Avviso di accertamento: per la verifica del termine dilatorio fa fede la data di sottoscrizione
16 Giugno 2016
Massima
La violazione del contraddittorio endoprocedimentale garantito dall'art. 12, c. 7, L. n. 212/2000, sussiste quando l'avviso di accertamento risulta emesso (ovvero sottoscritto) prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione indipendentemente dalla circostanza che la notifica sia avvenuta successivamente.
Il caso
L'Agenzia delle Entrate, a seguito di un processo verbale emesso in data 26 ottobre 2011, emetteva un avviso di accertamento in data 21 dicembre dello stesso anno, notificandolo il successivo 28 dicembre. Il contribuente impugnava l'atto di accertamento sostenendone l'illegittimità per il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dall'emissione del pvc. I gradi di merito si concludevano entrambi a favore del contribuente: secondo la CTR, l'Ufficio non aveva rispettato il termine dilatorio di cui all'art. 12, co. 7, della Legge n. 212/2000. Con il successivo ricorso per Cassazione l'Agenzia delle Entrate denunciava la violazione della predetta norma, ritenendo che ai fini del rispetto del termine dilatorio occorre fare riferimento alla data in cui l'atto di accertamento viene portato a conoscenza del contribuente, a nulla rilevando l'epoca di emissione dello stesso, tanto più che il contribuente non ha fatto pervenire alcuna osservazione tra la data dell'emissione e quella della notifica dell'atto.
La Cassazione, con l'ordinanza n. 5361 del 2016, ha rigettato il ricorso, richiamando le conclusioni della sentenza n. 11088 del 2015 secondo cui la violazione del contraddittorio endoprocedimentale previsto dal predetto articolo 12 sussiste quando l'avviso di accertamento risulta emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione indipendentemente dalla circostanza che la notifica sia avvenuta successivamente.
La predetta disposizione parla chiaramente di emanazione e a favore di tale conclusione militerebbero due ordini di ragioni:
Le questioni
La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento attiene all'esatto computo del termine dilatorio di 60 giorni previsto per l'emanazione dell'avviso di accertamento ai sensi dell'art. 12, comma 7 della Legge n. 212/2000. Secondo tale disposizione, “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Per il computo del termine finale si discute se esso coincida con l'emanazione (ovvero la sottoscrizione) dell'avviso di accertamento o se si debba far riferimento alla (successiva) data di notifica del'atto impositivo. I giudici propendono per la prima soluzione ritenendo che, salvo casi di particolare e motivata urgenza, è illegittimo l'avviso di accertamento sottoscritto dal capo dell'Ufficio prima della scadenza del termine di sessanta giorni decorrenti dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, a nulla rilevando che la notifica sia avvenuta solo a termine ultimato.
Le soluzioni giuridiche
L'articolo 12, comma 7, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, prevede che “nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Sulla base del dato testuale della rubrica dell'articolo 12 “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” e del comma 1 del medesimo articolo 12 che esplicitamente si riferisce ad “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” tale disposizione trova applicazione solo per gli avvisi di accertamento emanati a seguito di PVC conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio dell'attività (sul punto si ricorda che con l'ordinanza n. 736/1/2016 la CTR Toscana ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, nella parte in cui riconosce il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludono le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni nelle sole ipotesi in cui l'Amministrazione abbia effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività del contribuente).
Le Sezioni Unite della Corte, con la sentenza del 29 luglio 2013, n. 18184, hanno chiarito che, salvo che sussistano casi di particolare e motivata urgenza, è illegittimo l'avviso di accertamento emanato prima del decorso di 60 giorni dal rilascio, da parte degli organi di controllo, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
La Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra Amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'Ufficio”.
Secondo i giudici di legittimità, possono essere valutate come ragioni di urgenza:
Non sembra invece che le problematiche correlate “alla tempistica dell'attività di polizia tributaria” ed in particolare la chiusura e invio del PVC da parte della Guardia di Finanza, in data incompatibile con il rispetto sia del termine stabilito dall'articolo 12, comma 7, sia del termine di decadenza per l'accertamento, possono di per sé rilevare quali ragioni di urgenza.
Ciò in quanto “il rispetto di un principio partecipativo (art. 12 cit.) non degradabile a questione formale … non consente di affermare le ragioni di urgenza come riferibili a profili o a deficienze organizzative tutte interne allo Stato - amministrazione nelle sue variegate articolazioni (conf. sez. trib., n. 7135/2014)” (Cass. civ., n. 16478/2014).
L'imminente scadenza del termine per l'emissione dell'accertamento non costituisce di per sé una ragione d'urgenza idonea a giustificare l'emissione anticipata dell'avviso di accertamento*. In tal caso, come evidenziato dalla Cassazione, l'Ufficio ha l'onere di provare le ragioni “per le quali non è stato possibile iniziare tempestivamente la verifica fiscale” e che “hanno impedito un tempestivo ed ordinato svolgimento delle attività di controllo entro il sessantesimo giorno antecedente la chiusura delle operazioni” (Cass. civ., n. 3142/2014).
La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto alcune circostanze che possono giustificare la emissione anticipata dell'avviso di accertamento nell'imminente scadenza del termine di decadenza:
Per quanto concerne il computo del termine dilatorio di 60 giorni la Cassazione, con sentenza del 28 maggio 2015, n. 11088, ha affermato il principio secondo cui “ai fini del rispetto del termine di cui all'articolo 12, comma 7, L. n. 212/2000, per data di emanazione dell'atto deve intendersi quella in cui lo stesso è stato sottoscritto dal funzionario munito del relativo potere, ossia, in definitiva, deve intendersi la data dell'atto medesimo”.
Secondo i giudici di legittimità deve ritenersi che “l'atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell'Ufficio – vale a dire "emanato" – in data anteriore alla scadenza del termine di cui all'articolo 12, comma 7, L. n. 212/2000 sia illegittimo, per violazione della disciplina del contraddittorio procedimentale, ancorché la relativa notifica al contribuente sia stata effettuata dopo tale scadenza”. Secondo la Corte, salvo casi di particolare e motivata urgenza, è illegittimo l'avviso di accertamento sottoscritto dal capo dell'Ufficio prima della scadenza del termine di sessanta giorni decorrenti dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, a nulla rilevando che la notifica sia avvenuta solo a termine ultimato.
La CTR Toscana aveva annullato un avviso di accertamento per IRES, poiché emesso in violazione del termine previsto dall'art. 12, comma 7, dello Statuto dei contribuenti: nella specie, infatti, la verifica fiscale presso la sede della società contribuente era terminata il 22 settembre 2010, cosicché l'atto impugnato, datato 18 novembre 2010, risultava emesso ante tempus, a nulla rilevando che il medesimo fosse stato spedito dall'Ufficio finanziario il 23 novembre 2010 e ricevuto dalla contribuente il 25 novembre 2010. I giudici hanno rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate contro la decisione della CTR, poiché si deve ritenere che l'atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell'Ufficio – vale a dire "emanato" – in data anteriore alla scadenza del termine di cui all'articolo 12, comma 7, L. 212/2000 sia illegittimo, per violazione della disciplina del contraddittorio procedimentale, ancorché la relativa notifica al contribuente sia stata effettuata dopo tale scadenza.
Sul piano dei principi generali, la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo, dell'atto amministrativo di imposizione tributaria cosicché, quando l'atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato "emanato".
Una lettura del comma settimo dell'art. 12 della L. n. 212/2000 che ritenga conforme al disposto della norma un atto formato e sottoscritto ante tempus, purché non notificato fino alla scadenza del termine, “risulterebbe distonica”, secondo gli Ermellini, “rispetto alla ratio legis, che è palesemente orientata a garantire l'effettività del rispetto dei diritti di partecipazione del contribuente al procedimento impositivo”.
In definitiva, per i supremi giudici, ancorare il rispetto della prescrizione di cui all'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 al momento in cui l'atto viene sottoscritto, invece che a quello, successivo, in cui esso giunge a conoscenza del contribuente (tramite notifica o in altro modo) appare più rispettoso della ratio della disposizione in esame.
Osservazioni
In senso contrario si segnala la sentenza 9 luglio 2014, n. 15648, con la quale la Cassazione ha affermato che è valido l'accertamento sottoscritto prima dei 60 giorni e notificato successivamente al predetto termine. Secondo i giudici “la finalità sottesa alla norma in esame, che pone il suddetto termine a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, non risulta in alcun modo vanificata laddove, come pacificamente avvenuto nella fattispecie in esame, il provvedimento con il quale è esercitata la pretesa impositiva sia stato notificato con il pieno rispetto del detto termine. L'atto meramente sottoscritto dal responsabile dell'Ufficio rimane, infatti, nella sfera interna dell'Amministrazione e, come tale, è inidoneo a costituire esercizio della potestà impositiva … a fronte della quale il contribuente abbia interesse ad interloquire”. Si segnala altresì che, con riferimento ad un accertamento emanato prima dei 60 giorni dal rilascio del verbale e notificato dopo il predetto termine, la Cassazione, con sentenza 26 novembre 2014, n. 25118, ha ritenuto legittimo l'accertamento, non avendo il contribuente presentato osservazioni o richieste all'Ufficio nei 60 giorni dal rilascio del verbale (e quindi anche nel periodo compreso tra l'emanazione e la notifica dell'accertamento), evidenziando che “il mancato rispetto del cd. contraddittorio anticipato non ha determinato, dunque, alcun concreto pregiudizio all'esercizio dei mezzi di tutela allo stesso contribuente accordati dall'ordinamento giuridico, in relazione alla possibilità di far valere le proprie ragioni nella fase amministrativa dell'accertamento”.
Si tratta un'ottica maggiormente “sostanzialistica” (che è quella del resto privilegiata dai giudici comunitari): il mancato rispetto del cd. contraddittorio anticipato non ha determinato, dunque, alcun concreto pregiudizio all'esercizio dei mezzi di tutela allo stesso contribuente accordati dall'ordinamento giuridico, in relazione alla possibilità di far valere le proprie ragioni nella fase amministrativa dell'accertamento. Quest'ultima pronuncia, in altri termini, corregge il tiro rispetto alla n. 11088 del 2015 (nonché rispetto a quella in commento) che si caratterizza forse per un "iperformalismo", ritenendo nullo il provvedimento, assolutamente giusto e non contestato nel suo contenuto, solamente per il dato, formale, della omissione del contraddittorio: per definizione, in questo caso, il contraddittorio sarebbe stato "inutile" o comunque sarebbe stato omesso per la mancata presentazione di osservazioni da parte del contribuente, e la sua omissione non avrebbe leso nessun interesse.
A dimostrazione dell'ottica sostanzialistica si sottolinea la sentenza della Corte giustizia Unione Europea, n. 129 del 3 luglio 2014, chiamata a giudicare sulla domanda se la violazione del diritto ad essere sentiti comporti la nullità anche quando, come nella fattispecie che giunge alla Corte, il soggetto passivo eccepisca la violazione del diritto a essere sentiti, ma non alleghi alcuna difesa nel merito. In effetti, in tali casi, la eccezione appare sostanzialmente dilatoria e pretestuosa: lamentarsi di "non essere stati sentiti" senza affermare che si avrebbe avuto "qualcosa da dire" corrisponde a un modo formalistico di intendere le garanzie che non appartiene alla giurisprudenza comunitaria.
Con tale pronuncia la Corte di Giustizia ha effettivamente riconosciuto che "Il giudice nazionale, avendo l'obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l'annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso".
Il senso di tale decisione si concentra in un verbo: "avrebbe potuto": l'eccezione deve essere non pretestuosa, dilatoria, abusiva (temeraria). In pratica, chi eccepisce il difetto di contraddittorio ha l'onere di allegare che, se il contraddittorio vi fosse stato egli "avrebbe detto qualcosa": avrebbe introdotto dei temi che avrebbero potenzialmente e ragionevolmente allargato il quadro istruttorio da tener presente per la decisione. Dato il contrasto esistente, sarebbe forse auspicabile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. |