Legittimo l’accertamento anche nei confronti del conto cointestato col familiare
21 Settembre 2015
Massima
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18125 del 15 settembre 2015, ha affermato che l'accertamento fiscale è legittimo anche se è effettuato su versamenti sospetti che sono relativi ad un conto corrente intestato con un familiare; per i giudici di legittimità è compito del contribuente dimostrare la natura di ogni movimentazione sospetta che è stata contestata dall'Amministrazione finanziaria.
Il caso
La vicenda tra origine da una controversia tra un contribuente e l'Agenzia delle Entrate; il contribuente ha impugnato l'avviso con il quale, a seguito di indagine finanziaria effettuata su alcuni correnti bancari, veniva accertata per l'anno di imposta 2004, una maggiore Irpef dovuta; la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, riformando integralmente la decisione di primo grado favorevole alla contribuente. In particolare la Corte territoriale osservava che l'art. 32, comma 1, n. 2, DPR n. 600/1973, ha introdotto una presunzione legale relativa e ha ritenuto che la contribuente non era stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie poi riprese a tassazione, non essendo sufficiente la semplice allegazione relativa alla cointestazione del conto corrente bancario con la madre, che vantava facoltose disponibilità economiche. La questione
Il legislatore, sia nell'ambito delle imposte dirette, sia dell'IVA, ha statuito una presunzione legale relativa a favore del Fisco, secondo cui è il contribuente a dover dimostrare che le somme transitate sul proprio conto corrente, oggetto di contestazione, non dovevano concorrere alla formazione del reddito di periodo. Ad una prima lettura il disposto normativo sembra non fare distinzione di sorta tra accertamento condotto nei confronti di soggetti privati, ovvero esercenti attività d'impresa, arte o professione, tanto che il generico richiamo fatto agli artt. 38, 39, 40 e 41 D.P.R. n. 600/1973, sembra rendere uniforme il procedimento accertativo nei confronti di chiunque. In realtà, come giustamente affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 27 settembre 2011, n. 19692, mentre l'Ufficio può desumere per qualsiasi contribuente che i versamenti operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscono reddito, così non è per i prelevamenti. Per questi ultimi, infatti, la presunzione di maggior reddito può operare solo per i possessori di reddito d'impresa o di lavoro autonomo, non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali le spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. Il ragionamento della giurisprudenza di legittimità è in linea con il dettato normativo dell'art. 32, D.P.R. n. 600/1973: mentre, infatti, la prima parte del punto 2), prevede che la rettifica possa essere effettuata ai sensi degli artt. 38, 39, 40 e 41, quindi non solo nell'ambito del reddito imprenditoriale/professionale, ma anche nell'ambito del reddito complessivo dichiarato dal contribuente, la seconda parte, facendo riferimento ai soli ricavi e compensi, relega la possibile rettifica ai soli possessori di reddito d'impresa, arte o professione. Questi ultimi hanno comunque la possibilità di fornire la prova contraria indicando il soggetto beneficiario, dimostrando inoltre che i prelevamenti e gli importi riscossi oggetto di contestazione risultano dalle scritture contabili tenute ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA.
Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità, con sentenza in commento, ritengono che le diverse motivazioni del ricorso, da trattarsi congiuntamente afferendo sostanzialmente alla medesima questione, non appaiono meritevoli di accoglimento. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la Cassazione è ferma nel ritenere che qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'amministrazione è soddisfatto, secondo l'art. 32, D.P.R. n. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, «il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili». Osservazioni
Con riferimento, poi, specificamente, alla censura espressa con il primo motivo, si è precisato che i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione, ai sensi dell'art. 32, D.P.R. n. 600/1973, poiché questa previsione e quella di cui all'art. 38, del medesimo D.P.R. hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell'attività svolta e dalla quale quei redditi provengano.
La Cassazione rigetta il ricorso della contribuente e la condanna al pagamento delle spese in favore dell'Agenzia delle Entrate. |