Tassazione delle vincite al casinò: normativa italiana e principi UE a confronto

Davide Attilio Rossetti
22 Febbraio 2017

È illegittima, per violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, la tassazione progressiva delle vincite da giochi d'azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri dell'Ue.
Massima

È illegittima, per violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, la tassazione progressiva delle vincite da giochi d'azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri dell'Ue.

Il caso

La sentenza analizza il diverso regime fiscale applicabile alle vincite conseguite presso case da gioco nazionali ed europee, ritenuta sufficiente dalla corte partenopea per configurare una restrizione alla libera prestazione di servizi in ambito comunitario. Il tema è tutt'altro che nuovo ai giudici nazionali ed europei e desta stupore constatare come il legislatore italiano sia intervenuto solo di recente sul quadro normativo recependo quelle modifiche necessarie a renderlo compatibile con l'esercizio della libera prestazione di servizi. Ciò che se da un lato elimina alla radice il thema disputandum oggetto della presente analisi, dall'altro fornisce all'interprete una preziosa chiave di lettura del rapporto intercorrente tra normativa italiana ed europea.

La questione

Nel caso de quo l'Amministrazione finanziaria contestava al contribuente residente in Italia l'omessa dichiarazione delle vincite conseguite presso casinò sloveni, e questa contestazione veniva confermata dalla commissione territoriale di primo grado. Il contribuente proponeva appello, lamentando l'assoggettamento ad un trattamento “deteriore” rispetto a quello riservato ai residenti in Italia che si rechino a giocare presso casinò italiani. Mentre le vincite conseguite dai primi concorrono a determinare il reddito del contribuente soggetto a IRPEF progressiva e ad obbligo dichiarativo in Italia; le seconde scontano la più mite imposta sostitutiva sugli intrattenimenti (pari al 10%) a carico del casinò – non già del contribuente – e non sono oggetto di indicazione nella dichiarazione dei redditi.

La questione giuridica posta ai giudici partenopei riguarda la possibilità di considerare tale diversità di trattamento fiscale alla stregua di una violazione delle libertà comunitarie.

Le soluzioni giuridiche

Vincite conseguite presso casinò esteri

Le persone fisiche fiscalmente residenti nel territorio dello Stato sono assoggettate a tassazione su tutti i redditi ovunque conseguiti (“world wide taxation principle”), ivi compresi i premi e le vincite conseguite presso casinò esteri, disciplinati come redditi “diversi” (ex art. 67, co.1, lett. d), TUIR) ed assoggettati a tassazione per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza che sia ammessa “alcuna deduzione” (art. 69, TUIR). La base imponibile viene dunque assunta al lordo dei costi che il contribuente ha sostenuto per la produzione del reddito (quali ad es., il versamento della quota di iscrizione al torneo o, ancora, alle eventuali spese di viaggio, vitto e alloggio), malgrado il contribuente possa documentare il rapporto di inerenza della spesa sostenuta al reddito in questione, come sostenuto dalla stessa Agenzia delle Entrate (Risoluzione 30 dicembre 2010, n. 141/E). La vincita lorda deve essere inoltre indicata nella dichiarazione dei redditi e concorre a formare il reddito imponibile del contribuente soggetto ad imposizione (IRPEF) progressiva.

Ulteriore aggravio per il residente in Italia che si rechi a giocare presso casinò esteri deriva dalla tassazione già subita in loco, con il rischio di doppia imposizione del medesimo reddito, tassato in prima battuta dallo Stato della fonte del reddito ed in seguito dallo Stato di residenza del giocatore. Evitare fenomeni di doppia imposizione è un obiettivo condiviso al livello internazionale ed in particolare in sede OCSE, nel cui ambito sono stati elaborati nel corso degli anni dei modelli di convenzione (il più recente è del 2014) a cui gli Stati membri dell'organizzazione si attengono per la stipulazione degli accordi bilaterali che ne ripartiscono la potestà impositiva, riconoscendola di volta in volta allo Stato della fonte del reddito o di residenza del percettore.

Le vincite al gioco non rientrano in alcuna categoria ad hoc prevista dal modello di convenzione OCSE. Per queste tipologie reddituali c.d. “atipiche” soccorre l'art. 21 del modello, che funge da “catch-all-rule” per tutti i redditi non disciplinati da altri articoli della Convenzione. L'art. 21 recita “gli elementi di reddito di un residente di uno Stato contraente […] che non sono trattati negli articoli precedenti della presente convenzione, sono imponibili soltanto in questo Stato”, accordando una potestà impositiva esclusiva in capo allo Stato di residenza del giocatore. L'applicabilità stessa della Convenzione alle vincite al casinò non è scontata, bensì occorre verificare che tale categoria di reddito non sia esclusa dal novero dei redditi oggetto della convenzione. L'Italia ha infatti escluso le vincite al gioco dall'ambito di operatività delle convenzioni concluse con Svezia, Svizzera, Nuova Zelanda, Georgia, Canada, Portogallo, Finlandia, tramite l'introduzione di una clausola del seguente tenore “the Convention shall not apply to taxes (even when deducted at source) payable on lottery winnings, on premiums other than those on securities, and on winnings from games of chance or skill, competitions and betting”.

Nel caso sottoposto ai giudici partenopei non è tuttavia in discussione l'applicabilità della convenzione contro le doppie imposizioni, in quanto il residente in Italia che si rechi a giocare presso casinò sloveni può contare sull'operatività dell'art. 21 (il trattato tra Italia e Slovenia non contiene riserve al riguardo), il quale attribuisce potestà impositiva esclusiva all'Italia.

Vincite conseguite presso casinò italiani

Diverso è il trattamento fiscale delle vincite conseguite presso casinò italiani, disciplinate dall'art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973, secondo cui “le vincite derivanti dalla sorte, da giuochi di abilità, […] corrisposti dallo Stato, da persone giuridiche pubbliche o private e dai soggetti indicati nel primo comma dell'articolo 23, sono soggette a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, con facoltà di rivalsa, con esclusione dei casi in cui altre disposizioni già prevedano l'applicazione di ritenute alla fonte”.

Se in linea di principio le vincite presso casinò italiani sono soggette a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta – quindi escluse dalla base imponibile ai fini Irpef (art. 3, comma 3, lett. a), TUIR) – tale ritenuta non trova in realtà applicazione, in quanto “sostituita” dall'imposta sostitutiva sugli intrattenimenti – introdotta dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60 – i cui soggetti passivi sono le case da gioco, non già i giocatori.

Ciò produce effetti assimilabili a quelli di un'esenzione da tassazione in capo al giocatore. L'imposta sugli intrattenimenti prevede l'applicazione dell'aliquota del 10 per cento su una base imponibile determinata “giornalmente dalla differenza, se attiva, fra le somme introitate per i giochi e quelle pagate ai giocatori per le vincite e da qualsiasi altro introito connesso all'esercizio del gioco”.

Nel quadro normativo testé delineato il regime di tassazione applicato ai giocatori presso casinò italiani ed esteri risulta dunque alquanto differenziato: diversi sono i soggetti passivi (nel primo caso i giocatori presso i casinò esteri; nel secondo i casinò italiani), i presupposti dell'imposta e le basi imponibili (le vincite presso i casinò esteri al lordo dei costi vs gliintroiti della casa da gioco italiana al netto delle vincite dei giocatori), il che genera una differenza di trattamento palesemente deteriore per i residenti in Italia che si recano a giocare presso case da gioco estere – in termini di adempimenti e costi – disincentivandone potenzialmente la pratica. Occorre dunque analizzare in che misura sia possibile individuare una violazione della libera prestazione di servizi.

Libera prestazione di servizi

L'esercizio delle attività di casa da gioco da parte di casinò esteri nei confronti di giocatori residenti in Italia integra una forma di libera prestazione dei servizi, una delle quattro libertà fondamentali europee, la cui restrizione è espressamente vietata dall'art. 56 del Trattato sul Funzionamento dell'UE. L'ambito soggettivo di operatività dell'art. 56 comprende l'ipotesi in cui:

(1) il prestatore del servizio si rechi nel Paese del destinatario, così come la situazione opposta, nella quale

(2) sia il destinatario del servizio a recarsi nello Stato in cui è stabilito il prestatore, e infine il caso in cui

(3) sia il prestatore che il destinatario si trovino in uno Stato diverso dal quello nel quale hanno la propria residenza.

È stato precisato che “la libera prestazione dei servizi comprende non solo la libertà del prestatore di fornire servizi per destinatari stabiliti in uno Stato membro diverso da quello sul cui territorio si trovi il detto prestatore, ma anche la libertà di ricevere o beneficiare dei servizi offerti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, senza essere limitato da restrizioni” (C.G.U.E., 15 giugno 2010, C-211/08, Commissione c. Spagna).

Il caso trattato dalla sentenza in commento rientra nell'ipotesi (2) supra; il gioco d'azzardo presso casinò esteri al quale partecipano giocatori residenti in Italia è una forma di libera prestazione di servizi e gode delle garanzie poste a presidio di tale libertà.

Sotto il profilo oggettivo, il divieto di restrizioni si traduce in un giudizio assoluto, volto a censurare normative (anche tributarie) che incidano negativamente sulla possibilità di un soggetto di godere di una libertà fondamentale; ciò comporta per il legislatore l'obbligo di rimuovere le restrizioni che impediscano ai cittadini comunitari, stabiliti in un altro Paese dell'Unione europea, di prestare la propria attività, a titolo occasionale, a favore di un beneficiario che si trovi in altro Stato membro alle condizioni previste dalla disciplina ivi vigente (c.d. principio del trattamento nazionale). Tale divieto si estende non solo alle restrizioni esplicite o implicite ma anche a tutte quelle misure in grado di disincentivare la prestazione o la fruizione di un servizio transfrontaliero (cfr. C.G.U.E., 3 ottobre 2000, C-58/98, Corsten, punto 33).

Un persuasivo argomento per legittimare una normativa nazionale contraria alla libera prestazione di servizi potrebbe far leva sull'assenza di armonizzazione comunitaria nel settore delle imposte dirette, che potrebbe essere interpretata come un esonero per gli Stati dal rispetto delle libertà europee fondamentali, ma tale conclusione è stata espressamente smentita dalla Corte di Giustizia UE. Al riguardo si deve rammentare che in materia di imposte dirette, pur essendo gli Stati membri competenti a definire, in via convenzionale o unilaterale i criteri di ripartizione del loro potere impositivo, in mancanza di una armonizzazione a livello europeo tale competenza deve pur sempre essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario (sentenze 19 novembre 2009, causa C-540/07; 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly; 7 settembre 2006, causa C-470/04; sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer).

È sulla base di tali considerazioni che la C.T.R. Campania ha considerato il differente trattamento applicabile ai giocatori residenti che si rechino a giocare presso casinò italiani o sloveni quale restrizione contraria alla libera prestazione dei servizi: infatti, i maggiori obblighi dichiarativi ed oneri tributari derivanti per quest'ultima categoria di contribuenti sono sufficienti a dissuadere il gioco all'estero, rendendolo meno attraente rispetto a quello italiano, il che è sufficiente perché di una restrizione possa parlarsi. La pronuncia della C.T.R. partenopea è in linea con la consolidata giurisprudenza comunitaria (CGUE sentenza del 22 ottobre 2014, Cause riunite C‑344/13 e C‑367/13) e nazionale, le quali già in passato hanno giudicato la sperequazione prevista dal legislatore italiano sufficiente per costituire una violazione alla libera prestazione di servizi (ex multis, a favore del contribuente, CTP Gorizia, 11 novembre 2011, n. 101; CTR Trieste, 4 novembre 2013, n. 77; CTP Treviso, 31 marzo 2014, n. 258; CTP Roma, 18 luglio 2014, n. 16444; CTR. Roma – Sez. Latina, 28 agosto 2014, n. 5316; CTP Teramo, 11 aprile 2014, n. 132 - 133 - 134; CTP Venezia, 20 gennaio 2015, n. 203; CTP Napoli, 17 febbraio 2015, n. 4037 - 4042 - 4044 - 4046; CTP Roma, 11 marzo 2015, n. 5788; CTP Roma, 17 marzo 2015, n. 6064; CTP Roma, 7 aprile 2015, n. 7508; CTR Milano, 14 maggio 2015, n. 2342).

Nel tentativo di difendere la legittimità della normativa fiscale sul gioco presso i casinò, l'Italia ha tentato di dimostrare d'innanzi ai giudici di Bruxelles che la norma, pur restrittiva, è giustificata in quanto finalizzata al perseguimento di interessi fondamentali per la sopravvivenza dello Stato. A tal proposito sono di particolare interesse le valutazioni compiute dalla Corte di Giustizia UE sull'inammissibilità di queste cause di giustificazione.

Giurisprudenza comunitaria: assenza di cause di giustificazione

Dal combinato disposto degli articoli 51, 52.1 e 62 TFUE, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi possono essere legittime se giustificate da esigenze nazionali collegate alla salvaguardia della pubblica sicurezza, della sanità pubblica e dell'ordine pubblico. Le possibili deroghe alla libera circolazione dei fattori produttivi nel mercato europeo sono di stretta interpretazione. Lo Stato non potrà invocare il motto machiavelliano “il fine giustifica i mezzi”, ma al contrario dovrà fornire la prova che la misura adottata non sia sproporzionata ed eccessiva rispetto all'interesse statale perseguito, ed attuare sempre un bilanciamento tra i diversi interessi in gioco. Di tal guisa, i giudici comunitari hanno negato all'Italia la possibilità di fondare l'esistenza di una causa di giustificazione sulla base di generiche affermazioni non provate, quali la prevenzione del riciclaggio di capitali e la necessità di limitare le fughe all'estero o le introduzioni in Italia di capitali di origine incerta (cfr. punti 41 e 42,; sentenza del 22/10/2014 Cause riunite C‑344/13 e C‑367/13 della Corte di giustizia).

Nel settore del gioco d'azzardo, restrizioni alle libertà comunitarie vengono generalmente giustificate invocando esigenze di ordine pubblico, le quali ricorrono nel solo caso di minaccia effettiva ed abbastanza grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività (come ad es., nel caso di sfruttamento commerciale di giochi che implicano la simulazione di omicidi, che colpisce un valore fondamentale – la dignità umana – sancito dalla Costituzione nazionale dello Stato resistente). Al riguardo occorre ricordare che “laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d'azzardo o alle scommesse affinché il pubblico Erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l'ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare restrizioni al diritto di stabilimento e alla libera prestazione di servizi” (Corte di giustizia, 6 novembre 2003, Gambelli, C-243/01, punto 69).

Come si evince dal suddetto quadro giurisprudenziale, tanto il legislatore nazionale quanto l'Amministrazione finanziaria sembrano dunque essere stati indifferenti alle istanze delle corti nazionali e del supremo organo di giustizia europeo, sino al recentissimo cambio di rotta del 2016, con il quale il legislatore italiano ha deciso di espungere dal proprio ordinamento i residui di una normativa che palesemente discriminava un intero settore economico europeo– il gioco d'azzardo – in un'ottica protezionistica, contraria ai principi fondamentali del mercato unico europeo.

In evidenza:

  • Le vincite conseguite da giocatori residenti in Italia presso casinò esteri sono assoggettate ad IRPEF e ad obbligo dichiarativo in Italia; dal reddito così determinato è esclusa ogni deduzione; le vincite possono inoltre essere oggetto di doppia imposizione da parte dello Stato della fonte (i.e., dove risiede il casinò estero) e lo Stato della residenza (i.e., l'Italia). La possibilità di chiedere a rimborso l'imposizione applicata dallo Stato della fonte del reddito è possibile in base alla convenzione contro le doppie imposizioni conclusa con la Slovenia ma in generale è tutt'altro che scontata, stante l'esclusione di tale tipologia di reddito dall'ambito di applicazione di alcune convenzioni concluse dall'Italia.
  • Le vincite conseguite da residenti in Italia presso casinò italiani sono assoggettate ad all'imposta sostitutiva sugli intrattenimenti sostenuta dal casinò, che diventa il soggetto passivo dell'imposta, calcolata applicando l'aliquota del 10% su una base imponibile pari alla differenza, se attiva, fra le somme introitate per i giochi e quelle pagate ai giocatori per le vincite.
  • La questione giuridica oggetto della pronuncia in commento riguardava la possibilità di considerare tale sperequazione alla stregua di una violazione delle libertà comunitarie. La CTR Campania ha individuato una violazione della libera prestazione dei servizi (non giustificata) – richiamando sul tema la pronuncia della Corte di giustizia nel 2014 – e ha disapplicato la normativa nazionale in contrasto con la libertà europea.
  • Il legislatore è intervenuto nel 2016 sulla normativa introducendo il co. 1-bis nell'art. 69 del TUIR, escludendo dal concorso del reddito le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo. La modifica si applica a partire dal 23 luglio 2016, sebbene sia auspicabile un applicazione retroattiva, in quanto la modifica abroga una disposizione confliggente con la normativa comunitaria, violazione già rilevata dalla Corte di Giustizia già nella pronuncia sopra citata del 2014, alla quale il legislatore italiano si è uniformato solo nel 2016. Resta ferma l'applicabilità della disciplina previgente alle vincite conseguite presso casinò situati in paesi esteri non europei o non aderenti al SEE.

Osservazioni

Con la sentenza in oggetto, la CTR Campania ha riaffermato la primazia del diritto comunitario rispetto alla normativa nazionale, destinata a cedere il passo alla prima ogniqualvolta si verifichino contrasti tra i due sistemi normativi, pena l'introduzione di un vulnus alla realizzazione dei un mercato europeo, concepito come area destinata alla libera circolazione di merci, persone, capitali e servizi.

L'attuazione del mercato europeo è resa possibile grazie al riconoscimento ai destinatari delle libertà europee del potere di azionarle direttamente ed incondizionatamente d'innanzi ai giuridici nazionali (Corte cost. n. 168/91). Al giudice nazionale spetta il dovere di valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando se del caso - il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e, nell'ipotesi di contrasto, di provvedere egli stesso all'applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale, disapplicando quest'ultima (Corte cost. 25 luglio 2014, n. 226; Corte cost. ordinanza n. 207 del 2013; Corte cost. sentenze n. 75 del 2012, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 284 del 2007).

La modifica normativa introdotta con l'art. 6, comma 1, L. 7 luglio 2016, n. 122, in vigore dal 23 luglio 2016, è successiva alla pronuncia della sentenza in commento (avvenuta il 7/5/2016) ma anteriore al deposito della stessa (eseguito il 14 ottobre 2016) ed interviene sulla disciplina fiscale applicabile alle vincite conseguite dai giocatori residenti presso casinò esteri, adeguandola ai principi europei. In particolare, il legislatore ha introdotto il comma 1-bis all'art. 69 del TUIR, ai sensi del quale “Le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta”. Stante la modifica di una norma confliggente con l'ordinamento comunitario, se ne auspica un'applicazione retroattiva da parte degli organi accertatori, senza dover ricordare in giudizio quanto già rilevato dalla Corte di Giustizia già nella pronuncia Cause riunite C‑344/13 e C‑367/13 del 2014.

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