Validi gli atti dell’Agenzia delle Entrate sottoscritti dai dirigenti “decaduti”
24 Novembre 2015
Massima
In ordine agli avvisi di accertamento, l'art. 42, D.P.R. n. 600/1973 impone sotto pena di nullità che l'atto sia sottoscritto dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere che il capo dell'ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale.
Essendo inoltre la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell'ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati (soggetti dunque idonei ai sensi dell'art. 42 cit.), non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, co. 24, D.L. n. 16/2012. Il caso
Nel caso di specie il contribuente contestava la qualifica dirigenziale del soggetto delegante: gli avvisi di accertamento impugnati erano stati firmati da un funzionario delegato dal direttore provinciale delle Entrate il quale aveva assunto la posizione dirigenziale senza il superamento delle procedure di accesso alla dirigenza necessarie per legge.
La censura era stata proposta per la prima volta nel giudizio di Cassazione. Le questioni
La questione fondamentale che emerge dalla pronuncia in commento riguarda la valdità degli atti emessi dall'Agenzia delle Entrate e sottoscritti da personale privo (rectius privato) della qualifica dirigenziale in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, che ha dichiarato illegittimo l'art. 8, comma 24, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, con il quale si disponeva la proroga del conferimento degli incarichi dirigenziali senza concorso pubblico. In particolare la Consulta ha censurato il disposto di cui all'art. 8 cit. nella parte in cui sostanzialmente prevedeva che, nelle more dello svolgimento delle procedure concorsuali, le Agenzie fiscali potessero “salvi gli incarichi già affidati, (...) attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso”, in considerazione del difetto della natura temporanea delle mansioni dirigenziali. Le soluzioni giuridiche
Con le sentenze nn. 22800, 22803 e 22810, depositate in data 9 novembre 2015, la Cassazione si è pronunciata per la prima volta sulla nota questione degli effetti degli atti tributari sottoscritti dai c.d. dirigenti dichiarati “decaduti”.
La pronuncia sicuramente più interessante è la n. 22810, la cui particolarità è dovuta non tanto alla soluzione raggiunta ma soprattutto alle argomentazioni utilizzate, che sin d'ora la giurisprudenza di merito – anche quella favorevole alla posizione erariale – non aveva colto appieno: non è stato infatti richiamato il principio di continuità dell'azione amministrativa ovvero la teoria del funzionario di fatto, o ancora il profilo della delega di firma e non di funzioni, ma si è fatto ricorso ad un'argomentazione logico-letterale, basata sull'interpretazione dell'art. 42, D.P.R. n. 600/1973, norma speciale applicabile alla sola materia tributaria. Si tratta comunque di un epilogo in qualche modo annunciato, in quanto avvenuto gradualmente grazie ad alcune pronunce della Cassazione che si sono susseguite negli ultimi mesi. Ci si riferisce innanzitutto alla questione della rilevabilità ex officio della questione: sul punto si segnala infatti l'ordinanza n. 21307, depositata lo scorso 20 ottobre, con cui la Cassazione ha stabilito che nel giudizio di cassazione non può trovare ingresso, per la prima volta, l'eccezione riguardante la sottoscrizione dell'avviso d'accertamento, sia per le preclusioni previste nel rito tributario (in tema di eccezioni proponibili e di divieto di proporre eccezioni nuove), sia per i principi che regolano il giudizio in Cassazione che è giudizio di legittimità e non giudizio sui “fatti”. I giudici hanno quindi dichiarato inammissibili i motivi nuovi formulati dal contribuente con una memoria illustrativa. Il contribuente aveva lamentato, ma solo nell'ultimo grado di giudizio, la carenza del “potere di firma” in capo al sottoscrittore dell'atto oggetto di lite, “siccome incaricato di funzioni dirigenziali e non dirigente a seguito di concorso pubblico”. Secondo la Cassazione, “quand'anche si trattasse, invero, di argomenti deducibili, indipendentemente dalle preclusioni che regolano il rito tributario (artt. 18 e 24; 57 del D.Lgs. n. 546/1992), essi sarebbero stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito in Cassazione, non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di fatto che costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti del contribuente, il cui onere di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque manifesto e imprescindibile”.
La pronuncia faceva seguito all'importante sentenza n. 18448/2015, ove si legge che la “nullità” degli atti tributari non può essere rilevata dal giudice d'ufficio in quanto occorre una specifica eccezione sollevata sin dal ricorso introduttivo tempestivamente proposto. La Corte di legittimità ha ribadito che l'oggetto del giudizio tributario è circoscritto ai motivi di ricorso fatti valere dal contribuente e può essere modificato esclusivamente con la presentazione di motivi aggiunti, “nel solo caso di deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione (cfr. Cass. civ., Sez. trib., sentenza n. 19337/2011)”. La questione della rilevabilità ex officio era stata molto dibattuta: secondo un primo orientamento l'atto firmato dal dirigente decaduto sarebbe affetto da nullità assoluta rilevabile d'ufficio (cfr. CTR Lombardia 2842/1/15 e 2184/13/15). Secondo l'altra tesi, sostenuta dall'Agenzia delle Entrate, in assenza di tale eccezione nel ricorso introduttivo, la doglianza non può essere esaminata (cfr. ex multis CTP Milano 6021/26/15). La sentenza della Cassazione n. 18448 cit., nonché la più esplicita ordinanza n. 21307 sembra risolvere definitivamente tale contrasto in senso favorevole all'Agenzia delle Entrate.
L'invalidità dell'atto tributario Ora la pronuncia in commento, prima di affrontare la disamina della questione principale (attraverso l'enunciazione del principio di diritto), ha dichiarato inammissibile lo specifico motivo di ricorso proposto dal contribuente, richiamando tali precedenti; a tal proposito i giudici hanno sostenuto che le forme di invalidità dell'atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d'ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione. Si tratta in altri termini di una forma di annullabilità rilevabile nei modi tipici di un processo di tipo impugnatorio, ossia con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio. Il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo d'instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (ex multis, Cass. civ., sez. trib., n. 25756/2014).
Il principio di conservazione dell'atto amministrativo Nonostante l'inammissibilità, i giudici, facendo applicazione dell'art. 363 c.p.c., hanno voluto comunque affrontare la questione principale della nullità degli atti sottoscritti dai dirigenti decaduti, ritenendola evidentemente di particolare importanza anche in virtù del risalto mediatico. Sulla questione, una delle prime e più importanti pronunce è stata resa dalla CTP di Milano che, con la sentenza n. 3222/25/15 depositata lo scorso 10 aprile, ha annullato un avviso di accertamento per violazione dell'art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, in quanto “sottoscritto da soggetto non dotato di nona qualifica funzionale”. Sembrava quindi recessiva l'opposta tesi che, facendo leva su alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità, privilegiava il principio di tutela dell'affidamento e della continuità dell'azione amministrativa sotto forma di conservazione degli atti compiuti dal funzionario “di fatto”.
In particolare la Corte ha chiarito che il Capo dell'Ufficio deve essere considerato comunque “l'agente capace di manifestare la volontà della Amministrazione Finanziaria negli atti a rilevanza esterna e di produrre gli effetti giuridici imputabili alla determinazione della sua volontà nella sfera giuridica dei contribuenti”. Compete altresì "al titolare dell'ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali, ovvero ad un impiegato della carriera direttiva da lui delegato nell'esercizio dei poteri organizzativi dell'Ufficio, la funzione di sottoscrivere gli avvisi… indipendentemente dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza esaurisce i propri effetti nell'ambito del rapporto di servizio con l'Amministrazione” (Cass. civ., sez. trib., 10 agosto 2010, n. 18515; conf. id. 10 luglio 2013, n. 17044). In altri termini l'incaricato di funzioni dirigenziali sottoscrive in virtù di semplice delega di firma, che secondo la giurisprudenza amministrativa, a differenza della delega di funzioni, attribuisce al soggetto titolare dell'ufficio delegato (e non all'ufficio oggettivamente considerato), senza alterare l'ordine delle competenze, il potere di sottoscrivere atti, i quali continuano ad essere sostanzialmente atti dell'autorità delegante e non di quella delegata (cfr. TAR Toscana, n. 3372/2002). Del resto la stessa sentenza sopra indicata, nel richiamare il principio di conservazione, ha precisato che “la provenienza dell'atto dall'ufficio e la sua idoneità ad esprimerne la volontà si presume, finché non venga provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio o, comunque, l'usurpazione dei relativi poteri (cfr. Cass. civ., sez. trib., 15 gennaio 2009, n. 874)”. Tale principio era stato affermato anche in relazione agli atti processuali ed in particolare all'atto di appello (“deve ritenersi ammissibile l'atto d'appello proposto dal competente ufficio dell'agenzia delle entrate, recante in calce la firma di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare; finché non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque, l'usurpazione del potere d'impugnare la sentenza di primo grado”). In tal caso, si presume che l'atto provenga dall'Ufficio e che ne costituisca espressione di volontà, posto che “… il potere di impugnare le decisioni delle Commissioni tributarie va riconosciuto in capo non al titolare dell'Ufficio, ma all'Ufficio medesimo” (Cass. civ., sez. trib., 28 maggio 2008, n. 13908).
Il principio di conservazione dell'attività è stato mutuato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha sancito l'autonomia del procedimento di nomina del dirigente (e degli eventuali vizi) rispetto agli atti emessi a valle. In particolare “quando è annullata la nomina del titolare di un organo, l'accertata invalidità dell'atto di investitura non ha di per sé alcuna conseguenza sugli atti emessi in precedenza perché quando l'organo è dotato di funzioni di carattere generale il procedimento di nomina ha piena autonomia cosicché i vizi dello stesso non si ripercuotono sugli atti espressivi di detta competenza generale se non per il futuro, dovendosi comunque far sempre salvo il principio di conservazione degli atti della pubblica amministrazione che non opera nei soli casi di usurpazione di potere che hanno anche rilievo penale”.(cfr. CdS, sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2407, e sez. VI, 10 marzo 2005, n. 992; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 8 febbraio 2011, n. 402; TAR Lazio, Roma, sez. III, 14 febbraio 2006, n. 1073; TAR Abruzzo, Pescara, 3 luglio 2012, n. 333; v. anche CdS, sez. IV, 27 giugno 2012, n. 3812).
La specialità del diritto tributario Solo la sentenza della Cassazione n. 18515/2010, anch'essa richiamata dalla Consulta, ha fatto riferimento alla specialità della materia tributaria; in tale pronuncia i Giudici, rigettando l'eccezione del contribuente secondo il quale “ai fini della valida sottoscrizione dell'atto impositivo non sarebbe sufficiente la qualifica di direttore dell'ufficio occorrendo altresì la qualifica dirigenziale”, ha chiarito che “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, si limita a prevedere che (...) gli accertamenti (…) sono sottoscritti dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere assolutamente che il capo dell'ufficio debba rivestire la qualifica dirigenziale”; tale disposizione normativa individua “nel capo dell'ufficio, per il solo fatto di essere stato nominato tale, l'agente capace di manifestare la volontà della Amministrazione Finanziaria negli atti a rilevanza esterna, e di produrre gli effetti giuridici imputabili alla determinazione della sua volontà nella sfera giuridica dei contribuenti. Con la conseguenza che compete al titolare dell'ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali, ovvero ad un impiegato della carriera direttiva da lui delegato nell'esercizio dei poteri organizzativi dell'Ufficio, la funzione di sottoscrivere gli avvisi, con i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti, indipendentemente dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza esaurisce i propri effetti nell'ambito del rapporto di servizio con l'Amministrazione”. Tale principio è stato poi confermato dalla sentenza n. 17044/2013, ove la Cassazione ha precisato che “l'atto impositivo può essere sottoscritto anche da ‘impiegato della carriera direttiva... delegato' dal ‘capo dell'ufficio' (il quale, per Cass., trib., 10 agosto 2010 n. 18515, non deve affatto ‘rivestire la qualifica dirigenziale')” e dalla sentenza n. 8700/13, ove si afferma che “Per costante giurisprudenza di questa Corte (…) l'avviso di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, dev'essere sottoscritto dal capo dell'ufficio, indipendentemente dalla qualifica dirigenziale eventualmente ricoperta, o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato nell'esercizio dei poteri organizzativi – cfr. Cass. civ., sez. VI-T, 11 ottobre 2012, n. 17400”.
La pronuncia in commento, richiamando i principi espressi dalla sentenza 18515 cit., ha dunque risolto la questione sulla base di una semplice interpretazione logico-letterale della speciale normativa prevista in ambito tributario: l'ordinamento tributario, infatti, costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di "species ad genus", potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo. L'art. 42 cit., in particolare, prevede solo che l'atto sia sottoscritto dal Direttore dell'Ufficio o da funzionario dallo stesso delegato, senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegante né, ovviamente, del delegato. Non è un caso del resto se è stata adoperata la parola “altro”impiegato della carriera direttiva: con essa evidentemente il legislatore ha voluto sottolineare che anche il capo dell'ufficio delegante possa rivestire tale qualifica, che rappresenta quella minima richiesta per la valida sottoscrizione di un atto. Del resto la ratio della speciale previsione normativa di cui sopra è quella di garantire comunque la continuità dell'azione amministrativa (tanto più importante ove volta a tutelare l'interesse fiscale all'accertamento e riscossione dei tributi), ai sensi degli articoli 53 e 97 della Costituzione, che sarebbe compromessa qualora dovesse attendersi la conclusione di procedure concorsuali per l'attribuzione di qualifiche dirigenziali.
Si ricorda infine la sentenza n. 22803 (coeva a quella commentata), con cui la Cassazione ha stabilito che le deleghe di firma sono valide purché gli atti di delega riportino, oltre alle cause che ne hanno resa necessaria l'adozione (carenza di personale, assenza, vacanza, malattia ecc.) «il termine di validità ed il nominativo del soggetto delegato». Non è sufficiente, infatti, che il delegante riporti esclusivamente la qualifica professionale del destinatario. Le deleghe «anonime», ossia prive del nominativo del delegato, sono quindi illegittime, così come gli atti emanati di conseguenza. Non sono quindi ammesse le deleghe “innominate” anche ratione officii, “non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l'atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell'atto”. Questa pronuncia vale a sconfessare la tesi pur sostenuta secondo cui l'incaricato di funzioni dirigenziali sottoscrive in virtù di semplice delega di firma. In base a questa posizione la mancata specificazione del nome del delegato non costituisce un vizio invalidante della delega di firma in quanto, trattandosi di delega di firma, è irrilevante l'individuazione della persona fisica delegata, in quanto l'atto resta comunque riconducibile all'autorità delegante. Osservazioni
La pronuncia in commento sembra risolvere definitivamente la questione della validità degli atti sottoscritti da dirigenti decaduti, purché appartenenti alla c.d. “carriera direttiva”. Va precisato che attualmente il personale della “carriera direttiva” al quale si riferisce, ai fini della delega il primo comma del citato art. 42, appartiene alla terza area funzionale (nel C.C.N.L. comparto ministeri 1998-2001 si rinviene l'espressa attestazione dell'equiparazione all'ex carriera direttiva delle posizioni economiche C1, C2 e C3; nel C.C.N.L. comparto Agenzie fiscali 2002-2005 si riclassifica il personale riunendo le tre posizioni C1, C2 e C3 nella III area funzionale – ordinamento confermato dal C.C.N.L. comparto Agenzie fiscali 2006-2009).
In caso di contestazione da parte del contribuente (in ordine sia alla qualifica del delegante che a quella del delegato) spetterà all'Amministrazione fornire la prova dell'appartenenza alla carriera direttiva in base al principio di leale collaborazione e a quello di “vicinanza della prova” (che ne costituisce una declinazione), trattandosi di circostanza facilmente documentabile dal parte dell'Agenzia. Qualora si contestasse la validità della delega di firma o di funzioni, l'Ufficio dovrà dimostrare l'esistenza di un delega nominativa (non basta in altri termini quella ratione officii), che dovrà necessariamente contenere la motivazione per cui è stata conferita (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l'adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc), il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato. |