Gli investimenti in paradisi fiscali avvalorano il sequestro preventivo
16 Febbraio 2016
La presunzione del reddito derivante da una somma detenuta in un paradiso fiscale può essere un indizio utile ad avvalorare il sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca. A sostenerlo sono i Giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza del 21 gennaio 2016, n. 5733, con la quale hanno respinto il ricorso presentato da un contribuente che contestava il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, comminato dal GIP e confermato anche in secondo grado. Il contribuente, come accertato dai Giudici, aveva omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi del 2011 elementi attivi per 755.097 euro, pari al saldo di un conto corrente presso una banca svizzera.
Secondo la Guardia di Finanza, l'art. 12 del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 prevede che gli investimenti nei paradisi fiscali portano a presumere che siano costituiti da redditi sottratti a tassazione. Ma era possibile disporre una misura cautelare, come nel caso del contribuente, su base di semplici presunzioni? Per la Cassazione, sì. L'accertamento cautelare ha carattere sommario, tale che anche le semplici presunzioni possono far scattare la misura cautelare; e l'art. 12 del D.L. n. 78/2009 afferma che “gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato […] ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione”. Le giustificazioni addotte dal contribuente erano state dichiarate insufficienti per superare la presunzione dal Tribunale di secondo grado, e la Corte ha semplicemente ribadito la sentenza di appello. |