La determinazione del valore normale deve basarsi su operazioni similari
22 Marzo 2017
Massima
Nel caso in cui venga contestato ad una società la deduzione di maggiori costi sostenuti nei confronti di alcune società del gruppo residenti all'estero e si invochi la normativa sui prezzi di trasferimento (c.d. transfer pricing), l'analisi effettuata dall'Agenzia delle Entrate, per rettificare i prezzi, si deve basare su elementi comparabili, in quanto, in caso contrario, le relative contestazioni devono essere dichiarate illegittime. Il caso
Con la sentenza n. 8905/23/16 del 10 ottobre 2016 (depositata in segreteria il 22 novembre 2016), la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, ha accolto il ricorso della società presentato per l'annullamento di un avviso di accertamento in materia di “transfer pricing”.
In particolare, da quanto si legge nella parte relativa allo svolgimento del processo, l'Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società ricorrente di avere acquistato dalle proprie controllate cinesi dei beni a prezzi non corretti secondo la normativa sui prezzi di trasferimento. Per questo motivo, erano stati ripresi in aumento alcuni costi.
L'analisi effettuata dall'Agenzia delle Entrate per rettificare i prezzi si era basata sul criterio del “Cost Plus”, che prevede, nella comparazione delle transazioni, l'applicazione di un margine lordo ai costi di produzione.
Malgrado lo studio dell'Ufficio non avesse preso a riferimento soggetti comparabili con le due società cinesi, la tesi erariale si era basata sul fatto che il metodo utilizzato dai verificatori, per effettuare le rettifiche, non presupponesse l'identità dei beni e dei servizi oggetto dell'attività, ma richiedesse esclusivamente la comparabilità di funzioni, rischi o investimenti. Pertanto, le aziende di comparazione selezionate sarebbero apparse idonee allo scopo, stante l'analogia funzionale, avuto riguardo alla progettazione, la produzione, assemblaggio, ricerca e prestazione di servizi, acquisti, distribuzione, marketing, management ecc.
Non condividendo quanto riportato nell'avviso di accertamento, soprattutto per il fatto che l'Ufficio non aveva assolutamente dimostrato quali fosse l'analogia funzionale tra le società prese a riferimento e quelle oggetto di controllo, la società ha impugnato l'atto.
La Commissione Provinciale ha quindi accolto il ricorso, sostenendo che l'Ufficio non avrebbe effettuato un'analisi corretta, in quanto avrebbe posto a fondamento delle proprie determinazioni una pluralità di soggetti che nulla avevano in comune con le società cinesi controllate dalla ricorrente. Infatti, per la determinazione del prezzo di trasferimento delle transazioni controllate, sarebbe stata necessaria la comparazione di operazioni similari in termini di prodotto e mercato, mentre non sarebbe stato sufficiente affermare che vi fosse un'analogia funzionale, senza peraltro, dimostrarla.
Inoltre, la sentenza in esame ha dato molto peso al fatto che la ricorrente ha dimostrato, tramite alcune perizie di un professionista :
La questione
La sentenza in esame si basa sulla corretta applicazione della normativa sul transfer pricing. La disciplina dei prezzi di trasferimento in Italia è contenuta nel comma 7, art. 110, d.P.R. n. 917/1986. Tale norma, rubricata "Norme generali sulle valutazioni", dispone che: "I componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva un aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri [...]. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l'impresa esplica attività di vendita e di collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti". Per la determinazione del valore normale, il comma 7 dell'art. 110, d.P.R. n. 917/1986, rinvia all'art. 9 dello stesso decreto. Il terzo comma dell'art. 9, definisce il valore normale per i servizi come "il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi delle stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni e i servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni e i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore". Il concetto di valore normale definito legislativamente si uniforma al principio di libera concorrenza consigliato in via primaria dall'OCSE per la determinazione della congruità del prezzo di trasferimento. In breve, tale valore deve essere uguale o similare a quello che sarebbe stato pattuito per transazioni assimilabili da terze imprese indipendenti. Al fine di verificare la correttezza della determinazione dei prezzi di trasferimento, sono stati elaborati alcuni criteri.
Il Ministero delle finanze ha fornito utili indicazioni sul fenomeno del “transfer pricing” nelle ormai datate C.M. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980 e n. 42/12/1587 del 12 dicembre 1981. Anche la Guardia di Finanza ha emesso le proprie istruzioni con la Circolare 1/2008. Recentemente sono stati emessi il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 29 settembre 2010, prot. n. 2010/137654, la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 58/E del 15 dicembre 2010, e la Circolare delle Dogane n. 16/D del 6 novembre 2015.
Alcuni di questi documenti sono stati diffusi a commento dell'entrata in vigore dell'art. 26 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale ha previsto la possibilità per i contribuenti di predisporre la documentazione necessaria per giustificare le politiche dei prezzi di trasferimento e di comunicare il relativo possesso nella dichiarazione dei redditi, beneficiando così della mancata irrogazione di sanzioni in caso di un'eventuale rettifica (art. 1, comma 2-ter, del D.Lgs. n. 471/1997).
Infine, si ricorda che, in conformità alle indicazioni OCSE sul Country-by-Country Report fornite in ambito del Progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), la Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha introdotto nell'ordinamento italiano specifici obblighi di rendicontazione a carico delle società italiane controllanti di gruppi con fatturati di oltre 750 milioni di Euro, ovvero a carico delle controllate italiane, qualora la controllante estera, per qualsiasi motivo, non adempia a tali obblighi comunicativi (cfr. in particolare, i commi da n. 145 a n. 147 dell'art. 1 della Legge). Costituiscono oggetto di rendicontazione l'ammontare dei ricavi e degli utili lordi, le imposte pagate e maturate, nonché altri elementi indicatori di attività economica effettiva.
Le soluzioni giuridiche
La sentenza della CTP di Milano conferma un principio fondamentale, ovvero che l'analisi dei prezzi di trasferimento si deve basare su elementi comparabili. Infatti, viene sancito che, qualsiasi sia il metodo utilizzato, compreso quelli basati sugli utili, è necessario che i soggetti presi a riferimento siano confrontabili. In caso contrario, la comparabilità dei prezzi non è possibile.
Del resto, come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate nei recenti provvedimenti sopracitati, l'analisi della comparabilità è l'elemento essenziale del modo di procedere, valide per ogni modalità di controllo adottata. In particolare, tale analisi deve avere per oggetto:
Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate l'analisi deve essere basata su elementi comparabili, altrimenti non è possibile effettuare le eventuali rettifiche.
La stessa giurisprudenza (CTR Lombardia n. 69 del 7 giugno 2011) ha stabilito che l'Ufficio, per addivenire alle proprie conclusioni, deve scegliere un metodo di determinazione del prezzo più idoneo al caso.
Inoltre, con la sentenza n. 3591/2016 del 16 maggio 2016 (depositata in segreteria il 15 giugno 2016), la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia-Milano, ha accolto l'appello della società ricorrente, sostenendo che l'Ufficio non ha effettuato un'analisi corretta delle transazioni comparabili, in quanto ha posto a fondamento delle proprie determinazioni una pluralità di soggetti che nulla avevano in comune con le società cinesi controllate dalla ricorrente. Infatti, per la determinazione del prezzo di trasferimento delle transazioni controllate, sarebbe stata necessaria la comparazione di operazioni similari in termini di prodotto e mercato, mentre non è stato sufficiente affermare che vi fosse un'analogia funzionale, senza peraltro, dimostrarla. In caso contrario, vi sarebbe una violazione della normativa contenuta negli artt. 110, comma 7, e 9, comma 3, a cui il primo rinvia, del TUIR. Tali conclusioni sono confermate anche dalle linee guida dell'OCSE. In particolare, analizzando quanto riportato nel paragrafo 2.23, si ricava che: “Sulla base dei principi menzionati al capitolo 1, la transazione sul libero mercato può essere paragonata a una transazione controllata (costituisce cioè una transazione comparabile sul libero mercato) ai fini del metodo del prezzo di rivendita se viene soddisfatta una delle due seguenti condizioni” e cioè non esistono differenze tra le transazioni comparate o sono possibili correzioni ragionevolmente adeguate per eliminare gli effetti di dette differenze.
Nella direttiva 2.41 si legge anche che “come nel caso del metodo del prezzo di rivendita, (vedasi paragrafo 2.28), quando esistono differenze sostanziali che incidono ulteriormente sui cost plus mark up ottenuti nel corso delle transazioni controllate sul libero mercato... dovrebbero essere apportate le correzioni per tener conto di tale differenze. La misura e l'affidabilità di dette correzioni influenzeranno la relativa affidabilità delle analisi effettuate secondo il metodo del costo maggiorato applicato in determinati casi”.
In sostanza l'OCSE fa presente che, se le differenze fra i beni da confrontare sono molto rilevanti, si può far luogo a modesti interventi correttivi, ma che se questi sono di grande misura, le analisi non possono essere considerate come affidabili. Pertanto nel caso di cui trattasi, ove i beni delle transazioni controllate sono completamente diversi da quelli delle transazioni rilevate sul libero mercato, non è possibile effettuare un confronto del prezzo.
Tali considerazioni valgono anche nel caso in cui le attività esercitate dalle società prese a confronto siano comprese nello stesso codice ATECO. Infatti, il relativo codice riclassifica le varie attività che vengono svolte in un medesimo settore (ad esempio, componistica auto), ma ciò non implica che vi sia una similarità.
Come sostenuto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia del 9 luglio 2015, numero 3165/34/15, non è sufficiente, nella scelta delle società campione, basarsi sul codice attività ATECO, ma è necessario verificare anche l'oggetto dell'attività svolta dalle singole società. Inoltre, tale tesi non cambierebbe neppure quanto vengono utilizzati metodi alternativi a quelli tradizionali, quali quelli reddituali.
In merito, si ricorda che, con la sentenza n. 539/1/16 del 28 gennaio 2016, la CTR Lombardia-Milano, ha respinto l'appello dell'Agenzia delle Entrate, la quale aveva rettificato i prezzi utilizzando il criterio del “Transactional net margin method” (di seguito anche TNMM), che basa la comparazione delle transazioni sul loro utile netto.
In particolare, i giudici non hanno accolto l'appello dell'Ufficio, sostenendo che il metodo utilizzato dal contribuente, quello definito CUP, deve ritenersi preferibile, in quanto più affidabile, rispetto a quello definito TNMM.
Tale maggior affidabilità consiste nel fatto che il CUP si basa sul raffronto tra i prezzi praticati da un soggetto a un altro del medesimo gruppo, con quelli praticati dallo stesso soggetto a un altro estraneo del gruppo, ovvero fra un soggetto differente da quello “indagato”, ma analogo, e un terzo indipendente, pur sempre in relazione a beni o servizi comparabili. In altri termini, tale metodo permette meglio degli altri di confrontare i prezzi in una situazione di libera concorrenza.
Inoltre, la CTR della Lombardia ha ritenuto che comunque i risultati ottenuti dall'Agenzia delle Entrate, applicando il metodo reddituale, fossero falsati dal ricorso ad un “panel” di soggetti comparabili inadeguato, inadatto per un corretto raffronto e per un affidabile ricostruzione della situazione della società ricorrente. Infatti, le società, le cui operazioni erano state prese in esame ai fini di un paragone, presentavano delle notevoli differenze strutturali rispetto alla contribuente accertata.
Sulla necessità della comparabilità delle transazioni, si è espressa, infine, anche la Corte di Cassazione (sentenza n. 15282 del 21 luglio 2015) che ha accolto i motivi del ricorso di un contribuente, il quale aveva impugnato una sentenza di una CTR, stabilendo che i giudici di secondo grado non avevano basato la propria decisione su un analisi delle differenze che vi erano nei prodotti presi a riferimento e in altri elementi. Osservazioni
La sentenza della CTP di Miano è assolutamente condivisibile, in quanto, per effettuare una contestazione in merito ai prezzi di trasferimento, è necessario che vi siano operazioni similari sulle quali basare le comparazioni (prodotti similari e stesso mercato): vi devono essere similarità del prodotto preso in esame e medesimo mercato geografico. Vanno poi considerate altre variabili quale le norme interne del paese di destinazione. Nel caso in cui, al contrario, l'Ufficio applichi un metodo di rettifica considerato valido anche dalla prassi internazionale, ma ponga in essere la comparazione operando su transazioni non comparabili, l'accertamento non può essere considerato legittimo. I soggetti accertatori, nell'effettuare la loro analisi al caso preso in esame dalla sentenza in commento, non hanno considerato che le società estere operavano nei confronti della società italiana come soggetti terzi, visto la loro autonomia organizzativa ed economica, e vendevano prodotti altamente qualificati che nessun altro produttore realizzava. Pertanto, le transazioni già si potevano definire effettuate tra parti indipendenti. Inoltre, malgrado quanto stabilito dalla Direzione Centrale, con i documenti di prassi sopra citati, le motivazioni dei rilievi non erano state basate su analisi di elementi comparabili, in quanto erano state prese a riferimento società che producevano beni diversi, che operavano su un'area geografica diversa e che avevano un fatturato non equivalente. Infine, non erano state indicate le funzioni equiparabili relativamente alle società prese a confronto, così come gli altri elementi necessari per effettuare una sostenibile rettifica di valore.
In assenza di tale comparazioni, le eccezioni sollevate dall'Ufficio non potevano considerarsi provate e, per questo motivo, la Commissione tributaria ha accolto il ricorso della ricorrente. |