La vendita di acqua in “boccioni” sconta l'IVA agevolata al 10%

22 Maggio 2017

In tema aliquota IVA sulle acque l'art. 2 del D.Lgs. n. 176/2011 precisa la differenza, per proprietà organolettiche e salutistiche, tra acque minerali e acque sorgive destinate al consumo umano. Per le acque minerali si applica l'aliquota al 19% prevista dal D.L. n. 261/1990, mentre per le acque potabili o di sorgente rimane applicabile l'aliquota agevolata del 10% prevista dal n. 81 della tabella A parte III del d.P.R. n. 633/1972.
Massima

In tema aliquota IVA sulle acque l'art. 2 del D.Lgs. n. 176/2011 precisa la differenza, per proprietà organolettiche e salutistiche, tra acque minerali e acque sorgive destinate al consumo umano (potabili o di sorgente), trascurando le modalità di erogazione del servizio. La non rilevanza della modalità di erogazione trova conferma nell'art. 2 del D.Lgs. n. 31/2001, il quale definisce «acque destinate al consumo umano: le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori». Pertanto, per le acque minerali si applica l'aliquota al 19% prevista dal D.L. n. 261/1990, mentre per le acque potabili o di sorgente rimane applicabile l'aliquota agevolata del 10% prevista dal n. 81 della tabella A parte III del d.P.R. n. 633/1972, senza restrizioni connesse al modo in cui vengono commercializzate o erogate.

Il caso

Nell'ambito dell'esame effettuato durante le attività ispettive, l'Agenzia delle Entrate di Modena riscontrava l'emissione di fatture con aliquota IVA al 10% aventi ad oggetto la cessione di acqua di sorgente destinata al consumo umano in “boccioni” (ossia quei dispenser dotati di bicchieri che troviamo in moltissimi uffici).

Secondo l'Agenzia la disciplina IVA cui assoggettare le cessioni di acqua destinata al consumo umano (acqua di sorgente o acqua da tavola) è disciplinata dalla Risoluzione n. 11/E del 17 gennaio 2014 (per quanto si possa intendere come “disciplinante” un atto interno all'Agenzia, ndr), nella quale si afferma che “l'aliquota agevolata del 10 per cento di cui al n. 81 della Tabella A, parte III, allegata al d.P.R. n. 633/1972, sia applicabile ai soli corrispettivi dovuti per la erogazione di acqua “potabile” e “non potabile”, erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i Comuni (o con le società autorizzate all'erogazione del servizio), mediante l'allacciamento alle condotte idriche della rete idrica Comunale. Trattasi, in altre parole, del servizio generale di erogazione idrica, il cui corrispettivo - determinato applicando il regime tariffario in uso - è commisurato ai consumi (misurati tramite contatori intestati ai singoli utenti). L'aliquota ridotta consente, infatti, di ridurre i costi a carico della collettività per ottenere un servizio primario quale è l'erogazione dell'acqua, in conformità alla normativa dettata a livello europeo. In tal senso la stessa Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006, all'art. 98, precisa che l'aliquota ridotta può essere applicata unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell'allegato III, tra cui, in particolare al numero 2), è espressamente richiamata la “erogazione di acqua” ”.

Per l'Ufficio, la ratio dell'aliquota agevolata è da individuarsi nell'interesse pubblico, ossia nell'agevolare un servizio primario per la collettività quale è l'erogazione dell'acqua. Per tale ragione, sempre secondo la risoluzione, “il suddetto trattamento fiscale agevolato, di stretta interpretazione, non si può, pertanto, estendere alle cessioni di acqua di sorgente o acqua da tavola, chimicamente simile all'acqua potabile, ma commercializzata al pari delle acque minerali, per le quali, conseguentemente, torna applicabile l'aliquota ordinaria, attualmente del 22 per cento”.

Di conseguenza, l'Agenzia delle Entrate di Modena emetteva un avviso di accertamento contestando alla società l'emissione di fatture di vendita di detti boccioni con indicazione di aliquota inferiore, in violazione degli artt. 16 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, recuperando quindi la maggiore IVA accertata.

Avverso tale atto la Società proponeva ricorso, sostenendo l'infondatezza della pretesa dell'Ufficio, viziata dalla non corretta identificazione della tipologia di acqua commercializzata e dall'infondato restringimento del campo dell'agevolazione alla sola erogazione di acqua mediante rete idrica comunale, e ciò in violazione di quanto ricavabile dal combinato disposto del n. 81 della tabella A parte III del d.P.R. n. 633/1972, del codice ex 22.01, dell'art. 98 della Direttiva comunitaria 2006/112/CE, del D.Lgs. n. 176/2011 (il quale ha dato attuazione della Direttiva 2009/54/CE) e del D.Lgs. n. 31/2001 (attuativo della Direttiva 98/83/CE).

La questione

La questione principale sottoposta al vaglio della CTP di Modena verte sull'identificazione dell'aliquota IVA da applicare alla vendita di acqua di sorgente nei c.d. boccioni.

Per poter rispondere a tale domanda è necessaria una disamina della normativa nazionale e comunitaria volta, in primis, all'individuazione delle diverse tipologie di acque e bevande in commercio. Conseguentemente, una volta individuata la categoria di appartenenza del bene commercializzato, sarà necessario chiedersi se il legislatore, per l'acqua diversa dalla minerale, abbia inteso restringere il campo di applicazione dell'IVA agevolata alla sola ipotesi di erogazione mediante rete idrica comunale.

Le soluzioni giuridiche

La tesi dell'Agenzia delle Entrate poggia esclusivamente sulla risoluzione n. 11/2014, richiamante D.Lgs. n. 176/2011, il quale ha introdotto e regolamentato la distinzione tra le acque minerali e le acque di sorgente.

Secondo l'Ufficio l'acqua di sorgente, avendo caratteristiche simili all'acqua minerale ed essendo venduta con le stesse modalità (bottiglia o boccioni), ne dovrebbe scontare lo stesso trattamento IVA.

In base a questa interpretazione “l'acqua di sorgente” non sarebbe includibile nel termine “acqua” indicato nella tabella A parte III del Decreto IVA, per il quale è prevista l'aliquota del 10%, ma nell'acqua minerale. L'Ufficio, molto semplicisticamente, giunge a tale conclusione operando un'interpretazione per esclusione: con il termine “acqua” di cui alla predetta tabella va inteso solo il servizio di erogazione mediante l'allacciamento alle condotte della rete idrica comunale.

Il fondamento dell'aliquota agevolata sarebbe da ricercare nella volontà del legislatore di agevolare un servizio primario per la collettività quale è l'erogazione dell'acqua. Per tale ragione, sempre secondo la risoluzione, “il suddetto trattamento fiscale agevolato, di stretta interpretazione, non si può, pertanto, estendere alle cessioni di acqua di sorgente o acqua da tavola, chimicamente simile all'acqua potabile, ma commercializzata al pari delle acque minerali, per le quali, conseguentemente, torna applicabile l'aliquota ordinaria, attualmente del 22 per cento”.

L'interpretazione dell'Agenzia non è condivisibile e si pone in aperto contrasto con il dato normativo ricavabile dall'analisi combinata della normativa nazionale e comunitaria.

Infatti, non solo non ci sono elementi giuridici idonei a limitare il riconoscimento dell'IVA agevolata alla sola acqua erogata per mezzo di condotte idriche, ma nemmeno è fondata una totale equiparazione tra due categorie di beni (acqua sorgiva e acqua minerale) definite e disciplinate dal legislatore in maniera differente.

Il punto di partenza è il n. 81 della tabella A parte III del d.P.R. n. 633/1972, il quale elenca i beni ad aliquota ridotta 10%, ricomprendendovi “l'acqua, l'acqua minerale (v.d. ex 22.01)”.

Il tenore letterale della norma suggerisce che il legislatore abbia voluto individuare due diverse categorie: da una parte l'acqua, dall'altra l'acqua minerale. Ratio normativa che trova conferma nell'art. 5 co. 3 del D.L. n. 261/1990, il quale ha previsto l'aliquota del 19% per la cessione di “acqua minerale”.

La diversità tra le due tipologie di acque (sorgente e minerale) è inoltre sancita dal D.Lgs. n. 176/2011 il quale, in attuazione della Direttiva 2009/54/CE sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque, ha distinto specificamente le acque minerali naturali da quelle di sorgente.

Sono così stati individuati i requisiti che deve avere l'acqua minerale e le autorizzazioni necessarie per la sua commercializzazione (Capo I del D.Lgs. n. 176/2011) e, in altro distinto capo della norma (Capo II del D.Lgs. n. 176/2011), sono individuate le caratteristiche indispensabili per la commercializzazione dell'acqua di sorgente. Requisiti e diversità organolettiche tra le due fattispecie di acqua confermati, inoltre, nel parere dell'Agenzia delle Dogane del 12 settembre 2012 (richiamato incredibilmente nella stessa risoluzione n. 11/2014 dell'Agenzia delle Entrate).

Sicché, perlomeno fermandosi ad una semplice lettura della normativa, pare fondato ritenere che all'“acqua” (sorgiva) si continui ad applicare la tabella A parte III del decreto IVA (aliquota al 10%), mentre l'acqua minerale debba scontare l'aliquota del 19%.

Rimane ora da domandarsi cosa il legislatore abbia inteso includere nel termine “acqua” e se sia ravvisabile, almeno sul piano interpretativo, un qualche restringimento nella concessione agevolazione alla mera “erogazione” di acqua mediante condotte idriche comunali.

In tal senso è fondamentale quanto riportato nel predetto n. 81 della tabella, richiamante espressamente il codice ex 22.01, il quale è stato istituito per “identificare” in maniera univoca le merci in circolazione nel territorio comunitario (c.d. “nomenclatura combinata”).

L'art. 98, comma 3 della Direttiva comunitaria 2006/112/CE prevede che “quando applicano le aliquote ridotte previste al paragrafo 1 alle categorie relative a beni, gli Stati membri possono far ricorso alla nomenclatura combinata per delimitare con precisione la categoria in questione”.

La voce 22.01 utilizzata dal legislatore italiano per individuare acqua minerale ed acqua ad aliquota ridotta è rubricata “Acque, comprese le acque minerali naturali o artificiali e le acque gassate, senza aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti, né aromatizzate, ghiaccio e neve” e secondo le note esplicative, tale voce comprende:

A) L'acqua ordinaria. […] s'intendono raggruppate tutte le acque ordinarie naturali, esclusa l'acqua di mare (n. 2501). Queste acque possono essere state depurate con procedimenti fisici o chimici, ma l'acqua distillata e l'acqua di conducibilità o dello stesso grado di purezza rientrano nella voce 2853;

B) Le acque minerali. Questa denominazione designa sia le acque minerali naturali, sia le acque minerali artificiali […];

C) Le acque con anidride carbonica aggiunta. Con questa denominazione si designano le acque potabili caricate d'anidride carbonica alla pressione di qualche atmosfera. Esse sono spesso chiamate impropriamente "acque di Seltz" ("Selters"), benché la vera acqua di Seltz sia un'acqua minerale naturale […];

D) Il ghiaccio e la neve […]”.

Appare evidente che con il termine “acqua” indicato al n. 81 della tabella A parte III del decreto IVA, contenente espresso richiamo al codice di nomenclatura combinata, il Legislatore italiano si sia riferito all'acqua destinata ad uso alimentare, non fosse altro perché il capitolo 22 richiamato riguarda, non a caso, “le bevande” in quanto tali, senza alcun riferimento ad eventuali prestazioni di “erogazione”.

La normativa nazionale, agevolando con aliquota ridotta la cessione di acqua ad uso alimentare, risponde inoltre ai criteri guida comunitari.

Infatti, l'art. 98 della Direttiva 2006/112/CE consente agli Stati membri di applicare una o due aliquote ridotte “unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell'allegato III”. Il n. 1 del predetto allegato include fra i beni ad aliquota ridotta “Prodotti alimentari (incluse le bevande, ad esclusione tuttavia delle bevande alcoliche) destinati al consumo umano e animale, animali vivi, sementi, piante e ingredienti normalmente destinati ad essere utilizzati nella preparazione di prodotti alimentari, prodotti normalmente utilizzati per integrare o sostituire prodotti alimentari”.

Inoltre, si osserva che la Corte di Giustizia, con ordinanza del 22 ottobre 2014, ha stabilito (quasi in maniera tautologica) che “l'acqua” rientra nella categorie delle bevande.

La logica conclusione è che il legislatore nazionale, con il termine “acqua” indicato nella tabella A parte III del decreto IVA, espressamente identificato attraverso il codice di nomenclatura (22.01 – ossia Acque, comprese le acque minerali naturali o artificiali e le acque gassate, senza aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti, né aromatizzate; ghiaccio e neve), abbia voluto agevolare con aliquota ridotta al 10% l'acquisto di “acqua” destinata al consumo alimentare (contrapponendola, per effetto delle richiamate leggi, all'acqua minerale, che sconta l'IVA del 19%).

Sicché, posta la diversità tra le due tipologie di acque, elemento che già ex se dovrebbe indurre ad escluderne una equiparazione dal punto di vista fiscale, si osserva che l'art. 2 del D.Lgs. n. 31/2001 (attuativo della Direttiva 98/83/CE) intende per acque destinate al consumo umano, tra cui quelle sorgive, “le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori”.

Non ci sono dunque elementi che possano indurre ad affermare, come fatto dall'Agenzia, né una qualsiasi equiparabilità tra acque minerali e acque di sorgente, né tantomeno che la normativa nazionale e comunitaria consenta di operare una restrizione dell'ambito applicativo dell'IVA agevolata in relazione alle modalità di commercializzazione o erogazione del bene.

Osservazioni

La tesi prospettata, che si pone in disaccordo con quanto sostenuto dall'Agenzia delle entrate nella risoluzione n. 11/2014, è stata pienamente accolta dalla CTP di Modena, la quale ha affermato che il D.L. n. 261/1990, coordinato con la Legge di conversione n. 331/1990, all'articolo 5 co. 3 introduce una distinzione tra acque destinate al consumo umano ed acque minerali, prevedendo “per le cessioni e le importazioni di acque minerali e di birra l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto è stabilita nella misura del 19%”.

Distinzione strutturale – quella tra acque sorgive e acque minerali – che i commissari confermano essere ribadita dall'art. 2 del D.Lgs. n. 176/2011 (attuativo della Direttiva 2009/54/CE), nel quale viene precisato che la differenza tra acqua minerale e acqua destinata al consumo umano consiste nella purezza originaria delle prime, originando queste da falde sotterranee mineralizzate, le quali garantiscono purezza e generale attitudine benefica per la salute. Diversamente, le acque di sorgente provengono da falde sotterranee non mineralizzate, ammettendo nella loro composizione chimica la presenza di piccole quantità di contaminazioni.

Aggiungono poi i Commissari che l'art. 2 del D.Lgs. n. 31/2001 (attuativo della Direttiva 98/83/CE, relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano) intende per acque destinate al consumo umano “le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori”.

La CTP di Modena ha dunque correttamente inquadrato le acque commercializzate in boccioni come acque di sorgente destinate al consumo umano, tenendole distinte dalle acque minerali e, conseguentemente, ritenendo applicabile alle prime l'aliquota agevolata del 10% prevista dal n. 81 della tabella A parte III del d.P.R. n. 633/1972. Fermo tale assunto, i commissari hanno giustamente fatto rilevare che l'art. 2 del D.Lgs. n. 31/2001 non pone alcuna rilevanza circa le modalità di vendita e di erogazione del servizio, non potendo incidere sull'aliquota applicabile.

La decisione della Commissione non solo è corretta dal punto di vista giuridico, ma ben si concilia con un basilare principio di buon senso.

Si pensi ad esempio ai generi alimentari di prima necessità per i quali è prevista un'aliquota ridotta (del 4 o del 10%) per non gravare economicamente, in modo eccessivo, sul consumatore finale.

Applicando l'interpretazione dell'Agenzia ed assoggettando ad aliquota ordinaria la cessione di tutta l'acqua da bere, ne deriverebbe incredibilmente che, secondo il Legislatore, beni quali lo yogurt, la crema di latte, il tè, le spezie, i corn flakes, gli sciroppi di zuccheri non aromatizzati né colorati o le salsicce, salami e simili, sarebbero più importanti per il benessere dell'individuo rispetto all'acqua. Si tratta di prodotti, infatti, per i quali è prevista l'aliquota ridotta del 10%.

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