La mancanza del “visto” del cancelliere rende il ricorso improcedibile

Ignazio Gennaro
20 Novembre 2015

Qualora il ricorrente depositi nella cancelleria della Corte copie della sentenza impugnata mancanti di una pagina, nonché prive del “visto di conformità” apposto dal cancelliere, soltanto la mancanza della pagina è “sanabile”, mentre la mancanza del “visto di conformità” non è in alcun modo sanabile, neanche attraverso altri atti del processo, determinando così l'improcedibilità del ricorso.
Massima

Nel ricorso per Cassazione, qualora il ricorrente depositi nella cancelleria della Corte (art. 369, comma 2 n. 2, c.p.c.) copie della sentenza impugnata mancanti di una pagina, nonché prive del “visto di conformità” apposto dal cancelliere, soltanto la mancanza della pagina è “sanabile” attraverso il riscontro della copia integrale contenuta nel fascicolo d'Ufficio.

Invece, la mancanza del “visto di conformità” non è in alcun modo sanabile, neanche attraverso altri atti del processo, determinando l'improcedibilità del ricorso.

Il caso

Una Società impugnava dinnanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale un avviso di accertamento, per IVA ed IRPEG anno di imposta 2003, con il quale veniva rettificata la dichiarazione della stessa ai sensi dell'art. 39 del D.P.R. 600/1973 e venivano accertati minori variazioni in diminuzione del reddito.

I Giudici di primo grado accoglievano parzialmente il ricorso. La decisione veniva impugnata sia dalla società (in via principale) quanto dall'Amministrazione Finanziaria (in via incidentale).

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva l'appello della società e rigettava quello dell'Amministrazione.

L'Amministrazione Finanziaria proponeva quindi ricorso per cassazione.

Successivamente la medesima società impugnava dinnanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale un ulteriore avviso di accertamento, per IRES relativo all'anno 2004, con il quale, ai sensi dell'art. 41–bis del D.P.R. n. 600/1973 si rettificava la dichiarazione della stessa, accertando un reddito compensabile con perdite pregresse che risultavano azzerate con l'avviso di accertamento afferente l'anno 2003, oggetto della prima impugnazione.

La Commissione Tributaria Provinciale adita dichiarava inammissibile il ricorso, ma la decisione veniva riformata dalla competente Commissione Tributaria Regionale che accoglieva l'appello della società.

Avverso quest'ultima sentenza, l'Amministrazione proponeva ulteriore ricorso per cassazione.

I due ricorsi, “stante la stretta correlazione tra gli stessi(“... il secondo accertamento è una diretta conseguenza del primo che ne costituisce la causa e la ragione legittimante ...”), venivano riuniti.

All'udienza di trattazione, il Procuratore Generale nel formulare le proprie conclusioni sollevava un rilievo preliminare ex art. 369, comma 2, n. 2) c.p.c, relativamente al fatto che tutte le copie in atti della sentenza impugnata prodotte con il primo ricorso (riguardante l'anno di imposta 2003) erano sprovviste del “visto di conformità” del cancelliere nonché incomplete, in quanto prive di una pagina.

I Giudici della Suprema Corte hanno risolto la questione statuendo che l'incompletezza delle copie della sentenza depositate per la mancanza della paginapuò essere ‘sanata' ... in quanto risulta contenuta nel fascicolo d'ufficio una copia autentica della sentenza che ne riproduce il testo integrale..”. mentre “non è in alcun modo sanabile il ‘difetto di autenticità' della copia della sentenza impugnata prodotta agli atti” stante che la “chiarezza della disposizione normativa che impone il deposito della copia autentica della sentenza impugnata ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione (art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c.) non fa registrare incertezze nella giurisprudenza”.

La Corte ha quindi dichiarato improcedibile il primo ricorso proposto dall'Amministrazione Finanziaria (riguardante IVA ed IRPEG anno di imposta 2003), con la conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza con lo stesso gravata, ed ha rigettato il secondo ricorso proposto dalla stessa Amministrazione (riguardante IRES anno di imposta 2004).

La questione

L'art. 369 c.p.c al secondo comma, n. 2), dispone che insieme col ricorso debba essere depositata, sempre a pena d'improcedibilità “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, tranne che nei casi di cui ai due articoli precedenti; oppure copia autentica dei provvedimenti dai quali risulta il conflitto nei casi di cui ai numeri 1 e 2 dell'articolo 362”.

La questione oggetto della pronuncia in commento scaturisce dal deposito in atti di copie della sentenza (sia quella nel fascicolo di parte che avrebbe dovuto essere in forma autentica, sia le altre che il ricorrente è tenuto a depositare a corredo del ricorso) tutte prive del “visto di conformità” del cancelliere nonché incomplete, in quanto mancanti di una pagina.

I Giudici della Suprema Corte – come detto - hanno ritenuto che la incompletezza delle copie della sentenza depositata conseguente alla mancanza di una pagina, possa essere “sanata” dalla presenza di altra copia integrale contenuta nel fascicolo d'ufficio; mentre hanno ritenuto “non è in alcun modo sanabile” il “difetto di autenticità”, per la mancanza del “visto di conformità” del cancelliere.

Nell' esaminare la questione il Collegio ha preliminarmente rigettato le deduzioni dall'Amministrazione Finanziaria ricorrente (rappresentata dall'Avvocatura dello Stato) la quale aveva sviluppato nella propria memoria una serie di argomentazioni finalizzate a sostenere l'irrilevanza della mancata produzione della copia autentica e della non integralità della sentenza che il ricorrente è tenuto a depositare a corredo del ricorso.

Secondo la tesi dell'Avvocatura ricorrente, infatti, la “certificazione sottoscritta dal cancelliere a norma dell'art. 74 disp. att. c.p.c. in calce all'indice dei documenti inseriti nel fascicolo fa fede fino a querela di falso”. Il Collegio richiamando precedenti arresti di legittimità (Cass. civ. n. 25440/2009), ha affermato che “ciò è riconosciuto per quanto riguarda la data di deposito dei documenti e l'ordine degli stessi che nell'indice è indicato ... Nel caso che qui ci occupa potremmo forse trovarci piuttosto di fronte ad una ipotesi nella quale il cancelliere abbia accettato la documentazione depositata senza l'annotazione di alcun rilievo formale riconducibile all'esercizio dei poteri di controllo affidatigli dall'art. 74 disp. att. c.p.c , puntualizzando per inciso “ammesso che si possa ritenere nel potere del cancelliere “rifiutare” il deposito di una sentenza non munita del visto di conformità, spettando pur sempre al collegio decidere sulla improcedibilità della impugnazione non seguita dalla produzione della copia autentica della sentenza impugnata”.

Nel sottolineare l'assenza di poteri di “rifiuto” da parte del cancelliere, i Giudici hanno inoltre osservato che: “tanto più ciò è vero per quanto riguarda la non integralità della sentenza depositata, in quanto spetta al Collegio apprezzare se il difetto di integralità in questione incida sulla valutazione del ricorso ai fini della conseguente inammissibilità”.

La Corte – richiamando precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 11782/2006) – ha affermato che, in ipotesi di “accettazione da parte del cancelliere del deposito di documenti senza annotazione di rilievi formali”, si tratterebbe di “una presunzione di regolarità degli atti, tranne che il contrario risulti da altre emergenze processuali e non già la necessità di una querela di falso” ritenendo quindi le argomentazioni prospettate dall'Avvocatura non in grado di “offrire alcuna base utile per risolvere positivamente il problema della procedibilità del ricorso”.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in commento la Sezione Tributaria citando pronunce di legittimità su fattispecie analoghe (Cass. nn. 8764/2003 e 1012/2015) ha statuito che “l'incompletezza della copia prodotta può essere sanata, poiché nel caso è possibile la ricostruzione in maniera sufficiente del contenuto, in quanto risulta contenuta nel fascicolo d'ufficio una copia autentica della sentenza impugnata che ne riproduce il testo integrale...”.

Ben diversa è invece la posizione del Collegio riferita al “difetto di autenticità”, per la mancata apposizione del “visto di conformità” della cancelleria.

Secondo i Magistrati di legittimità “di fronte alla chiarezza della disposizione normativa che impone il deposito della copia autentica della sentenza impugnata ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione (art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c.), non si registrano incertezze nella giurisprudenza di questa Corte”.

Nel menzionare una precedente pronuncia - la n. 6712/2013 - i Giudici hanno escluso che “al mancato deposito di questa copia della sentenza possa supplirsi con la conoscenza che della stessa sentenza si attinga da altri atti del processo”.

Ricollegandosi altra (non recentissima) statuizione di legittimità - la n. 888/2006 la Corte ha ritenuto che non sia possibile per il ricorrente evitare la sanzione dell'improcedibilità mediante equipollenti, quali il deposito da parte del contro ricorrente di copia della sentenza stessa o l'esistenza della medesima nel fascicolo d'Ufficio.

A parere del Collegio quindi la fermezza della disposizione è tale che, come già sancito con sentenza n. 22108/2006, è “manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale del'art. 369 secondo comma, n.2 del c.p.c. nella parte in cui stabilisce che il ricorso per cassazione è improcedibile quando il ricorrente non abbia depositato copia autentica del provvedimento impugnato, sollevata in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost., in quanto la norma mira a garantire, non irragionevolmente, le esigenze di certezza della conformità della copia del provvedimento all'originale, stabilendo un adempimento che non è particolarmente complesso e non si pone in contrasto con le regole che devono improntare il giusto processo e nemmeno ne ostacola apprezzabilmente l'esercizio del diritto di difesa”.

Osservazioni

La Corte ha quindi mutato un proprio precedente orientamento inaugurato dalla sezione lavoro con la sentenza n. 1758/2006, che equiparava l'omessa produzione della “copia autentica” alla “copia incompleta” ai fini della improcedibilità: “All'omessa produzione della copia autentica deve essere equiparata la produzione di copia non integrale della sentenza impugnata che non consenta alla Corte di cassazione di esaminare le ragioni poste dal giudice di appello a base della pronuncia impugnata, conseguendone l'improcedibilità del ricorso per cassazione (nella specie, i ricorrenti avevano depositato copia autentica della sentenza impugnata mancante di una pagina nella quale la corte territoriale sviluppava la motivazione in diritto)”.

Con la sentenza in commento, invece, la Corte – come visto – afferma che soltanto il difetto di “visto di conformità” sia insanabile, a differenza del difetto di integralità delle copie.

La sentenza in esame è stata pronunciata nell'ambito di un giudizio tributario, ma riguardando l'applicazione di una norma del Codice di Procedura Civile che disciplina il ricorso per Cassazione è certamente destinata a costituire una statuizione di riferimento anche in ambito civile ed in tutte le altre sedi processuali in cui la stessa viene applicata o espressamente richiamata.

La improcedibilità del ricorso, posta dal legislatore a presidio delle esigenze di “certezza della conformità della copia del provvedimento all'originale”, così come rilevato dai Giudici di legittimità a sostegno della propria statuizione, appaiono ampiamente condivisibili e certamente riconducibili a principi di buon andamento ed efficienza della macchina processuale.

Il legislatore, attraverso un “adempimento che non è particolarmente complesso”, con ogni probabilità, ha voluto assicurare la certezza della conformità degli atti sottoposti all'esame del Giudice di legittimità, in special modo in una sede – quale quella di legittimità – che rappresenta il terzo ed ultimo grado di giudizio.

De jure condendo la sentenza potrebbe offrire uno spunto al legislatore, il quale intervenendo sulla norma processuale in argomento potrebbe “mitigare”, nei casi meno gravi, la severità della sanzione della improcedibilità prevista dal II comma n. 2) dell'art. 369 c.p.c., eventualmente anche attraverso la possibilità di emissione da parte del Collegio di un provvedimento (ordinanza) che assegni alla parte ricorrente un termine perentorio breve, al fine di non incidere sul decorso processuale, per la regolarizzazione della documentazione depositata in cancelleria.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.