Fatture false e reato di dichiarazione fraudolenta

Rossella Rotunno
26 Maggio 2016

La creazione di fatture false, inserite nella dichiarazione della società, al fine di detrarre indebitamente l'IVA, integra il reato di dichiarazione fraudolenta. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5703/2016.
Massima

L'amministratore che crea fatture false e le utilizza nella dichiarazione della società al fine di detrarre indebitamente l'IVA, integra la fattispecie di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 e non l'indebita compensazione di cui all'art. 10-quater del medesimo decreto.

Ad affermare questo importante principio è la Corte di Cassazione con sentenza n. 5703 dell'11 febbraio 2016.

Il caso

Con ordinanza del 14 luglio 2015, il Tribunale di Campobasso accoglieva parzialmente l'istanza di riesame avanzata da un contribuente, sottoposto ad indagini preliminari, per aver violato l'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, sostituendo la misura degli arresti domiciliari applicatagli dal GIP con quella del divieto di dimora nella Regione Molise.

Con tale provvedimento il Giudice investito della richiesta riteneva sussistenti i presupposti di applicazione delle misure cautelari previsti dagli artt. 273 e 274 c.p.p., evidenziando come la S.p.a. di cui l'indagato era procuratore con funzioni di amministrazione, avesse indicato nelle dichiarazioni annuali ai fini IVA elementi passivi fittizi, avvalendosi di centinaia di fatture contraffatte concernenti gli anni di imposta 2011, 2012 e 2013, beneficiando in tal modo di indebite detrazioni di imposta per oltre un milione di euro nell'arco di tre anni.

Osservava, inoltre, il Tribunale come l'ingente numero di fatture utilizzate fraudolentemente dalla società, l'arco temporale di commissione di tali condotte nonché l'importo dei crediti d'imposta fittizi ed indebitamente detratti, inducesse a ritenere quella contestata all'indagato una modalità ordinaria di gestione della società, suscettibile di reiterazione in ragione della funzione di amministratore dal medesimo ricoperta.

Avverso tale ordinanza, l'indagato, a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per cassazione, affidando l'annullamento del provvedimento cautelare ad un unico ed articolato motivo.

La questione

In particolare, la difesa eccepiva ex art. 606, lett. b) c.p.p. la violazione dell'art. 2 del D. Lgs. 74/2000, per avere il Giudice del Riesame erroneamente qualificato la condotta ascritta all'indagato, riconducendola alla fattispecie di dichiarazione fraudolenta piuttosto che a quella di indebita compensazione prevista dall'art. 10-quater del medesimo decreto.

Ciò in quanto i fatti contestati non erano stati posti in essere mediante l'uso di fatture relative ad operazioni inesistenti, provenienti da un soggetto terzo, come richiesto dall'art. 2, bensì, tramite l'utilizzo di documenti materialmente falsi, realizzati dallo stesso utilizzatore, al fine di conseguire un'indebita detrazione IVA, da utilizzare in compensazione rispetto alla stessa e alle altre imposte.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente, confermando la qualificazione giuridica compiuta dal giudice di merito.

L'art. 2 del D. Lgs. 74/2000

Preliminarmente, la Suprema Corte ha evidenziato come il giudice di legittimità abbia costantemente affermato, sulla scorta di un orientamento formatosi già prima dell'entrata in vigore del D. Lgs. 74/2000 (in tal senso Cass. pen., sez. III, 21 novembre 1997 n. 1969), che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture inesistenti sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia nell'ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l'operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura), sia, infine, nell'ipotesi di sovrafatturazione “qualitativa” (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.

Tale orientamento sarebbe stato ribadito anche in riferimento alla nuova ipotesi di reato prevista dall'art. 2 del D. Lgs. 74/2000 (in tal senso Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 2007, n. 1996).

Il discrimen con l'art. 3

Al fine di chiarire la portata di tale disposizione, la Cassazione ha, poi, osservato come in riferimento alle condotte di falso materiale poste in essere dallo stesso utilizzatore si registrino due distinti orientamenti.

Il primo escluderebbe dalla disciplina di cui all'art. 2 l'utilizzazione di un documento materialmente falso, in ragione della differenza strutturale tra tale condotta e l'ipotesi tipica contemplata dalla norma in oggetto, configurandosi, diversamente, un'ipotesi di interpretazione analogica non consentita in sede penale (in tal senso Cass. pen., sez. III, 25 giugno 2001, n. 30896; Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 2004, n. 32493; Cass. pen., sez. III, 14 novembre 2007 n. 12720).

Diversamente, per il secondo indirizzo, la previsione di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 sarebbe applicabile tanto alle ipotesi di falso ideologico quanto a quelle di falso materiale, ivi inclusa la formazione di fatture materialmente false da parte dello stesso utilizzatore, risultando irrilevante l'autore della contraffazione (in tal senso, Cass. pen., sez. III, 7 febbraio 2007, n. 12284; Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 2011, n. 9673).

Motivando la sua decisione, la Corte ha dichiarato di aderire a quest'ultimo orientamento, non solo in ragione del fatto che già nel contesto della precedente L. 516/1982, l'art. 4 riservava ad entrambe le condotte illecite il medesimo trattamento sanzionatorio, ma, soprattutto, in virtù della peculiare struttura bifasica che caratterizza l'attuale ipotesi criminosa in oggetto. Nella stessa, infatti, “la dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita ad un falso contenutistico, mentre la condotta prodromica e, cioè, la registrazione o detenzione ai fini probatori dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere oggetto sia documenti contenutisticamente falsi, emessi da altri in favore dell'utilizzatore, sia documenti materialmente falsi, ovvero contraffatti o alterati (anche dallo stesso utilizzatore del documento)”.

La fattispecie in esame si distinguerebbe, pertanto, da quella contemplata nel successivo art. 3, non tanto per la natura del falso perseguito, ma in virtù del rapporto di specialità reciproca esistente tra le due citate disposizioni legislative, ove ad un nucleo comune, costituito dalla dichiarazione infedele, si aggiungerebbero, infatti, in chiave specializzante, nell'art. 2, l'utilizzo di fatture o documenti equiparabili relativi ad operazioni inesistenti e, nell'art. 3, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l'utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e la previsione di una soglia minima di punibilità.

La nozione di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”

Per quanto concerne, invece, il mezzo fraudolento di cui l'agente si avvale per l'indicazione di elementi passivi fittizi, il giudice di legittimità ha rimarcato che la nozione di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, richiamata dall'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, inerisce, come disposto dall'art. 1, lett. a) del citato decreto, a quelle fatture o documenti emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti, a quelle indicanti corrispettivi o IVA in misura superiore a quella reale o, ancora, a quelle che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, specificando, altresì, come gli “altri documenti” rilevanti siano tutti quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture, quali ad esempio le ricevute fiscali e tutti quei documenti attestanti spese deducibili dall'imposta.

Con particolare riferimento alle ipotesi di falsità soggettiva, ovvero ricadente sulla indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l'operazione, la Cassazione ha osservato come nulla osti a ricomprendere in tale fattispecie anche l'ipotesi in cui i soggetti emittenti il documento siano addirittura inesistenti o non abbiano mai avuto alcun rapporto con il contribuente che utilizza il documento stesso in quanto, anche in tal modo, quest'ultimo farebbe apparire di aver speso somme in realtà non sborsate, con conseguente danno del patrimonio erariale.

La mancata correlazione tra la condotta in contestazione e l'art. 10-quater

Al fine di dirimere ogni dubbio circa la corretta qualificazione giuridica della condotta ascritta all'indagato, la Corte ha, infine, rilevato come i fatti al medesimo ascritti, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, non possano essere ricondotti neanche alla fattispecie meno grave di cui all'art. 10-quater del D. Lgs. 74/2000, disciplinante l'indebita compensazione tra imposte dovute e crediti non spettanti o inesistenti.

Ciò in quanto, ad avviso degli ermellini, l'art. 2 del decreto in oggetto, la cui condotta si incentra sul momento dichiarativo e non sull'omesso versamento delle somme dovute dal contribuente, presenterebbe nella sua struttura un elemento ulteriore e specificativo, rappresentato dall'utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nonché dall'indicazione, in sede di dichiarazione, di elementi passivi fittizi, ponendosi, pertanto, in rapporto di specialità (ex art. 15 c.p.) rispetto all'invocata previsione del citato art. 10-quater che rivestirebbe, al riguardo, carattere residuale.

Osservazioni

La decisione merita apprezzamento per diverse ragioni.

Sussumendo la condotta in contestazione nella disciplina di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, la Cassazione ha, infatti, chiarito la portata di tale disposizione normativa, individuando le peculiarità che la distinguono tanto dal successivo art. 3, disciplinante la “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi”, quanto dalla “Indebita compensazione” di cui all'art. 10-quater.

Per quanto concerne il primo profilo, preme evidenziare come il D.Lgs. n. 158/2015 abbia inciso profondamente sulla fattispecie di cui all'art. 3, stravolgendone la struttura attraverso una determinazione più oculata delle condotte tipiche. Tuttavia, anche la nuova formulazione, seppur finalizzata a dilatare i confini applicativi della norma, si è dimostrata insufficiente a dirimere i rapporti con la dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2, in termini di discernimento tra le condotte sussumibili nell'una o nell'altra ipotesi di delitto.

Con l'intervento in esame la Corte ha delimitato i confini delle rispettive fattispecie, individuandone il discrimen nel mezzo fraudolento utilizzato dal soggetto agente per conseguire l'indebita detrazione (fatture e documenti per operazioni inesistenti nell'art. 2, falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie congiunta con l'utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento e la previsione di soglia minima di punibilità nell'art. 3).

In secondo luogo, la pronuncia in rassegna, rilevando come nel caso di specie non sia ipotizzabile nemmeno la condotta di cui all'art. 10-quater, disciplinante l'indebita compensazione, consente di abbandonare l'impostazione adottata dallo stesso giudice di legittimità con la criticatissima sentenza n. 42462 del 2010 che aveva ravvisato la fattispecie in oggetto anche in caso di compensazione dell'IVA a credito con l'IVA a debito nell'ambito della dichiarazione annuale.

Il decisum appare, infine, condivisibile anche alla luce della riforma apportata in materia penale tributaria dal citato D.Lgs. n. 158 del 24 settembre 2015. Con il provvedimento in oggetto il legislatore è, infatti, intervenuto sulle singole fattispecie criminose contemplate dal D.lgs. n. 74/2000, graduando la risposta sanzionatoria in ragione della gravità dei comportamenti posti in essere, specie sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Estendendo la portata della dichiarazione fraudolenta, e ricomprendendovi anche la condotta di chi, mediante la creazione di fatture materialmente false si propone come unico obbiettivo il perseguimento dell'indebita deduzione dei costi, il giudice di legittimità non fa che porsi in armonia con quanto previsto dal legislatore della riforma, riservando ad un comportamento di sicuro più riprovevole rispetto a quello omissivo di indebita compensazione la più rigida disciplina contemplata dall'art. 2.

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