La violazione degli obblighi formali non preclude l'esercizio della detrazione IVA

18 Novembre 2015

L'omessa annotazione delle fatture passive nel registro degli acquisti non preclude l'esercizio del diritto di detrazione, purché venga dimostrato da parte dell'Amministrazione finanziaria che il soggetto passivo è debitore dell'IVA.
Massima

L'omessa annotazione delle fatture passive nel registro degli acquisti non preclude l'esercizio del diritto di detrazione, purché l'Amministrazione Finanziaria disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto destinatario della prestazione di servizi di cui trattasi, è debitore dell'IVA.

Il caso

L'Amministrazione Finanziaria ricorreva per Cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione di secondo grado con la quale era stata confermata la decisione di prime cure che aveva parzialmente annullato l'avviso di rettifica della dichiarazione presentata dal contribuente nella parte in cui l'Ufficio aveva disconosciuto la detrazione IVA per omessa annotazione delle fatture passive nel registro acquisti e, nel contempo, aveva irrogato la sanzione per l'illecito di cui all'art. 6, co. 6, del D.Lgs. n. 471/1997.

La Commissione regionale aveva rilevato che, nonostante l'omessa trascrizione dei dati relativi alle fatture passive nel registro degli acquisti, il contribuente aveva fornito dimostrazione dell'esatta corrispondenza tra i dati indicati nelle altre scritture contabili dell'impresa ed esposti nella dichiarazione IVA e quanto indicato nelle fatture ricevute nel medesimo periodo di imposta.

Pertanto, così come riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria, la mera irregolare tenuta dei registri contabili, in presenza di una rappresentazione commerciale veritiera, non può comportare la perdita del diritto alla detrazione IVA.

Le questioni

Nella pronuncia in oggetto, la Cassazione si occupa della questione relativa all'incidenza, sulla detrazione dell'IVA, della violazione dell'obbligo di annotazione progressiva delle fatture nel registro degli acquisti.

La tematica acquista particolare rilevanza considerato quanto disposto dall'art. 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui l'annotazione delle fatture passive nel registro degli acquisti deve essere anteriore alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale nella quale viene esercitata la detrazione.

Le soluzioni giuridiche

Il rapporto tra violazione degli obblighi formali (quale è l'omessa annotazione delle fatture nel registro degli acquisti) ed esercizio del diritto di detrazione è già stato affrontato sia dal diritto vivente nostrano (Cass. civ., sez. trib., 22 maggio 2014, n. 11168; 12 febbraio 2014, n. 3107; 23 luglio 2007, n. 16257), sia dai Giudici di Lussemburgo (Corte di giustizia, 12 luglio 2012, causa C-284/11, EMS Bulgaria Transport OOD; Corte di giustizia, 8 maggio 2008 cause riunite C-95 e 96/07, Ecotrade), giungendo alla medesima conclusione: l'inadempimento all'obbligo di registrazione delle fatture passive è da ritenersi irrilevante sul piano impositivo laddove l'Amministrazione disponga, comunque, delle informazioni necessarie le quali comprovino che il contribuente, in quanto destinatario delle transazioni commerciali, è debitore dell'IVA e, quindi, titolare del diritto di detrarre la predetta imposta assolta a monte.

A tali principi si è conformata anche la sentenza de qua, la quale, nel proprio iter logico-giuridico, ha ricostruito il tessuto normativo di cui agli artt. 17, 18 e 22 della VI Direttiva 77/388/CEE, applicabile “ratione temporis” alla fattispecie oggetto di decisum ed ha dato contezza dell'interpretazione che, degli stessi, ha fornito la Corte di Giustizia.

Sulla base di ciò, la Suprema Corte ha operato un distinguo tra “condizioni sostanziali” del diritto alla detrazione d'imposta ed adempimento degli “obblighi formali”, recependo l'impostazione fornita dalla Corte di Giustizia (21 ottobre 2010, causa C-385/09).

I presupposti sostanziali (individuati negli artt. 17, paragrafi 1 e 2 e 18, paragrafo 1 della VI Direttiva) si risolverebbero in atti costitutivi del diritto alla detrazione che sorge quando l'imposta detraibile diviene esigibile, mentre gli obblighi formali (previsti dall'art. 22 della citata Direttiva) sarebbero diretti ad assicurare l'esatto adempimento dell'obbligazione tributaria ed a scongiurare il pericolo di frodi.

Pertanto, la detrazione dell'IVA assolta a monte può essere legittimamente operata al ricorrere delle seguenti circostanze:

  • che la obbligazione avente ad oggetto la imposta dovuta in rivalsa, da portare in detrazione, sia stata adempiuta dal soggetto passivo ovvero, sia comunque divenuta esigibile (art. 17, paragrafo 1, VI Direttiva; art. 167, Direttiva n. 112/2006);
  • che il soggetto passivo abbia destinato i beni ed i servizi acquistati/utilizzati per i quali è tenuto in rivalsa al pagamento della imposta, “ai fini di sue operazioni soggette ad imposta” (art. 17, paragrafo 2, VI Direttiva n. 388/1977; art. 168, paragrafo 1, Direttiva n. 112/2006). Le altre formalità che caratterizzano le modalità di esercizio del diritto a detrazione rimangono estranee alla fattispecie costituiva dello stesso, configurando meri “obblighi formali a fini di controllo”, la cui violazione non autorizza affatto gli Stati membri “a precludere al soggetto passivo l'esercizio di tale diritto” (cfr. Corte Giustizia, 21 ottobre 2010, causa C-385/09, decisione resa con riferimento alla violazione dell'obbligo, di cui all'art. 213 della Direttiva n. 112/2006, di dichiarare preventivamente, per la registrazione ai fini IVA, l'inizio dell'attività economica).

Ne risulta, quindi, nel rispetto, altresì, del principio fondamentale di neutralità dell'IVA (cfr. Corte di Giustizia, 8 maggio 2008, c.d. Ecotrade e 11 dicembre 2014, causa C-590/13), che l'adempimento degli obblighi formali assume rilevanza ai fini dell'accertamento del diritto a detrazione soltanto nella misura in cui risulti necessario fornire all'Amministrazione Finanziaria le prove (le quali non devono essere predeterminate dal'ordinamento degli Stati Membri, in quanto diversamente verrebbero superati i limiti consentiti dalla Direttiva sull'IVA) indispensabili a consentirle in linea di principio di verificare se i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, circostanza che, comunque, spetterà al giudice nazionale accertare.

L'esenzione dall'IVA potrà essere disconosciuta solo se la violazione degli obblighi formali abbia quale effetto quello di impedire che sia fornita la prova certa circa il rispetto dei requisiti sostanziali.

Rebus sic stantibus, se il contribuente si attiene agli obblighi formali - contabili prescritti dalla normativa interna (nella specie annotando regolarmente le fatture attive e passive nei registri dei corrispettivi e degli acquisti), graverà sull'Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione, negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili, l'onere della relativa prova; diversamente, ove il contribuente non si attenga alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall'ordinamento interno, sarà onere dello stesso, a fronte della contestazione di omessa od irregolare tenuta delle scritture contabili (nella specie dei registri IVA dei corrispettivi e degli acquisti), fornire adeguata prova della esistenza delle “condizioni sostanziali” cui la normativa comunitaria ricollega la insorgenza del diritto a detrazione.

Sulla base di tali considerazioni, il Collegio ha osservato, relativamente alla fattispecie posta al suo vaglio, che sebbene fosse incontestata la circostanza che al momento della verifica fiscale definita con PVC i dati relativi all'annotazione delle fatture passive concernenti il periodo di imposta 2001 non fossero stati ancora trascritti su supporto cartaceo, con conseguente omessa registrazione delle fatture passive nel termine indicato dall'art. 7, co. 4-ter del D.L. n. 357/1994, tuttavia era del pari incontroverso che alcuna contestazione fosse stata mossa dai verificatori alla società in ordine alla reale effettuazione delle operazioni imponibili, agli importi fatturati ed alla imposta liquidata e versata in rivalsa dalla contribuente.

Ciò in quanto i verbalizzanti erano stati in grado di acquisire, sulla base ai dati ed altri documenti di cui erano venuti in possesso nel corso della verifica, le informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in relazione alle operazioni eseguite, era debitore dell'IVA e, quindi, titolare del diritto ad operare la detrazione dell'imposta assolta a monte.

Tale circostanza era stata evidenziata nella sentenza di secondo grado, la quale aveva rilevato come dal Pvc era risultato che “i dati contabili su supportoinformatico e l'esame effettuato dai militari hanno rilevato l'esatta corrispondenza tra questi dati e quanto indicato nelle fatture ricevute nel periodo di imposta in argomento” e non ha costituito oggetto di contestazione, tramite ricorso per Cassazione, da parte dell'Amministrazione Finanziaria ricorrente.

Ne segue, quindi, che, non essendo contestati i dati indicati nelle altre scritture contabili della impresa ed esposti nella dichiarazione IVA relativa all'anno 2001, la violazione dell'obbligo di annotazione progressiva delle fatture passive nel registro acquisti non ha avuto alcuna incidenza, nello specifico caso concreto, sull'accertamento svolto dall'Ufficio finanziario in ordine alla esistenza delle condizioni essenziali per l'esercizio del diritto a detrazione.

Per tal ragione la Suprema Corte ha rigettato tale motivo di ricorso.

Osservazioni

Ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, “il contribuente deve numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione comprese quelle emesse a norma del secondo comma dell'art. 17 e deve annotarle in apposito registro anteriormente alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta”.

Tale dato normativo non deve essere letto isolatamente, bensì deve essere interpretato alla luce dei principi e dei canoni (comunitari) che disciplinano l'imposta de qua.

La predetta è pacificamente definita quale “di consumo” (G. Falsitta – G. Marongiu – A. Fantozzi – F. Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di G. Marongiu, tomo IV, Iva ed imposta sui trasferimenti, sub. art. 1 D.P.R. n. 633 del 1972, Padova) ed il perché di tale qualificazione lo si comprende illico et immediate dal concreto meccanismo applicativo della stessa, forgiato dal legislatore nazionale secondo i principi ed i dettami di derivazione comunitaria. Meccanismo i cui ingranaggi sono costituiti dalla simmetria logica tra rivalsa (art. 18 D.P.R. n. 633 del 1972) e detrazione (art. 19 D.P.R. n. 633/1972), la quale opera nelle diverse fasi del ciclo produttivo-distributivo (laddove il ruolo principale viene assunto dagli operatori economici), per venire meno all'atto della immissione al consumo del bene. In questa ultima fase, intervenendo il consumatore finale che, in quanto tale (poichè non esercente attività professionale, artistica o imprenditoriale), è privo del diritto di detrazione, il carico impositivo trova la sua destinazione in capo a questo ultimo.

Il consumatore finale si colloca, pertanto, in una posizione singolare, poiché non è titolare di un'obbligazione tributaria nei confronti dello Stato col quale, peraltro, non ha alcun rapporto, costituendo l'obbligo di pagamento del tributo facente capo al medesimo, che si concretizza come incremento del prezzo corrisposto per l'acquisto del bene o servizio, quale tipica manifestazione del fenomeno economico della traslazione (sul punto, A. Comelli, Iva comunitaria ed Iva nazionale. Contributo alla teoria generale dell'imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000).

Tale imposta costituisce, quindi, un vero e proprio tributo sul consumo «sotto il profilo dell'incidenza», nonostante la «occasione immediata di applicazione» sia costituita dal «singolo atto di scambio»; secondo tale modello, «si configura un rapporto giuridico cedente- Stato (avente ad oggetto l'obbligo di versare il tributo, al netto delle detrazioni ammesse) ed un rapporto cedente – cessionario (avente ad oggetto la rivalsa del tributo)» (E. Potito, Le imposte dirette sugli affari, Giuffrè, 1995, riportato da A. Comelli, cit, loc. cit.).

Dalla ricostruzione effettuata emerge palesemente come tale sistema, così come congegnato ed implementato dal legislatore comunitario e recepito da quello italiano, realizzi il principio di neutralità impositiva, costantemente affermato dalla giurisprudenza comunitaria, la quale lo considera “la traduzione, operata dal legislatore comunitario in materia di IVA, del principio generale di parità di trattamento” (Corte di Giustizia, 15 ottobre 2009, C- 174/08; Corte di Giustizia, 11 aprile 2013, C- 138/12; Corte di Giustizia, 14 febbraio 1985, C- 268/83).

Tale principio viene garantito dalla presenza, nello schema teorico e pratico di funzionamento del tributo de quo, del meccanismo delle rivalse e delle detrazioni, per effetto delle quali l'incidenza dell'onere fiscale non subisce alcuna variazione qualunque sia il numero dei passaggi che un bene (o un servizio) subisce nel ciclo produttivo e distributivo (neutralità in senso oggettivo), prima di incidere definitivamente il consumatore finale.

Come Autorevolmente sostenuto, “per i soggetti IVA (cioè imprenditori e lavoratori autonomi) l'applicazione dell'imposta è in linea di principio neutrale, posto che quella sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti, quella sui loro acquisti è recuperata compensandola con la prima, a guisa di un credito verso l'Erario” (G. Falsitta, L'imposta sul valore aggiunto, in Manuale di diritto tributario. Parte speciale. Il sistema delle imposte in Italia, ottava edizione, Padova, 2012); infatti, essendo l'IVA imposta plurifase non cumulativa, l'Erario acquisisce ad ogni passaggio solo la differenza o frazione tra l'imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti.

In questo contesto il diritto alla detrazione dell'IVA, diviene canone fondamentale del sistema comune dell'IVA, poiché espressione della neutralità che connota la stessa (Corte di Giustizia, 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, c.d. Ecotrade).

Sulla scorta di ciò, la giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di Giustizia, 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, c.d. Ecotrade), recepita da quella nazionale (Cass.civ., sez. VI-T, 8 settembre 2015, n. 17815) ha riconosciuto, nel caso del meccanismo del reverse charge, che l'inadempimento contabile e dichiarativo del soggetto passivo per l'ipotesi di erronea applicazione delle disposizioni relative a tale istituto (annotazione delle fatture relative a dette operazioni unicamente nel registro degli acquisti e non in quello delle fatture emesse) non costituisca una inosservanza degli obblighi contabili la quale provochi un rischio di perdite di entrate fiscali, posto che, nell'ambito di applicazione del regime dell'inversione contabile, nulla è dovuto all'erario.

Da ciò deriva che il provvedimento nazionale il quale, essenzialmente, subordini il diritto all'esenzione di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali ed, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano soddisfatti, eccede quanto è necessario per assicurare l'esatta riscossione dell'imposta.

Tale principio, forgiato per l'istituto dell'inversione contabile, deve trovare applicazione (come giustamente riconosciuto dalla pronuncia in commento) ogni qualvolta la violazione del contribuente sia irrilevante sul piano impositivo e, per tal ragione, non pregiudichi il diritto alla detrazione riconosciuto dall'ordinamento in capo allo stesso.

Traslando quanto fin qui esposto nella fattispecie portata all'attenzione del Supremo Consesso, deriva che, nel rispetto del principio fondamentale di neutralità dell'IVA, al soggetto passivo deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione della imposta in oggetto, tutte le volte in cui siano rispettate le condizioni sostanziali alle quali la normativa comunitaria ricollega l'insorgenza del diritto, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi dallo stesso.

Infatti, seppur sia vero che l'art. 22 della sesta direttiva non contenga alcuna norma che disciplini specificamente la prova del diritto a detrazione da parte del soggetto passivo, è altrettanto vero che lo stesso attribuisce agli Stati membri il potere di stabilire le norme relative al controllo dell'esercizio del diritto a detrazione ed, in ispecie, il modo in cui il soggetto passivo deve comprovare tale diritto.

Questo potere ricomprende quello di prescrivere la esibizione dell'originale della fattura all'atto delle verifiche fiscali e quello di autorizzare il soggetto passivo a produrre, se non ne è più in possesso, altre prove inconfutabili attestanti che l'operazione oggetto della domanda di detrazione sia realmente avvenuta (sul punto, Corte di Giustizia, 5 dicembre 1996, causa C-85/95).

Pertanto, è pienamente condivisibile la decisione in commento, la quale ha riconosciuto che la violazione dell'obbligo di annotazione progressiva delle fatture passive nel registro degli acquisti non ha avuto alcuna incidenza sull'accertamento, da parte dell'Ufficio Finanziario, della esistenza delle condizioni essenziali per l'esercizio del diritto a detrazione, essendo i dati indicati nelle altre scritture contabili dell'impresa ed esposti nella relativa dichiarazione IVA.

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