Doppio binario sanzionatorio legittimo se viene superato il test della c.d. “sufficiente connessione”

Stefano Loconte
25 Luglio 2017

Sebbene l'art. 4, Prot. 7 CEDU non neghi a priori la possibilità di esperire parallelamente procedure penali e amministrative con riguardo ad un medesimo fatto illecito, le stesse devono essere sufficientemente interconnesse sotto il profilo sia temporale che sostanziale, al fine di garantire la compatibilità del doppio binario sanzionatorio con il diritto al ne bis in idem.
Massima

Sebbene l'art. 4, Prot. 7 CEDU non neghi a priori la possibilità di esperire parallelamente procedure penali e amministrative con riguardo ad un medesimo fatto illecito, le stesse devono essere sufficientemente interconnesse sotto il profilo sia temporale che sostanziale, al fine di garantire la compatibilità del doppio binario sanzionatorio con il diritto al ne bis in idem.

Il caso

I ricorrenti, a seguito delle contestazioni di omissioni di elementi attivi nella denuncia dei redditi, venivano sanzionati dall'Amministrazione finanziaria islandese con l'irrogazione di sanzioni fiscali sotto forma di una sovrattassa pari al 25% dei tributi evasi.

Le sentenze che accertavano e punivano l'illecito tributario venivano emesse in primo grado tra gli anni 2004 e 2005 e confermate dall'autorità amministrativa gerarchicamente superiore nell'agosto e nel settembre 2007, diventando definitive sei mesi dopo, per mancanza di ulteriore impugnazione.

Nel novembre 2004, il Directorate of tax trasmetteva la notizia di reato alla Polizia specializzata in frodi tributarie. Tuttavia, il rinvio a giudizio veniva disposto soltanto nel dicembre del 2008, ben nove mesi dopo la conclusione, con sentenza definitiva, dei contenziosi tributari.

La Corte distrettuale, dopo aver in un primo momento dichiarato il non doversi procedere in virtù della lamentata violazione – innanzi agli organi giurisdizionali interni - del ne bis in idemdi cui all'art. 4 del Protocollo 7 della CEDU, nel 2011 si pronunciava nel merito della controversia, riconoscendo la responsabilità penale degli imputati la cui condotta veniva penalmente qualificata come frode fiscale. Attesa, però, l'avvenuta irrogazione della sovrattassa del 25% nell'ambito del giudizio tributario, i giudici si riservavano un anno di tempo ai fini della determinazione della pena.

Esperiti tutti i ricorsi interni effettivi, i cittadini islandesi, con il precipuo scopo di rivendicare il loro diritto al ne bis in idem, adivano la Corte di Strasburgo con ricorso n. 2207/11.

Il procedimento penale si concludeva nel 2013 con la conferma, da parte della Corte Suprema islandese, della condanna degli imputati per il reato di frode fiscale. Nel determinare l'importo della pena pecuniaria, i giudici decurtavano la sovrattassa già irrogata in sede fiscale, mitigavano l'entità della pena detentiva e ne concedendo la sospensione temporanea in ragione della protratta e incolpevole attesa degli imputati per la definizione del processo.

La questione

In sede internazionale, i ricorrenti eccepivano, dunque, la violazione, da parte dell'Islanda, dell'art. 4 del Protocollo 7 della CEDU, a mente del quale “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”.

La Corte Europea, nell'ambito della preliminare analisi del caso di ne bis in idem, ha ritenuto sussistente il requisito dell'idem factum, come ammesso da entrambe le parti e dalle autorità nazionali (§ 45-47). Parimenti, ha ritenuto che entrambi i procedimenti instaurati nei confronti dei ricorrenti rientrassero nella matière pénale, secondo la specifica nozione elaborata dalla giurisprudenza europea, rilevante ai fini di cui all'art. 4 Prot. 7 CEDU (§ 44).

Sicchè, decisiva sarebbe stata la disamina dei due procedimenti per verificare se i medesimi, entrambi di natura sostanzialmente penale ed attinenti ai medesimi fatti in causa, fossero o meno “sufficientemente interconnessi” tanto da poter escludersi che la loro duplicazione avesse leso il succitato principio convenzionale.

Le soluzioni giuridiche

Il leading case del 2016 in tema di “sufficiente connessione”

Con la pronuncia in commento, la Sezione I della Corte EDU è stata chiamata per la prima volta ad applicare i “criteri guida” forniti dalla Grande Camera della Corte Europea nella nota sentenza A. e B. c. Norvegia del 15 novembre 2016 in materia di ne bis in idem.

Con tale pronuncia, la Grande Camera ha chiarito che l'art. 4 cit. non impedisce agli Stati Contraenti di adottare sistemi sanzionatori “frazionati” che attribuiscano, pertanto, competenze in capo a differenti autorità perseguenti, nell'ambito dei rispettivi procedimenti, finalità disomogenee. Ciò tuttavia, a condizione che detti procedimenti risultino sufficientemente connessi “da un punto di vista sostanziale e cronologico” (“a sufficiently close connection…, in substance and in time”).

Invero, solo il riscontro in concreto di tale connessione, che renderebbe le procedure coordinate nelle indagini e concordanti nei presupposti di fatto, impedisce che il sistema del doppio binario provochi una lesione del principio del ne bis in idem.

All'uopo, la pronuncia del 2016 fornisce un elenco esemplificativo di criteri di “sufficiente connessione”, tra i quali: l'obiettivo dei procedimenti di colpire profili diversi della condotta antisociale; la prevedibilità, per il contribuente/imputato dello sdoppiamento delle procedure quale conseguenza della condotta tenuta; la presenza di meccanismi di coordinamento procedurale tra le autorità intervenienti che impediscano una duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove. Sotto un profilo sostanziale, inoltre, la sanzione imposta dal primo giudice deve essere debitamente considerata dal secondo giudice “so as to prevent that the individual concerned is in the end made to bear an excessive burden”.

Applicazione in concreto dei criteri di “sufficiente connessione”

La I sezione della Corte ha applicato scrupolosamente i criteri elaborati nel leading case del 2016, chiarendone la portata e i confini applicativi.

Innanzitutto, la Corte riconosce che i due procedimenti e le relative sanzioni, nella specie, perseguissero obiettivi tra loro complementari, perché diretti a punire o prevenire diversi aspetti della condotta antigiuridica (§ 51) e che la possibilità di una combinazione tra le diverse sanzioni fosse per i ricorrenti una conseguenza prevedibile della loro condotta alla luce di quanto disposto, all'epoca dei fatti, dalla legislazione nazionale vigente (§ 51).

Inoltre, i Giudici europei constatano come l'Autorità islandese, nell'infliggere la condanna e determinarne l'ammontare all'esito del procedimento penale, ben avessero considerato l'eccessiva durata di quest'ultimo nonchè l'avvenuta irrogazione della sanzione tributaria (§ 52).

Ciononostante hanno ritenuto non superato, nella specie, il test della c.d. “sufficiente connessione” in quanto non tutti gli indicatori di cui alla pronuncia A. e B. c. Norvegia potevano ritenersi in concreto soddisfatti.

In primis, il frazionamento dei procedimenti ha comportato una corrispondente duplicazione della raccolta e valutazione delle prove. Ed infatti, la Polizia specializzata in frodi tributarie aveva condotto una propria indagine del tutto autonoma e indipendente, trascurando quanto contenuto nei rapporti investigativi fornitigli dall'Amministrazione finanziaria già nel 2004. Sicchè, a giudizio della Corte, “the applicants' conduct and their liability under the different provisions of tax and criminal law were thus examined by different authorities and courts in proceedings that were largely independent of each other” (§ 53).

In secondo luogo, nella pronuncia in commento, la Corte ha constatato la mancanza del requisito della connessione temporale in quanto, nonostante i due procedimenti fossero sorti quasi coevamente, il procedimento penale si era prolungato per diversi anni successivamente alla conclusione di quello tributario, per poi sfociare in una sentenza di condanna degli imputati emessa a distanza di più di otto anni dalla trasmissione della denuncia penale da parte dell'autorità fiscale. Il tutto - a differenza di quanto avvenuto nel “caso norvegese” - in mancanza di alcuna idonea argomentazione, dedotta dallo Stato Convenuto, che giustificasse un siffatto disallineamento temporale nella definizione del processo penale rispetto a quello fiscale.

Per tali ragioni, la Corte ha dichiarato di non poter ravvisare, nella specie, quella connessione sostanziale e temporale capace di rendere compatibile il sistema del doppio binario con il principio convenzionale del ne bis in idem, con conseguente, sproporzionato pregiudizio dei ricorrenti, processati e puniti per la medesima condotta da autorità differenti nell'ambito di procedimenti diversi e non adeguatamente connessi.

Osservazioni

La pronuncia in oggetto nulla aggiunge a quanto già statuito dalla Grande Camera nella succitata sentenza del 2016 emessa nei confronti dello Stato norvegese.

Nel complesso, sembra che, nel tortuoso percorso da tempo intrapreso, la Corte Europea abbia voluto fare un passo indietro rispetto alla pronuncia Grande Stevens ove, più genuinamente, ha cercato di difendere la ratio “sostanziale” del principio del ne bis de idem, consistente nel garantire in modo assoluto il diritto del cittadino di non essere sottoposto a un doppio processo e giudicato per il medesimo fatto e non, invece, nella proporzionalità della sanzione, nella concentrazione processuale o nella ragionevole durata dei procedimenti.

Con la sentenza in oggetto si tenta, invece, un compromesso con le esigenze di quegli Stati che non hanno ad oggi abbandonato, alla radice, il sistema del doppio binario. In primis l'Italia ove, nonostante i numerosi tentativi, il Giudice delle leggi non ha voluto porre fine all'insanabile conflitto tra norma interna e norma internazionale, limitandosi invece a richiamare l'attenzione del legislatore sull'opportunità di mantenere, o meno, in vita il sistema sanzionatorio de quo (Corte Costituzionale, sentenza 12 maggio 2016, n. 102).

Compromesso che, pertanto, non impedisce agli Stati membri di adottare sistemi giudiziali paralleli che cumulano sanzioni penali ed amministrative convergenti su una medesima condotta antigiuridica purchè, d'altra parte, la (duplice) risposta sanzionatoria si sviluppi in modo coerente e sia correlata da un meccanismo che, al momento debito, ammetta di riunire le differenti - ma sufficientemente connesse - procedure all'interno di un unico impianto sanzionatorio.

Una tale soluzione, che si fonda sull'applicazione di criteri di connessione in parte plasmabili all'esigenza del caso, indebolisce il principio de quo e secondo alcuni (cfr. l'opinione dissenziente del Giudice Pinto de Albuquerque con riferimento al “caso norvegese”) ne mette sottosopra la ratio. Un rischio è l'eccessiva connessione e commistione tra due procedimenti di natura diversa che determini una eccessiva semplificazione del procedimento penale a causa dell'influenza che dovranno assumere le risultanze del procedimento amministrativo ove, però, le tutele nei confronti del “Contribuente” sono certamente più deboli di quelle riconosciute a chi riveste il ruolo di “Imputato”.

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