impresa, ad effettuare prelievi dal conto corrente fino alla concorrenza dei due citati importi senza dotarsi e conservare documentazione giustificativa.

Ne conseguirebbe, secondo i Giudici, come “la disposizione in esame presenti un primario valore formale-procedimentale per l'Amministrazione, come disciplini un obbligo strumentale, una modalità con cui l'Ufficio può effettuare controlli e rettifiche”, restando “irrilevante che la disposizione sia inclusa nell'art. 32 dedicato all'attività istruttoria dell'Ufficio delle imposte perché tale attività, anche se temporalmente distinta, non costituisce qualcosa di diverso ed autosufficiente rispetto all'attività di accertamento quando è in essa confluita e da essa è stata utilizzata”.

Ne deriva, conclude la Commissione, “che le nuove disposizioni con valore procedimentale (perché incidono sul controllo della dichiarazione e, più specificamente, sull'acquisizione delle prove), pur in carenza di una espressa previsione, "possono spiegare effetti anche in relazione a rapporti pregressi" e non ancora conclusi, quale è quello in esame ove l'atto di accertamento (e il presupposto procedimento), siccome impugnato, non è divenuto definitivo”.

Da quanto statuito in punto di valenza retroattiva della modifica apportata all'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973, dall'art. 7-quater, comma primo, lettere a) e b) del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1° dicembre 2016, n. 225 (che si contrappone al chiarimento reso dall'Agenzia delle Entrate con Circolare n. 8/E del 7 aprile 2017), i Giudici di secondo grado hanno concluso che l'avviso di accertamento originariamente impugnato dovesse essere rivisto includendo nel calcolo dei prelevamenti solo quelli per importi superiori ad Euro 1.000,00 giornalieri e, comunque, ad Euro 5.000,00 mensili.

Osservazioni

Come già supra esposto ed argomentato, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere la piena applicabilità della presunzione di cui all'art. 32, primo comma, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973, anche nell'ipotesi in cui il contribuente abbia adottato il regime di contabilità semplificata.

Occorre, tuttavia, rilevare come vi sia giurisprudenza di merito ed, in particolare, la CTR Piemonte che, con sentenza 3 luglio 2014, n. 873, è giunta ad una conclusione opposta, pienamente condivisibile.

Nella fattispecie oggetto della pronuncia della Commissione Piemontese, in cui i ricavi dichiarati ammontavano ad Euro 332.900, a fronte dei versamenti bancari per Euro 60.437, mentre i costi dichiarati ammontavano ad Euro 282.233, a fronte dei prelievi bancati per Euro 53.862, i Giudici hanno valorizzato la circostanza che il contribuente operasse in contabilità semplificata (non avendo, quindi, obblighi di contabilizzazione dei movimenti finanziari), stabilendo che la presenza di ricavi dichiarati per un importo superiore all'ammontare dei versamenti, “impedisce di considerare, senza ulteriori e diversi elementi di fatti, ricavi i versamenti bancari”.

Pertanto, nel caso in cui il contribuente abbia optato per il regime di contabilità semplificata, allo stesso deve essere riconosciuta la possibilità di dimostrare che le singole movimentazioni siano riconducibili ad elementi attivi e passivi annotati nelle scritture contabili e ciò attraverso il ricorso alle presunzioni semplici.

In tal senso, la citata sentenza della CTR Piemonte, laddove ha affermato che “Se è giusto presumere che ogni incasso e ogni prelievo non giustificato sia riconducibile ad operazioni sottratte all'imposizione fiscale, si deve considerare che la giustificazione principale e preliminare, come, peraltro, ben specificato dalla norma, è proprio l'aver dichiarato ricavi compatibili con i versamenti bancari e prelievi compatibili (come nel caso di specie) con i costi dichiarati.

Le operazioni in contanti per un soggetto che incassa prevalentemente contanti, ove non eccedano i normali parametri di vita non hanno bisogno di giustificazione. Nè si può, come fatto dall'ufficio, ritenere non giustificato un versamento di 3.000 euro, proprio quando dal libro corrispettivi vi sono giorni (ad esempio 14/1/2004 - 8/1/2004 - 4/2/2004) in cui l'incasso è superiore a tremila Euro e quando quasi ogni giorno vi è un incasso (anche in misura rilevante) superiore ai mille Euro, così che è provato che bastino due giorni di incassi per poter versare in banca 3000 Euro) in base alle proprie scritture contabili”.

Sul punto occorre rilevare come anche la Corte Costituzionale, con sentenza 6 ottobre 2014, n. 228, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma primo, n. 2), del d.P.R. n. 600/1973, limitatamente alle parole “o compensi” in riferimento ai prelevamenti dei professionisti, sembrerebbe aver dato rilievo al regime di contabilità semplificata, affermando che “la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria” e, dunque, in un “assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.

Sul fronte dell'applicazione retroattiva della modifica normativa apportata dall'art. 7-quater, comma primo, lettere a) e b) del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1° dicembre 2016, n. 225, all'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973, l'Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 8/E del 7 aprile 2017, ha chiarito come la stessa operi solo in relazione ai fatti intervenuti a partire dal 3 dicembre 2016, data di entrata in vigore della norma.

La giurisprudenza (Cass. Civ., sez. trib., 14 ottobre 2005, n. 19947) e la sentenza pronunciata dalla CT II° Trento, 12 luglio 2017, n. 79 ne è un esempio, è concorde nel riconoscere natura procedimentale a tale disposizione.


Tale conclusione, tuttavia, non sembrerebbe accoglibile avuta considerazione dell'esame del dato normativo.

Posto che in materia tributaria il principio di non retroattività delle leggi, sancito in generale dall'art. 11 delle preleggi, è stato specificamente codificato dall'art. 3 della Legge n. 212/2000, limitatamente ai profili sostanziali del rapporto tributario ed agli obblighi, anche formali, dalla cui violazione possano conseguire effetti negativi per il contribuente, la giurisprudenza, come già accennato, ha sancito l'inapplicabilità del principio di irretroattività a quelle norme tributarie che attengano a profili procedurali e non anche sostanziali del rapporto tributario.

Avuta considerazione di ciò, occorre verificare se l'art. 32, comma primo, n. 2) del d.P.R. n. 600/1973, abbia valenza sostanziale (come ritenuto dall'Agenzia delle Entrate) o procedurale.

Tale norma prevede che i dati acquisiti attraverso le indagini finanziarie possano essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti di cui agli artt. 38, 39, 40 e 41 del d.P.R. n. 600/1973, sicchè è solo dopo aver acquisito tali dati che, attraverso la valutazione degli stessi, l'Amministrazione Finanziaria decide se procedere o meno all'emissione dell'avviso di accertamento sulla base della metodologia accertativa più rispondente alla fattispecie.

Pertanto, giustamente la Commissione di Trento nella sentenza de qua, ha riconosciuto che “l'autonomia delle singole fasi endoprocedimentali si manifesta all'interno del procedimento, ma non al suo esterno, presentandosi esso come un'unica serie di operazioni che culminano nel provvedimento finale.

Tuttavia, non sembrerebbe corretto ritenere che “in tal senso, il d.P.R. n. 600/1973 codifica le norme procedimentali che costituiscono lo strumento normativo attraverso il quale si dispiega l'attività accertatrice dell'Ufficio finanziario”, in quanto la norma in questione (art. 32, comma primo, n. 2 del d.P.R. n. 600/1973) ha introdotto una rilevanza fiscale delle somme (per importi superiori ad Euro 1.000 giornalieri e ad Euro 5.000 mensili) sulla base di un meccanismo presuntivo incidente in maniera significativa sulla ripartizione dell'onere probatorio tra Amministrazione e contribuente, sicchè sembrerebbe più corretto qualificarla, come tutte quelle disposizioni influenti in maniera determinante sulla definizione del rapporto tributario, alla stregua di norma sostanziale.

Ne deriva, quindi, che tale valenza di disposizione sostanziale preclude l'applicazione retroattiva, contrariamente a quanto statuito nella sentenza in oggetto.