Mancata instaurazione del contraddittorio ed obbligo di verifica del giudice: spunti in materia di ipoteca

01 Marzo 2016

La breve sentenza in commento pone in evidenza il compito del giudice di appurare la nullità di un atto lesivo della sfera giuridica del contribuente per mancata instaurazione del contraddittorio, dando veste giuridica alle circostanze di fatto acquisite agli atti, senza quindi limitarsi a verificare se alle medesime siano o meno applicabili le specifiche norme citate dal contribuente per sostenere espressamente o implicitamente la sua tesi.
Massima

Il giudice nello svolgimento del proprio mandato è chiamato a dare veste giuridica alle circostanze di fatto acquisite agli atti, impiegando a tal proposito la normativa che alle stesse meglio si addice.

Conseguentemente, spetta al giudice qualificare giuridicamente la tesi del contribuente, che – pur invocando una norma in concreto non applicabile (nel caso di specie, l'art. 50, comma 2 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602) – abbia comunque dedotto la nullità dell'iscrizione di ipoteca ex articolo 77 del medesimo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (di seguito, “D.P.R. 602/1973”), in ragione della mancata instaurazione del contraddittorio.

Il caso

Con la sentenza del 9 luglio 2015, depositata con il n. 259 lo scorso 12 gennaio 2016, la Sottosezione Tributaria, della Sesta Sezione Civile, della Suprema Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema della riscossione coattiva e, in particolare, quello della nullità dell'ipoteca esattoriale ex articolo 77, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, se la stessa non è preceduta da apposita comunicazione da parte del concessionario della riscossione al contribuente, volta a rendere quest'ultimo edotto al riguardo e, nel contempo, a consentirgli di onorare la propria obbligazione prima che venga effettuata l'iscrizione in parola.

Segnatamente, il caso portato all'attenzione della Suprema Corte di Cassazione ha a oggetto il ricorso presentato dal Sig. E.R. contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia del 17 ottobre 2013, n. 148/29/2013, la quale, nel rigettare l'appello dello stesso Sig. E.R.:

  • aveva affermato “la [piena] legittimità della iscrizione di ipoteca ex art. 77 D.P.R. n. 602/1973 ancorché non preceduta dall'invito al pagamento di cui all'art. 50 del medesimo D.P.R.”;

respingendo pertanto l'interpretazione del Sig. E.R. che nei fatti aveva considerato l'ipoteca esattoriale un atto dell'espropriazione forzata e, quindi, sosteneva che la medesima fosse soggetta ai vincoli informativi di quest'ultima.

La questione

La questione dibattuta nella sentenza in commento verosimilmente (ma la scarna descrizione dello “svolgimento del processo” riportata nella sentenza purtroppo non aiuta in proposito) trae la sua origine da un'iscrizione di ipoteca esattoriale effettuata antecedentemente alla “novità” introdotta dall'articolo 7, comma 2, lettera u-bis, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (successivamente convertito con modifiche in legge dalla L. 12 luglio 2011, n. 106). Sino a tale novità, infatti, in tema di ipoteca esattoriale l'articolo 77, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973, ai fini che qui rilevano, si limitava a prevedere che decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla notificazione al contribuente della cartella di pagamento, il ruolo costituiva di per sé titolo per il concessionario della riscossione a poter “iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede”, senza specificare alcunché in ordine a eventuali obblighi per il concessionario della riscossione a preventive comunicazioni al contribuente.

Era quindi discussa la liceità di un'ipoteca esattoriale iscritta senza che prima tale volontà fosse stata comunicata al contribuente con l'intimazione a quest'ultimo ad adempiere a “stretto giro” alla propria obbligazione per evitare la sua effettuazione, soprattutto laddove la cartella di pagamento fosse stata notificata da oltre un anno. Invero, anche nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (si veda per tutti le sentenze delle Sezioni Unite del 19 marzo 2009, n. 6594, e del 22 febbraio 2010, n. 4077) era nei fatti diffuso l'orientamento che vedeva l'ipoteca esattoriale come un atto della procedura esecutiva, in quanto preordinato all'espropriazione immobiliare, con l'effetto che l'ipoteca esattoriale, in assenza di una specifica disposizione legislativa, avrebbe dovuto essere assoggettata a tutte le condizioni informative previste per la procedura esecutiva e, quindi, a quanto prescritto dall'articolo 50, comma 2, del D.P.R. 602/1973 il quale obbliga il concessionario della riscossione alla notifica al contribuente “di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni” nel momento in cui “l'espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento”.

Come anticipato, il silenzio legislativo è venuto meno con l'introduzione, a opera del richiamato D.L. n. 70/2011, del comma 2-bis nell'articolo 77, del D.P.R. 602/1973, con il quale il legislatore – ravvisando la necessità di un'adeguata informativa per il contribuente – ha imposto l'obbligo inderogabile per l'“agente della riscossione … [di] notificare al proprietario dell'immobile una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine trenta giorni, sarà iscritta l'ipoteca [esattoriale]”, con conseguente nullità di quelle iscrizioni ipotecarie che avvenissero in “spregio” del precetto normativo in parola (in proposito, si veda per tutti GUIDARA A., Le nuove “intimazioni” di pagamento introdotte dal decreto sviluppo, in Rassegna Tributaria, Roma, 2011, fasc. 6, pagg. 1499 e segg.).

Orbene, se la questione può dirsi risolta per le iscrizioni successive alla novella intervenuta con il D.L. 70/2011, stessa cosa non si può sostenere con riferimento alle molte ipoteche esattoriali annotate precedentemente a quest'ultimo Decreto, così come al tema – indubbiamente di più generale interesse – se spetti al giudice rilevare la nullità di un atto lesivo della sfera giuridica del contribuente, quale l'ipoteca esattoriale, per mancata instaurazione del contraddittorio nel momento in cui la stessa, invocata dal contribuente (seppur mediante un errato richiamo a una norma non applicabile alla specifica fattispecie), sussista in base ai fatti acquisiti agli atti.

La soluzione giuridica

Per dipanare la questione di cui sopra la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza in commento si rifà nei fatti al contenuto della sentenza delle Sezioni Unite del 18 settembre 2014, n. 19668 (“gemello” peraltro di quella di pari data avente il n. 19667), dedicata proprio alla verifica “se il concessionario alla riscossione [fosse o meno] … tenuto, ove sia decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento, prima di procedere all'iscrizione di ipoteca a notificare al debitore un avviso che contenga l'intimazione ad adempiere entro cinque giorni l'obbligo risultante dal ruolo (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2), e ciò a prescindere dalla entrata in vigore del [richiamato] disposto del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2, lett. u-bis)”. In siffatta sentenza le Sezioni Unite:

  • se da un lato hanno sottolineato che “l'ipoteca prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 può essere iscritta senza necessità di procedere a notifica dell'intimidazione ad adempiere di cui all'art. 50, comma 2, del medesimo D.P.R., prescritta per il caso che l'espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l'iscrizione ipotecaria non può essere considerata un atto dell'espropriazione forzata vera e propria”;
  • dall'altro, hanno posto con forza in evidenza che “l'affermata inapplicabilità all'iscrizione ipotecaria D.P.R. del 1973, ex art. 77 della previsione di cui all'art. 50, comma 2, del medesimo decreto non significa tuttavia che l'iscrizione ipotecaria possa essere eseguita per così dire inscientemente domino, senza che la stessa debba essere oggetto di alcuna comunicazione al contribuente”.

Invero – pur rinviando per un più ampio commento di siffatta sentenza delle Sezioni Unite, (per tutti, a TUNDO F., La rilevanza del contraddittorio procedimentale quale principio generale dell'ordinamento, in Rivista dei Dottori Commercialisti, Milano, 2015, fasc. 1) – in questa sede non si può far a meno di richiamare brevemente l'attenzione sul fatto che per le Sezioni Unite l'obbligo di preventiva comunicazione degli atti incisivi della sfera giuridica del contribuente in capo al concessionario della riscossione risiede nel principio generale, per il quale al contribuente deve essere data la possibilità di un'adeguata difesa dei propri interessi, posto che tale modo di procedere garantisce al contempo una corretta e inoppugnabile formazione della pretesa tributaria. In altri termini:

  • la pretesa tributaria non può che trovare “legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione” partecipata mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endoprocedimentale”, al cui ordinato ed efficacie sviluppo è funzionale il rispetto dell'obbligo di comunicazione degli atti imponibili”; e, pertanto
  • il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell'emanazione di questo, [inevitabilmente non può che realizzare] l'inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall'art. 24 Cost., e il buon andamento dell'Amministrazione, presidiato dall'art. 97 Cost.”.

Del resto, come ricordato dalle Sezioni Unite, in questo senso sono, tra l'altro, orientate le stesse norme contenute nel cd. “Statuto del contribuente” (L. 27 luglio 2000, n. 212), dove a mero titolo esemplificativo in generale si prevede:

  • da un lato, che l'Amministrazione finanziaria (e così i suoi delegati alla riscossione) sia tenuta a garantire “l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati” (articolo 6); e
  • dall'altro, che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria [debbano essere] improntati al principio della collaborazione e della buona fede” (articolo 10).

Quanto scritto non può quindi che presupporre necessariamente un adeguato flusso informativo, ancor più e soprattutto se si considera, come sottolineato dalle Sezioni Unite, nel richiamarsi alla loro precedente sentenza dell'11 maggio 2009, n. 10672, che in generale debba ritenersi “ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l'elencazione contenuta nell'art. 19, D.Lgs. n.546/1992[che peraltro contiene espressamente l'iscrizione dell'ipoteca esattoriale tra gli atti impugnabili] non rappresenta ulteriormente un numerus clausus in quanto deve ritenersi impugnabile avanti alla giurisdizione tributaria ogni atto, indipendentemente dalla forma o denominazione, che rechi una pretesa nei confronti del destinatario deducendo la sussistenza di un rapporto giuridico d'imposta suscettibile pertanto di far insorgere nel destinatario l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. spiegando le proprie difese davanti al giudice naturale”.

Di qui la conclusione riportata nella sentenza in commento, dove la Suprema Corte di Cassazione rileva come il giudice – se di fatto dedotto (anche indirettamente) dal contribuente – debba accertare se vi sia stato o meno il rispetto da parte dell'Amministrazione finanziaria (e dei suoi delegati alla riscossione) del principio del contraddittorio; il tutto sulla base degli elementi effettivamente in atti, non potendo il giudice, per la portata generale del principio in parola, sottrarsi a tale accertamento, limitandosi a constatare che la norma indicata dal contribuente non sia applicabile al caso di specie come fatto dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia per il Sig. E.R.

In questo senso, la Suprema Corte di Cassazione non manca di stigmatizzare l'impostazione procedurale “letterale” che in altra sentenza (segnatamente, quella emessa dalla Sezione Quinta Civile del 18 dicembre 2014, n. 26833) sempre la Suprema Corte di Cassazione aveva adottato per un caso analogo. Infatti, come ricordato nella sentenza in commento in quella sede la Suprema Corte di Cassazione aveva adottato una “scelta di comodo”, limitandosi a osservare che:

  • avendo il contribuente “fin dal primo grado del giudizio, [solo implicitamente contestato la nullità dell'atto per mancata instaurazione del principio del contraddittorio, posto che aveva] dedotto esclusivamente “l'illegittimità dell'iscrizione ipotecaria per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2”, ovvero il mancato compimento di un atto … che, in quanto tale, non si applica all'iscrizione dell'ipoteca …[;]
  • l'impugnativa di tale iscrizione non [investirebbe] in alcun modo l'ulteriore e diverso profilo – interessato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19668/2014 – concernente l'instaurazione di un contraddittorio prima dell'iscrizione ipotecaria, mediante notifica di apposito avviso e concessione di un termine per controdedurre”, quando in realtà lo spirito della sentenza delle Sezioni Unite sopra brevemente richiamato era nei fatti tutt'altro.

Da ultimo, sempre a sostegno delle proprie conclusioni nella sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione (richiamandosi alle precedenti sentenze del 10 febbraio 2010, n. 2943, 26 novembre 2014 n. 25077 e 1° dicembre 2014, n. 25402) pone in evidenza come il modo di procedere delineato sia coerente con quanto riconosciuto in tema di illegittimità di un atto di accertamento emanato dall'Amministrazione finanziaria al di fuori dei termini di legge, sottolineando in particolar modo come «il giudice che dichiari la decadenza dal potere impositivo in forza di una norma diversa rispetto a quella invocata dal contribuente “non rileva d'ufficio un'eccezione non proposta, ma si limita a qualificare in termini giuridici diversi la già formulata deduzione, sulla base di circostanze di fatto acquisite agli atti”».

Osservazioni

La sentenza commentata ha l'indubbio pregio di richiamare l'attenzione sulla centralità del principio del contraddittorio nel diritto tributario, in particolar modo laddove gli atti dell'Amministrazione finanziaria vanno, come nel caso dell'ipoteca esattoriale, a incidere negativamente sulla sfera giuridica del contribuente.

Condivisibilmente, il garante imparziale del rispetto di tale centralità individuato dalla Suprema Corte di Cassazione non può che essere il giudice tributario, il quale – facendo prevalere la sostanza sulla forma – è chiamato a verificare la concreta applicazione del principio del contraddittorio sulla base delle effettive risultanze emergenti dagli atti del procedimento e, quindi, prescindendo dalla (rectius, non limitando la sua analisi alla correttezza o meno della) specifica disposizione richiamata dal contribuente per contestare espressamente o anche solo implicitamente il mancato rispetto del suddetto principio da parte dell'Amministrazione finanziaria.

Del resto, sarebbe nei fatti irragionevole non condividere le conclusioni cui giunge nella presente sentenza la Suprema Corte di Cassazione dal momento che, banalmente, con riferimento a:

  • la centralità del principio del contraddittorio, la stessa Agenzia delle Entrate (si veda la Circolare del 6 agosto 2014, n. 25/E) – nel definire gli indirizzi operativi per la prevenzione e il contrasto dell'evasione – è la prima a sottolineare che “il Ministro [stesso le] ha … assegnato … il compito di presidiare la centralità del rapporto con il contribuente che, nell'ambito dell'attività di controllo, si declina attraverso la partecipazione del cittadino al procedimento di accertamento mediante il contraddittorio, sia nella fase istruttoria sia nell'ambito degli istituti definitori della pretesa tributaria [posto che] un adeguato confronto con il contribuente consente, da un lato, di rendere lo stesso partecipe, in modo tangibile e trasparente, dello sforzo che l'Agenzia quotidianamente persegue, di esercitare i compiti istituzionali ad essa affidati in un contesto di leale collaborazione e buona fede, dimostrando capacità di ascolto, professionalità e chiarezza nelle spiegazioni. Dall'altro lato, permette all'ufficio di individuare con maggiore attendibilità la sussistenza dei presupposti dell'atto in corso di definizione, con effetti positivi diretti sull'affidabilità dei controlli”;
  • l'importante ruolo rivestito dal giudice tributario, l'articolo 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevede espressamente che “le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta [potendo arrivare,] … quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, … [a] richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di Finanza, ovvero disporre consulenza tecnica”.

Peraltro, è bene sottolineare come le conclusioni nella sentenza non vadano considerate un “evento isolato”, ma costituiscano un vero e proprio orientamento sul tema della Sottosezione Tributaria della Sezione Sesta Civile della Suprema Corte di Cassazione, come del resto dimostrano altre precedenti sentenze e ordinanze emesse per casi analoghi dalla stessa Sottosezione nel corso del 2015 (si vedano in proposito, da un lato, le sentenze del 26 marzo 2015, n. 6072, 3 giugno 2015, n. 11503 e n. 11505, 9 ottobre 2015, n. 20381, 9 novembre 2015, n. 22788 e 4 dicembre 2015, n. 24794 e, dall'altro, le ordinanze del 15 aprile 2015, n. 7676 e del 21 aprile 2015, n. 8121 e n. 8123).

In conclusione, si ritiene opportuno come in ogni caso nelle Corti di merito la portata del contenuto di tale sentenza potrebbe essere in qualche misura limitata dalla posizione assunta di recente dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 9 dicembre 2015, n. 24823, che – non senza poche sorprese – ha virato il proprio orientamento verso un'interpretazione letterale, stabilendo che, “differentemente dal diritto dell'Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto”, con conseguenti problemi in ordine ad esempio al concreto rispetto del diritto della difesa del contribuente, oltre che del buon andamento dell'amministrazione (per un commento della suddetta sentenza, si veda per tutti FERRANTI G., Cassazione e legislatore in “corto circuito” sull'obbligo del contraddittorio, in il Fisco, Roma, 2016, fasc. 2; e PICARDI F., Gli atti tributari ed il contraddittorio endoprocedimentale: il raccordo tra il diritto interno e quello comunitario, in www.iltributario.it, Milano, 11 gennaio 2016). Per il vero, che la decisione da ultimo assunta dalle Sezioni Unite abbia creato alquanto scalpore trova la sua massima evidenza nel fatto che a distanza di neanche un mese la Commissione Tributaria Regionale della Toscana (si veda l'ordinanza del 21 dicembre 2015, n. 736/1/15, depositata il successivo 18 gennaio 2016) abbia deciso di adire la Corte Costituzionale per un riconoscimento generale del principio del contraddittorio per tutte le tipologie di verifiche anche quelle cd. “a tavolino” (in proposito, si veda CORRADO L. R., Alla Consulta il contraddittorio endoprocedimentale per le sole “verifiche sul campo”, in www.iltributario.it, Milano, 27 gennaio 2016).

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