Presunzioni tributarie relative e decreto di sequestro preventivo per equivalente

28 Dicembre 2016

È noto come nell'ambito del diritto tributario il potere di accertamento dell'Amministrazione Finanziaria sia spesso fondato, in forza di numerosi ed espressi riconoscimenti normativi, sullo strumento presuntivo. In forza di tale istituto, l'Amministrazione Finanziaria può determinare la base imponibile, e di conseguenza la maggior imposta evasa, o in forza di presunzioni relative, così dando vita a quel meccanismo che genera l'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente, o ancora, in forza di presunzioni semplici che in quanto tali trovano il loro ambito di operatività al ricorrere di circostanze gravi, precise e concordanti. È legittimo il decreto di sequestro preventivo per equivalente disposto sulla base di presunzioni tributarie, potendo la decisione, in sede cautelare, fondarsi sulla sussistenza di elementi di natura meramente indiziaria.
Massima

È legittimo il decreto di sequestro preventivo per equivalente disposto sulla base di presunzioni tributarie, potendo la decisione, in sede cautelare, fondarsi sulla sussistenza di elementi di natura meramente indiziaria. Pertanto, deve ritenersi che la presunzione prevista dall'art. 12 del D.L. n. 78/2009, secondo la quale gli investimenti e le attività finanziarie detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato, si presumono, ai soli fini fiscali e salvo prova contraria, costituiti mediante redditi sottratti a tassazione in Italia, costituisca elemento idoneo ad integrare il necessario presupposto del fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000, pur in presenza di elementi di segno contrario.

Il caso

Premessa

È noto come nell'ambito del diritto tributario il potere di accertamento dell'Amministrazione Finanziaria sia spesso fondato, in forza di numerosi ed espressi riconoscimenti normativi, sullo strumento presuntivo.

In forza di tale istituto, l'Amministrazione Finanziaria può determinare la base imponibile, e di conseguenza la maggior imposta evasa, o in forza di presunzioni relative, così dando vita a quel meccanismo che genera l'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente, o ancora, in forza di presunzioni semplici che in quanto tali trovano il loro ambito di operatività al ricorrere di circostanze gravi, precise e concordanti.

Volendo citare solo alcuni riferimenti normativi esemplificativi dei due istituti appena citati si possono ricordare per quanto riguarda la prima categoria gli articoli 32 co. 1 n. 2 e 38 co. 5 del d.P.R. n. 600/1973; per quanto riguarda la seconda, invece, gli articoli 38 co. 3 e 39 co. 1 lett. d) dello stesso d.P.R. n. 600/1973; inoltre, in determinati casi tassativi, ricorrenti al verificarsi di determinate condizioni, l'Ufficio potrà determinare i valori contabili di riferimento anche prescindendo dai requisiti di gravità, precisione e concordanza così come stabilito dall'art. 39 co. 2.

È noto altresì come, sussistendo determinati requisiti, sia possibile agli organi accertatori dare vita ad un atto di natura induttiva. Nell'ambito tributario spetterà poi all'Ufficio motivare adeguatamente il percorso logico giuridico seguito nella determinazione dei valori di un avviso di accertamento fondato su tale metodo.

Le problematiche connesse ai metodi presuntivi di determinazione del reddito non si arrestano però alla disciplina tributaria andando ad investire, a determinate condizioni, altri ambiti del sistema normativo quali ad esempio la disciplina penale tributaria contenuta nel D.Lgs. n. 74/2000.

I reati tributari, in seguito alla riforma operata nel 2000 attraverso il decreto legislativo da ultimo citato, essendo intenzione del legislatore renderli maggiormente conformi al principio di offensività, si configurano tra l'altro ed in molti casi solo allorquando, riguardo all'elemento oggettivo del reato, la maggiore imposta evasa supera determinate soglie di valore.

Di fronte a queste fattispecie allora bisogna chiedersi se, una volta superate in sede di accertamento le soglie di punibilità previste dal D.Lgs. n. 74/2000, i valori fondanti la maggiore imposta evasa e di conseguenza i metodi determinativi di questi ultimi (così come determinati in sede tributaria), siano vincolanti in sede penale e in che misura.

In tale interazione tra apparati normativi differenti, un ruolo determinante è quindi svolto dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, con la pronuncia in commento, ha stabilito il principio di diritto per cui a fondare la legittimità di un decreto di sequestro preventivo per equivalente è sufficiente anche solo una presunzione tributaria relativa.

Con decreto del 03 marzo 2015, il G.I.P. del Tribunale di Macerata, su conforme richiesta del PM procedente, disponeva il sequestro preventivo, finalizzato alla successiva confisca per equivalente, di somme di denaro, titoli ed altri beni mobili e/o immobili nella disponibilità di un contribuente, indagato per il reato di dichiarazione infedele di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 per aver omesso di indicare nei redditi il saldo di un conto corrente aperto presso una banca svizzera.

La Guardia di Finanza aveva fondato il rilievo sulla presunzione prevista dall'art. 12 del D.L. n. 78/2009, secondo il quale gli investimenti e le attività finanziarie detenute in Paesi a regime fiscale privilegiato, ai soli fini fiscali, si presumono, salvo prova contraria, costituiti mediante redditi sottratti a tassazione in Italia. L'imposta ritenuta evasa, calcolata su tali presunzioni, superava la soglia penale e, pertanto, il contribuente veniva indagato per il delitto di dichiarazione infedele.

Avverso il predetto decreto di sequestro, il contribuente avanzava richiesta di riesame, chiedendone la revoca.

Tuttavia, in rigetto del gravame proposto, il Tribunale di Macerata - Sezione Riesame, confermava l'impugnato decreto, ritenendo di dover mantenere la cautela reale disposta e motivando la conferma del sequestro preventivo sulla base dell'assunto per cui, potendo la decisione, in sede cautelare, fondarsi sulla sussistenza di elementi di natura meramente indiziaria, deve ritenersi che la presunzione derivante dal trasferimento di risorse finanziarie in un Paese a fiscalità privilegiata (seppur avvenuto per il tramite di intermediari bancari autorizzati), costituisca elemento idoneo ad integrare il necessario presupposto del fumus commissi delicti.

L'astratta configurabilità del reato ex art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 veniva, quindi, fondamentalmente desunta dalla presunzione tributaria relativa di cui all'art. 12 del D.L. n. 78/2009, a nulla rilevando gli elementi di segno contrario addotti dal contribuente al fine di vincere la presunzione tributaria relativa.

L'indagato proponeva così ricorso per Cassazione, lamentando la violazione, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 125 e 321 c.p.p., nonché degli artt. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 e art. 12 del D.L. n. 78/2009, norma della quale era necessario tenere conto per l'applicazione della legge penale in relazione alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000, nella parte in cui si riteneva sufficiente ad integrare il reato contestato la presunzione relativa prevista dalla predetta norma tributaria, pur in presenza di elementi concreti di segno contrario, nonché, che la misura cautelare fosse stata disposta esclusivamente su mere presunzioni tributarie che, per costante giurisprudenza, non possono costituire fonte di prova della commissione di reato.

La questione

Invero, stando alla ricostruzione ed interpretazione, fornita dalla difesa del contribuente, della norma tributaria extra-penale in questione, della quale è necessario tenere conto per l'applicazione della legge penale, la presunzione fiscale di cui all'art. 12 del D.L. n. 78/2009 assumerebbe rilevanza ai soli fini tributari alla luce di un duplice dato: in primo luogo, il tenore letterale della norma, secondo il quale la validità della presunzione sussiste soltanto ai fini fiscali; in secondo luogo, la ratio della stessa, che risiederebbe nell'estendere al settore delle attività estere (difatti, secondo la suddetta norma, inserita dal legislatore all'interno di alcune misure urgenti per il contrasto all'evasione fiscale, in mancanza di idonea prova contraria fornita dal contribuente, le disponibilità detenute in determinati Paesi previsti da due decreti del Ministro dell'Economia - emanati ai fini della residenza fiscale e della disciplina per società controllate estere -, si consideranocostituite mediante redditi sottratti a tassazione) un meccanismo presuntivo già noto al sistema tributario, concepito, quindi, su presupposti specifici e diversi in funzione delle diverse materie in esso originariamente ricomprese (in un'ottica legislativa espressiva di una “emergenza fiscale”).

Inoltre, trattandosi di una presunzione legale prevista da norme tributarie applicata in sede penale, la presunzione fiscale di cui all'art. 12 del D.L. n. 78/2009 non potrebbe costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, dovendo assumere esclusivamente il valore di dato di fatto, che dovrà essere valutato liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza della condotta penalmente rilevante.

In evidenza:
ex pluribus, Cass. pen., sez. III, n. 37851 del 04 giugno 2014, per cui le movimentazioni sul conto corrente bancario non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato di dichiarazione infedele. A sostegno della tesi esposta, vengono richiamate dalla difesa del contribuente/indagato anche due pronunce della Corte Costituzionale: la pronuncia del 26 febbraio 2002, n. 33, che, ancorché abbia avuto ad oggetto il giudizio di costituzionalità, in riferimento all'art. 24, 2° co., Cost.; dell'art. 51, 2° co., n. 2, d.p.r. n. 633/1972, ha statuito che il contribuente, in sede penale, può avvalersi di tutte le garanzie proprie del relativo procedimento, mentre “nessuna conseguenza negativa per il contribuente indagato può derivare, nel procedimento penale, dal fatto che in sede tributaria sia stato effettuato un accertamento in base alla presunzione fondata sugli elementi risultanti dalla documentazione bancaria […], non avendo l'accertamento tributario [fondato su tali risultanze], di per sé, alcuna ulteriore portata probatoria in sede penale, che va al di là di quella propria della documentazione acquisita nella stessa sede, e trasferita in sede tributaria […]”; e la più recente sentenza n. 228 del 06 ottobre 2014, la quale, sempre in argomento di presunzioni tributarie, ha in termini omogenei affermato che “[…] È arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo sia, a sua volta, produttivo di un reddito […]”.
Le soluzioni giuridiche

Ciò nonostante, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso reputando adeguatamente motivato l'impugnato provvedimento, stante il carattere sommario dell'accertamento cautelare, ove anche mere presunzioni legali possono costituire un valido indizio per giustificare la misura. I giudici di legittimità, infatti, hanno superato il rilievo esposto dal ricorrente secondo il quale le presunzioni legali previste dalle norme tributarie hanno valore indiziario sufficiente ad integrare il requisito del fumus commissi delicti solo in assenza di elementi di segno contrario (dovendosi estendere l'esame del giudice a valutare ogni altro eventuale indizio acquisito (cfr., da ultimo, Cass. pen., sez. III, 02 ottobre 2014, n. 2006), ritenendo di dover condividere le affermazioni effettuate sul punto dal tribunale del riesame per cui “[…] la verifica della consistenza della prova contraria addotta dall'indagato a proprio discarico richiede un approfondimento istruttorio di natura tecnica che è incompatibile con il carattere sommario dell'accertamento cautelare […]”.

La Suprema Corte ha infine rilevato che in sede cautelare è altresì esclusa la possibilità di contestare la portata della presunzione tributaria, che sarà poi oggetto di specifica disamina nel processo penale.

Osservazioni

La peculiarità della sentenza in commento risiede nell'aver dato rilievo in sede penale ad una presunzione operante, per espressa previsione della norma, ai soli fini tributari. Infatti, l'art. 12 del D.L. n. 78/2009 dispone che “[…] ai soli fini tributari […]” le somme rinvenute sui conti detenuti in paradisi fiscali siano considerate redditi sottratti a tassazione in Italia (per completezza, nel caso di specie, anche prescindendo da quanto finora osservato, qualche perplessità sulla rilevanza penale della presunzione fiscale di cui all'

art. 12 del D.

L. n. 78/2009

, sulla quale si pretende di radicare la contestazione del reato di dichiarazione infedele

ex art. 4 D.

Lgs

. n. 74/2000

, sorge già per l'insussistenza dei presupposti di applicazione della presunzione stessa con riferimento allo stato elvetico. L'inclusione della Svizzera tra i Paesi considerati appartenenti alla black list Ocse nel 2011, sostenuta per ritenere operante la presunzione suddetta, appare quantomeno singolare dal momento che già durante l'anno precedente proprio l'Ocse annoverava nella propria white list la confederazione elvetica, come attestato dal relativo report del giugno 2010).

Ne consegue che tale presunzione non ha valore indiziario in termini generali, ma esclusivamente ai fini amministrativi.

La decisione, pur collocandosi nell'orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui ai fini cautelari, anche la presunzione fiscale può rappresentare un valido indizio, pare non considerare che in questa ipotesi la norma prevede la rilevanza esclusiva ai fini tributari.

La ratio è da individuare nel fatto che per le somme detenute all'estero, nella maggior parte dei casi, non vi è alcuna correlazione né relativamente ai vari anni di imposta in cui l'evasione si sarebbe perpetrata, né alle somme accumulate in ciascun anno. Ai fini fiscali, quindi, presuntivamente gli importi evasi sono imputati in un unico periodo di imposta.

Sotto il profilo penale, invece, occorre verificare se per ciascun anno vi sia stato il superamento delle soglie. È evidente, quindi, che se il saldo sul conto estero, come è presumibile, si sia formato in vari anni, la presunta evasione non necessariamente raggiunge per ciascun periodo la soglia di punibilità, con la conseguenza che verrebbe meno ogni illecito penale.

Infine, particolare attenzione merita il ruolo svolto in motivazione dal carattere sommario dell'accertamento cautelare. Difatti, affermando che la prova contraria addotta dall'indagato/contribuente a proprio discarico sia incompatibile con il carattere sommario dell'accertamento cautelare, comporta il rischio che dietro allo stesso finisca con il celarsi un vizio di motivazione, soprattutto nei casi interessati dall'applicazione di una presunzione tributaria, alla quale, come detto, nel processo penale è riconosciuto valore indiziario. Così stando le cose, ogni allegazione e osservazione svolta a prova contraria dal contribuente per vincere la presunzione tributaria relativa, risulterebbe infatti del tutto vana in fase cautelare, essendone preclusa ogni valutazione in tale sede.

Al contrario, a parere di chi scrive, solo un esito negativo al termine di una verifica, seppur sommaria, circa l'idoneità della prova contraria a minare il quadro accusatorio, sarebbe idoneo a fondare la sussistenza del requisito del fumus commissi delicti e a mantenere in essere il vincolo del sequestro.

Non si può allora evitare di sottolineare come, a tal proposito, l'indirizzo prevalente espresso dalla Suprema Corte sia nel senso che “[…] il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato […]” (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 49122 del 15 ottobre 2013, la quale trattava un caso del tutto analogo a quello in esame, in cui il ricorrente lamentava il mancato esame delle specifiche eccezioni sollevate dalla difesa, attraverso le relazioni dei propri consulenti, e la palese apparenza della motivazione, che non indicava le ragioni per le quali gli elementi, anche documentali, prodotti dalla difesa non erano in grado di contrastare le valutazioni della P.G.; nonché si vedano, ex plurimis: Cass. pen., sez. I, 9 dicembre 2003, n. 1885/2004, Cantoni, m. 227.498; Cass. pen., sez. III, 16 marzo 2006 n. 17751; Cass. pen., sez. II, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197; Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2007, 10979, Veronese, m. 236193; Cass. pen., sez. I, 11 maggio 2007, n. 21736, Citarella, m. 236474; Cass. pen., sez. IV, 21 maggio 2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Cass. pen., sez. II, 2 ottobre 2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650).

Ciò, onde evitare che, dietro l'asserita incompatibilità tra la prova contraria addotta dall'indagato a proprio discarico ed il carattere sommario dell'accertamento cautelare, sia reso, di fatto, impossibile l'esercizio del diritto di difesa, o meglio, l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento di sequestro risulti sottratto a qualsivoglia possibilità di verifica.

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