Esclusa la proroga dei termini per la revoca del beneficio dell'IVA agevolata al 4%

18 Ottobre 2016

Di recente le Sezioni Unite della Corte si sono pronunciate sul tema relativo alle agevolazioni prima casa, statuendo che è inapplicabile la proroga biennale – prevista dall'art. 11 L. n. 289/2002 – all'ipotesi di revoca del beneficio dell'IVA agevolata al 4% in assenza di espressa previsione normativa.
Massima

Alla luce degli art. 53, 23, 81 Cost. e del principio di stretta interpretazione della disciplina derogatoria, così come la tassazione non può investire oggetti o soggetti non espressamente emergenti dal testo normativo, le norme agevolative non sono suscettibili di integrazione ermeneutica. Pertanto in assenza di un dato normativo espresso, l'art. 11, L. n. 289/2002 non consente di fruire della proroga di due anni del termine di accertamento per la revoca del beneficio dell'IVA agevolata al 4%.

Il caso

I ricorrenti acquistarono da una società un immobile adibito a prima casa versando l'IVA con aliquota agevolata. L'Agenzia delle Entrate, ritenuto l'immobile di lusso ed applicabile la proroga biennale del termine di accertamento ex art. 11, co 2, L. n. 289/2002, notificò gli avvisi di liquidazione recuperando la differenza d'imposta maggiorata della relativa sanzione. Dichiarati infondati tanto i motivi di merito quanto l'eccezione di decadenza per inapplicabilità del citato art. 11, i ricorsi furono respinti sia in primo che secondo grado.

In Cassazione i contribuenti hanno reiterato, tra le altre, l'eccezione di decadenza dal termine di accertamento.

Rilevato il conflitto giurisprudenziale circa l'applicabilità o meno della proroga biennale prevista dall'art. 11 della L. n. 289/2002, all'ipotesi di revoca del beneficio dell'IVA agevolata al 4%, la quinta sezione civile ha rimesso con ord. n. 18382/2015 gli atti al Primo Presidente e questi ha successivamente devoluto la questione alle Sezioni Unite.

La questione

La problematica, ben delineata con l'ordinanza di rimessione, ha ad oggetto i limiti e vincoli dell'interpretatio legis in relazione all'art. 11, L. n. 289/2002. Tale norma proroga di un biennio l'ordinario termine degli accertamenti per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull'incremento di valore degli immobili.

Nessun dubbio si è posto in ordine all'applicazione della suddetta proroga al recupero della differenza di imposte di registro, catastali e ipotecarie, in caso di decadenza dai benefici prima casa. Di contro, nonostante l'art. 11 L. n. 289/2002 non faccia espresso riferimento all'IVA, il contrasto giurisprudenziale si è formato in ordine alla possibile estensione dei termini di accertamento nell'ipotesi, anch'essa regolata dal T. U. imposta di registro, di acquisto di prima casa da una società, allorquando l'acquirente nulla dovendo al registro, versi l'IVA con aliquota agevolata ai sensi del comma 4, nota 2-bis, Parte I della Tariffa.

Sul punto si sono formati due contrastanti indirizzi giurisprudenziali, l'uno che prediligeva il dato letterale della norma, escludendo l'interpretazione estensiva della stessa e l'altro che ne valorizzava la ratio, giungendo a contraria conclusione.

Le Sezioni Unite hanno escluso la prorogabilità del termine, risolvendo il contrasto mediante l'enunciazione di un principio di diritto che, trascendendo il caso concreto, individua i criteri ermeneutici atti a riportare ad equilibrio i diversi interessi sottesi al rapporto tributario: la tutela dei contribuenti, la necessità di evitare disparità di trattamento in casi analoghi e l'interesse dell'Amministrazione finanziaria.

Le soluzioni giuridiche

Ripercorrendo i temi posti dalla ordinanza di rimessione, le SS.UU. danno conto dei due orientamenti espressi dalla Corte di Legittimità.

Un primo indirizzo (Cass. civ., n. 1284724/2013, n. 28508/2013, n. 16440/2013, n. 16437/2013, n. 19250/2014, n. 5115/2015) ha escluso la prorogabilità del termine a tributi diversi da quelli espressamente normati, tenuto conto della natura eccezionale della norma, alla luce anche dell'art. 3, L. n. 212/2000 che, vietando la proroga di termini di prescrizione e decadenza, subordina la deroga all'emissione di norma successiva di pari grado. Secondariamente tale orientamento fonda il proprio convincimento sul presupposto che l'art. 11, co. 2, L. n. 289/2002 prevede la proroga dei termini di accertamento specularmente alla possibilità del condono delle condotte illegittime. In mancanza di possibilità di condono per illeciti IVA esclude l'accessibilità alla proroga dei termini di accertamento.

Un secondo orientamento (Cass. civ., n. 6665/2014, n. 7646/2014, n. 9330/2014, n. 3394/2015, n. 6742/2015) dà, invece, per scontata l'applicabilità della proroga anche al termine per l'accertamento delle violazioni riguardanti la fruizione dell'aliquota agevolata dell'IVA in caso di acquisto della prima casa, basandosi sulla considerazione che il beneficio fiscale, sia quanto all'imposta di registro, sia in relazione all'IVA, risponde alla medesima ratio di agevolare l'acquisto della prima casa, con la conseguenza che una differenza di regime in tema di decadenza risulterebbe incongrua.

Il ragionamento delle SS.UU prende le mosse dalla constatazione della “tensione che attraversa l'ermeneutica tributaria, divisa tra l'esigenza di rispetto del principio generale di stretta interpretazione delle norme lato sensu tributarie (…) e l'esigenza di evitare una disparità di trattamento, in ipotesi ingiustificata, tra situazioni analoghe che solo una (supposta) mancanza di coordinamento tra disposizioni successive assoggetta a differente disciplina”. Ciò premesso la Corte dà atto che il difficile equilibrio di interessi sotteso al rapporto tributario è delineato a livello costituzionale dal principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), dalla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. e dal principio di parità di bilancio (art. 81 Cost.), con la conseguenza che “l'ambito dell'imposizione è tracciato dal legislatore (in positivo come in negativo) attraverso la precisa indicazione di oggetti e soggetti tassabili”.

Alla luce di tali premesse deduce che, se in relazione alle norme impositive è pacificamente esclusa una tassazione che investa oggetti o soggetti non espressamente emergenti dal dato normativo espresso “anche le norme agevolative, per esigenza speculare, non possono essere suscettibili di integrazione ermeneutica trascendente i confini semantici del suddetto dato normativo espresso”, precisando altresì che “tale principio non può non riverberarsi su tutte le norme lato sensu tributarie, anche quelle strumentali, ivi comprese quelle che regolano limiti, termini e poteri delle parti del rapporto tributario e, a fortiori, quelle prevedenti deroghe ad essi”.

Ad ulteriore conferma la Corte ribadisce che in generale la disciplina derogatoria «è da ritenersi di stretta interpretazione e, con particolare riferimento a possibili deroghe a termini di decadenza, che l'art. 3, comma 3 dello Statuto del Contribuente (L. n. 212/2000) prevede che "i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati", essendo in proposito da evidenziare che, se è vero che le previsioni dello Statuto del contribuente, pur costituendo criteri guida per il giudice nell'interpretazione ed applicazione delle norme tributarie, anche anteriori, non hanno rango superiore alla legge ordinaria, sicché ne è ammessa la modifica o la deroga, è pur vero che deroghe o modifiche non possono che intervenire con legge e, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, devono essere "espresse"».

Alla luce di tali argomentazioni le Sezioni Unite sanciscono la improrogabilità del termine scartando l'interpretazione che ”sia pure attraverso una interpretazione logico-sistematica, si spinga oltre la lettera della legge (…), dovendo evidenziarsi che in relazione a norme eccezionali o comunque di "stretta interpretazione", anche l‘esegesi logico-evolutiva (ed eventualmente quella costituzionalmente orientata) sono precluse se, operando non difformemente dalla interpretazione analogica, conducano ad una estensione della sfera di operatività della norma interpretata ad ipotesi non sussumibili nel relativo specifico significato testuale”.

Osservazioni

Non è la prima volta che le SS.UU, risolvendo contrasti giurisprudenziali, enunciano criteri ermeneutici alla luce dei quali dirimere il conflitto tra contrapposti interessi sottesi al rapporto tributario. La sentenza in esame, per esempio, ribadisce i principi già espressi dalle Sezioni Unite con ord. n. 11373/2015 ove, con uguale ragionamento logico giuridico, la Corte statuisce che le norme che “riconoscono agevolazioni o benefici fiscali in deroga all'ordinario regime d'imposizione, sono norme ad interpretazione rigida ed anelastica, legata al dato letterale”.

Di contro, non si può non prendere atto dell'evoluzione giurisprudenziale in favore di criteri a garanzia della certezza della legge, a discapito dell'esigenza di evitare disparità di trattamento, ritenuta predominante in altre pronunce del medesimo organo. Per esempio con sent. n. 3160/2011 le SS.UU risolvendo il contrasto sorto in relazione all'art. 5, comma 3, D.lgs. n. 504/1992 in tema ICI, ha individuato quale criterio ermeneutico, l'esigenza di tener conto “del pregnante valore dei precetti contenuti nel comma 1, sia dell'art. 53 Cost. ("tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva") che dell'art. 3 Cost. ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione)” affermando quindi che “la "capacità contributiva" (quale concretamente individuata, per ciascuna imposta, dal legislatore ordinario, con scelte il giudizio relativo alle quali è rimesso alla corte delle leggi non irrazionali) deve costituire l'unico parametro di riferimento effettivo”, precisando altresì che “l'eguaglianza tutelata dall'altra disposizione, poi, non consente di operare una interpretazione dalla quale discenda una regolamentazione diversa di situazioni giuridiche identiche”.

Vero è che la tipologia di norma oggetto di esame era diversa, trattandosi per la pronuncia del 2011, di una norma istitutiva del presupposto impositivo, mentre per le recenti pronunce di norme derogatorie di quelle impositive. Tuttavia non si può non notare il mutamento di prospettiva, allorquando con la sentenza in esame le SS.UU. sanciscono la non interpretabilità delle norme derogatorie, quale riflesso speculare della interpretazione letterale di quelle impositive, laddove afferma escluso che la tassazione possa investire oggetti o soggetti non espressamente emergenti dal dato normativo espresso.

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