L'attività di "Sviluppatore immobiliare" è commerciale ai fini della “partecipation exemption”

20 Settembre 2017

L'attività di "Sviluppatore immobiliare" consistente nell'acquisto dei terreni, nella realizzazione delle attività amministrative, progettuali, autorizzatone ed operative al fine di vendere il progetto di sviluppo immobiliare "chiavi in mano", va considerata provvista della commercialità richiamata dall'art. 55 del TUIR.
Massima

L'attività di "Sviluppatore immobiliare" consistente nell'acquisto dei terreni, nella realizzazione delle attività amministrative, progettuali, autorizzatone ed operative al fine di vendere il progetto di sviluppo immobiliare "chiavi in mano", va considerata provvista della commercialità richiamata dall'art. 55 del TUIR; conseguentemente, in caso di cessione della partecipazione nella società che svolge la suddetta attività, è possibile avvalersi, sulla plusvalenza realizzata, dell'esenzione (c.d. “partecipation exemption”) di cui all'art. 87 del TUIR.

Il caso

Con sentenza dell' 11 aprile 2017, n. 238/2/17, la Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, ha sancito che la plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione in società controllata, che ha, quale oggetto sociale, la realizzazione di un progetto per la costruzione di un complesso immobiliare per la grande distribuzione organizzata, può godere dell'esenzione prevista dall'art. 87 del TUIR (c.d. “partecipation exemption”: di seguito anche P.Ex.).

Il contenzioso è sorto in quanto, a parere dell'Agenzia delle Entrate, non sarebbe possibile fruire del regime in oggetto, per mancanza del requisito della commercialità, qualora la società partecipata venga costituita con lo scopo di sviluppare commercialmente un terreno in un Comune, al fine di ottenere tutte le autorizzazioni necessarie e in seguito di vendere a terzi un progetto “chiavi in mano” per la realizzazione di una struttura della grande distribuzione organizzata.

Nella citata sentenza, i giudici, accogliendo le doglianze di parte ricorrente, hanno invece osservato che la società, al fine di provare il requisito della commercialità, ha esibito gli studi di fattibilità commerciale dell'iniziativa, i vari piani attuativi, le lettere di intenti per l'acquisto del compendio immobiliare e i documenti relativi alle spese sostenute per le prestazioni professionali necessarie: tutti elementi che concordemente, secondo i giudici, depongono a favore dell'effettivo svolgimento di un'attività di sviluppo immobiliare.

La complessa attività, svolta e provata documentalmente, diretta alla trasformazione urbanistica di un'area al fine di trarre profitto dalla rivendita del progetto “chiavi in mano”, va dunque considerata provvista della commercialità richiamata dall'art. 55 del TUIR.

La questione

La sentenza in esame si basa sulla corretta applicazione della normativa prevista dall'art. 87 del TUIR.

Il D.Lgs. n. 344/2003, “Riforma dell'imposizione sul reddito delle società”, ha introdotto il regime della P.Ex., che prevede una parziale esenzione da imposizione (la percentuale di esenzione è fissata nella misura del 95%) delle plusvalenze realizzate mediante la cessione di partecipazioni che possiedono determinate caratteristiche.

L'art. 87 del TUIR, rubricato “Plusvalenze esenti”, richiede infatti, al comma 1, il rispetto di quattro requisiti per poter beneficiare del regime di parziale esenzione.

In sintesi, è necessario che:

a) la partecipazione sia posseduta ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello della cessione;

b) la partecipazione sia stata iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie fin dal primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;

c)la società partecipata sia residente in un Paese diverso da quelli a regime fiscale privilegiato o che, in alternativa, sia dimostrato attraverso istanza di interpello che, sin dall'inizio del periodo di possesso, dalle partecipazioni non è conseguito l'effetto di localizzare i redditi in un Paese in cui gli stessi sono sottoposti a tassazione privilegiata;

d) la società partecipata eserciti un'impresa commerciale secondo la definizione di cui all'articolo 55.

La norma precisa poi che i requisiti relativi alle lettere c) e d) debbano sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso.

Di contro, per quanto riguarda il trattamento fiscale delle minusvalenze conseguibili a seguito di un'operazione di realizzo, le soluzioni che si possono prospettare sono le seguenti:

  • se le minusvalenze sono correlate a realizzi di partecipazioni che avrebbero potuto dare origine a plusvalenze esenti, esse sono totalmente indeducibili (cfr. art. 101, comma 1 del TUIR);
  • se invece sono correlate a realizzi di partecipazioni che avrebbero potuto dare origine a plusvalenze imponibili, sono a loro volta deducibili.

Di conseguenza, simmetricamente all'esenzione del 95% prevista per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni che soddisfano i requisiti della P.Ex. di cui all'art. 87, comma 1 del TUIR, le eventuali minusvalenze, realizzate da soggetti IRES, sono indeducibili in misura integrale, ai sensi dell'art. 101, comma 1 del TUIR.

Nel caso esaminato dai giudici di Bergamo, il requisito, che è stato disconosciuto dall'Agenzia delle Entrate per potere usufruire del regime di esenzione, è quello della commercialità, sui cui ci si soffermerà di seguito.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza della CT di Bergamo ritiene che l'attività di “Sviluppo Immobiliare”, consistente nell'acquisto dei terreni, nella realizzazione delle attività amministrative, progettuali, autorizzatone ed operative al fine di vendere il progetto di sviluppo immobiliare "chiavi in mano", va considerata provvista della commercialità richiamata dall'art. 55 del TUIR.

Infatti, al fine di definire il concetto di esercizio di impresa commerciale, il comma 1 dell'art. 87, fa riferimento all'art. 55 del TUIR (“Reddito d'impresa”).

Di conseguenza, l'esercizio di impresa commerciale, a cui è subordinato il regime di esenzione, è individuato sulla base dei criteri di cui all'art. 55 del TUIR, con il risultato che le disposizioni recate dall'art. 87 devono intendersi riferite alle attività che danno luogo a reddito di impresa.

Il concetto di “impresa commerciale”, secondo la definizione di cui all'art. 55, ricomprende anche quelle attività indicate nell'art. 2195 c.c., ovvero:

  1. l'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
  2. l'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
  3. l'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
  4. l'attività bancaria o assicurativa;
  5. altre attività ausiliarie delle precedenti.

Per esercizio di imprese commerciali si intende anche l'esercizio delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 (reddito agrario), che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa.

Sono inoltre considerati redditi d'impresa:

  1. i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.;
  2. i redditi derivanti dall'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, leghi, stagni e altre acque interne;
  3. i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività agricole di cui all'art. 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività d'impresa.

Tuttavia, il criterio formale di qualifica del reddito di cui al citato art. 55 rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente ad individuare il requisito della commercialità, il quale va definito sulla base di un criterio sostanziale, secondo il quale non tutti i redditi prodotti nell'esercizio d'impresa sono riferibili ad un'attività commerciale nel senso richiesto dalla disciplina in esame.

Infatti, la volontà del legislatore risulterebbe quella di subordinare l'applicazione del regime della P.Ex. ai soli casi in cui il sottostante patrimonio della società partecipata si configuri come azienda e soprattutto quest'ultima risulti utilizzata nell'esercizio dell'attività d'impresa. La relativa verifica non può dunque essere basata esclusivamente sul contenuto dell'oggetto sociale e sulla qualifica formale attribuita all'attività esercitata (così la Circolare n. 7/E del 29 Marzo 2013).

Secondo l'Agenzia delle Entrate, si ha attività commerciale ai fini P.Ex. se la società partecipata risulta dotata di una struttura operativa idonea alla produzione e/o alla commercializzazione di beni o servizi potenzialmente produttivi di ricavi.

La stessa Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 165/E del 25 novembre 2005, chiarisce i casi in cui si verifica la sussistenza del requisito della “commercialità” richiesto dalla lettera d) del comma 1 dell'art. 87 del TUIR. In particolare, secondo la suddetta interpretazione, la verifica della sussistenza del requisito della “commercialità” deve essere effettuata in concreto, facendo riferimento all'attività effettivamente esercitata dalla società partecipata. Di conseguenza, in linea generale, le società “senza impresa” non rientrerebbero nel campo di applicazione del regime P.Ex.

L'Amministrazione finanziaria, inoltre, ritiene che il requisito della commercialità sussista anche nel caso in cui l'impresa disponga della capacità anche solo potenziale di soddisfare la domanda del mercato nei tempi tecnici ragionevolmente previsti in relazione alle specificità dei settori economici di appartenenza.

Secondo la previsione di cui all'art. 87 del TUIR, il requisito della commercialità deve sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso.

Tale previsione risponde ad una specifica funzione antielusiva diretta ad evitare che, modificando in prossimità della cessione della partecipazione uno dei requisiti oggettivi prescritti dalla norma, si possano far valere indebitamente i presupposti applicativi del regime in esame. La norma prevede, dunque, che il requisito della commercialità sussista se la partecipata abbia svolto attività d'impresa, senza soluzione di continuità, almeno nei tre periodi d'imposta antecedenti la cessione.

La citata Circolare 7/E del 2013, procede poi con l'analisi della fattispecie in cui la società partecipata abbia svolto un'attività commerciale e la interrompa antecedentemente la cessione della partecipazione. Qualora il periodo di interruzione dell'impresa commerciale risulti solo momentaneo, in quanto l'impresa continua a essere dotata di una struttura operativa che le consenta di riprendere il processo produttivo in tempi ragionevoli in relazione all'oggetto dell'attività d'impresa, il periodo di inattività non è rilevante ai fini della verifica della commercialità. In tal caso, infatti, l'impresa continua a disporre di una struttura adeguata a soddisfare la domanda del mercato nei termini precedentemente specificati.

Al contrario, se è necessario verificare il requisito della commercialità nei tre periodi d'imposta antecedenti il realizzo, viceversa, l'assenza di un'attività commerciale nel triennio che precede il realizzo, comporta che, stante l'impossibilità di accesso al regime P.Ex., eventuali plusvalenze risultino integralmente imponibili. Sarà quindi necessario valutare la circostanza che l'esercizio di un'attività non commerciale antecedente la cessione della partecipazione si sia protratto per un periodo congruo.

Osservazioni

Secondo l'interpretazione data dai giudici di Bergamo, ai fini della determinazione del momento a partire dal quale l'impresa si qualifica come commerciale, è necessario identificare le attività messe in atto nella fase iniziale, finalizzate all'allestimento della struttura organizzativa aziendale necessaria all'esercizio dell'attività dell'impresa (c.d. fase di start up).

Secondo la citata Circolare 7/E del 2013, si considerano atti tipici della fase di start up, ad esempio, tutte le attività dirette a costituire, definire e rendere operativa la struttura aziendale, comprese quelle relative agli studi preparatori, all'ottenimento di permessi, licenze e autorizzazioni, alle ricerche di mercato, all'addestramento iniziale del personale, all'acquisizione delle risorse finanziarie e tecniche necessarie ad avviare l'attività dell'impresa.

Il periodo di start up, infatti, ancorché non idoneo autonomamente a configurare l'esercizio di attività commerciale, può assumere una connotazione commerciale, ai fini P.Ex., nell'ipotesi in cui venga seguito dallo svolgimento dell'attività d'impresa. Il requisito della commercialità può dunque considerarsi sussistente già nella fase di start up, se la società partecipata, dopo aver ultimato le fasi preparatorie ed essersi dotata di un apparato organizzativo autonomo, inizi successivamente a svolgere l'attività per la quale è stata costituita.

Ad esempio, questo può succedere quando una società ha inizialmente svolto alcune attività preliminari finalizzate all'ottenimento della concessione, a seguito del cui ottenimento ha iniziato il progetto di valorizzazione delle aree. Come specificato dalla suddetta Circolare, la commercialità si concretizza nell'idoneità anche potenziale dell'impresa a soddisfare le richieste provenienti dal mercato nei tempi tecnici ragionevoli in relazione alle specificità dei settori economici di appartenenza. Di conseguenza si può affermare che, in tale caso c'è stato un effettivo esercizio dell'attività con riferimento alla fase di start up.

Un altro esempio si può riscontrare nell'ambito delle concessioni dirette alla progettazione, esecuzione e gestione funzionale ed economica di opere di interesse pubblico o di pubblica utilità, dove l'esercizio di impresa commerciale potrebbe ritenersi sussistente già nelle fasi iniziali di progettazione e realizzazione dell'investimento, in quanto tali attività sarebbero direttamente riconducibili all'oggetto sociale per il quale la società è stata costituita.

Tali attività qualificano l'impresa come “commerciale” anche nell'ipotesi in cui non risulti ancora avviata la successiva fase di gestione dell'opera. Infatti, ai fini del riconoscimento dell'esercizio di impresa commerciale nell'ambito della disciplina della P.Ex., non rileva la circostanza che determinate attività possano, in ragione delle loro specificità, portare a conseguire i primi ricavi a distanza di anni dalla costituzione della società.

Risulta, invece, determinante il fatto che l'impresa disponga di una struttura idonea a soddisfare la domanda del mercato in tempi ragionevoli, in quanto si trova nella condizione di dare inizio alla realizzazione dell'opera infrastrutturale che, nel caso specifico, comprende anche la fase progettuale iniziale.

Infine, va ricordato che, nella Risoluzione n. 323/E del 2007, la stessa Agenzia ha stabilito che “il principio di fondo cui ricondurre ogni ragionamento inerente la “commercialità” o meno della società partecipata è quello per cui l'oggetto di cessione deve essere un'effettiva attività d'impresa [...] Non basta, pertanto, ai fini della “commercialità” di cui trattasi, la mera costituzione in forma di società di capitali”.

In tale Risoluzione l'Agenzia chiarisce che la presunzione assoluta di non commercialità prevista per le società immobiliari (e quindi la non applicabilità per tali società del regime P.Ex.), è concepita in base all'assunto che in esse non esiste “esercizio d'impresa”, in quanto la loro attività non possiede le caratteristiche di cui alla lettera d) del comma 1 dell'art. 87 del TUIR.

Inoltre, il regime della P.Ex. si dovrebbe applicare ai soli casi in cui il sottostante patrimonio della società partecipata si configuri come azienda e soprattutto quest'ultima risulti utilizzata nell'esercizio dell'attività d'impresa. Secondo l'Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 165/E del 25 novembre 2005, la verifica della sussistenza del requisito della commercialità deve essere effettuata in concreto, facendo riferimento all'attività effettivamente esercitata dalla società partecipata.

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