Alla Consulta il contraddittorio endoprocedimentale per le sole “verifiche sul campo”

Leda Rita Corrado
27 Gennaio 2016

In tema di contraddittorio endoprocedimentale, a seguito della recente interpretazione delle Sezioni Unite, la CTR di Firenze ha sollevato questione di legittimità in relazione all'art. 12 comma 7 dello Statuto del contribuente laddove non prevede un obbligo di attivazione del contraddittorio se non con riferimento all'attività ispettiva esterna.
Massima

È rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111, 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni, nelle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia “effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività” del contribuente.

Il caso

Una s.r.l. in concordato preventivo impugna un avviso di accertamento con il quale sono rettificati i redditi dichiarati per il periodo di imposta 2008 – a quanto è dato comprendere – sulla base delle discrepanze tra i dati contenuti in alcuni contratti di compravendita e quelli indicati nei contratti di mutuo stipulati dalle sue controparti contrattuali.

La società contribuente lamenta la violazione dell'art. 12, comma 7, L. 27 luglio 2000, n. 212 in relazione alla omissione del contraddittorio endoprocedimentale. Tale doglianza è respinta dalla Commissione Tributaria Provinciale adita in considerazione della inapplicabilità di tale disciplina alle cosiddette “verifiche a tavolino”.

Nell'ordinanza in rassegna la Commissione Tributaria Regionale della Toscana dichiara sia la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale che investe lo Statuto dei diritti del Contribuente nella parte in cui circoscrive la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale alle sole procedure accertative scaturenti da accessi, ispezioni o verifiche nei locali destinati all'esercizio dell'attività del contribuente, sia la rilevanza di tale questione alla luce del diritto vivente che limita la portata di tale strumento istruttorio alle sole rettifiche concernenti i tributi armonizzati.

La questione

La questione oggetto delle riflessioni della Commissione Tributaria Regionale della Toscana è quella relativa alla sussistenza di un generale obbligo per l'Amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio con il contribuente prima di emettere l'atto impositivo, la cui violazione ne determini la nullità.

Il Collegio prende atto dell'esistenza di una costellazione di norme che prevedono varie ipotesi e diverse modalità di partecipazione del contribuente al procedimento tributario. Tra tali norme riveste un ruolo operativo di particolare rilievo l'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, giacché esso tutelerebbe il contribuente in occasione di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, senza tuttavia poter essere interpretato come cristallizzazione di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato (Cass. civ., ss. uu., 9 dicembre 2015, n. 24823).

Preso atto di tale plesso normativo, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana riformula la questione interrogandosi circa la compatibilità dell'art. 12, comma 7, L. 27 luglio 2000, n. 212 con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), il principio di parità delle parti (art. 111 Cost., art. 117 Cost., assumendo quale parametro interposto l'art. 6 Cedu) e il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

Le soluzioni giuridiche

Diritto di difesa e parità delle parti

l primo profilo affrontato concerne la compatibilità della disciplina de qua con il diritto di difesa e con il principio di parità delle parti.

Due sono i passaggi logici proposti dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

In primo luogo si descrive l'attuale assetto della disciplina dei poteri istruttori del giudice tributario ex art. 7, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prendendo atto della sua sostanziale disapplicazione.

In secondo luogo, si rileva che, in conseguenza dell'inerzia dell'organo giudicante, l'attività istruttoria giudiziaria de facto si sovrappone – e s'identifica – con quella svolta dall'Amministrazione finanziaria. Ciò renderebbe “necessario che il contribuente abbia voce, sia presente anche in quella fase, pur qualificabile come «amministrativa», in cui si forma il materiale probatorio su cui poggerà un giudizio spesso pronunciato dopo una breve discussione orale”: il contraddittorio endoprocedimentale, risolvendosi in un mezzo di acquisizione di materiale probatorio, si configurerebbe come “strumentale” a garantire il diritto di difesa e a far sì che le parti processuali siano collocate in condizioni di parità. Per corroborare tale ultimo passaggio argomentativo la Commissione Tributaria Regionale della Toscana opera un parallelo con il rito penale: il c.d. “Codice Rocco”, originariamente legato al modello inquisitorio, è stato negli anni plasmato dalla Corte Costituzionale fino a renderlo compatibile con la (sopravvenuta rispetto ad esso) Carta Fondamentale.

Discriminazione irragionevole

Il secondo profilo preso in esame nell'ordinanza in rassegna riguarda la violazione del principio di uguaglianza: la limitazione dell'ambito di operatività dell'art. 12, comma 7, L. 27 luglio 2000, n. 212 ai soli casi di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” si traduce in una discriminazione irragionevole a detrimento dei contribuenti che non si trovano in quella situazione, come ad esempio, l'imprenditore il cui reddito sia rettificato sulla base di documenti di pertinenza di altro imprenditore.

Osservazioni

La pregevole ordinanza in commento ha il merito di aver messo in discussione la soluzione esegetica – fin troppo cauta, se non al limite della paranoia giuridico-giudiziaria – proposta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 24823 del 2015. Già in tale occasione chi scrive aveva profilato la possibilità della sollecitazione di un intervento della Consulta per violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost., nonché attraverso l'art. 117 Cost. – delle corrispondenti norme interposte della CEDU. Sono infatti evidenti gli effetti deleteri della schizofrenia normativa ed esegetica che caratterizza il nostro ordinamento con specifico riferimento al contraddittorio endoprocedimentale. Ci si chiede infatti come contribuenti, consulenti, funzionari dell'Amministrazione finanziaria e giudici tributari dovranno gestire fattispecie unitarie nella condotta ma difformi dal punto di vista del trattamento giuridico. Quid quando dalla medesima contestazione germinano rettifiche in materia di tributi armonizzati (IVA) e non (Irpeg e Irap)? Quid poi per le sanzioni?

L'iniziativa della Commissione Tributaria Regionale della Toscana non può che essere accolta con favore.

È invero particolarmente interessante il parallelo tra la sequenza procedimento-processo che caratterizza la materia tributaria con quella propria dell'ambito penale, proposta al fine di argomentare la rilevanza del diritto di difesa ex art. 24 Cost. anche nella fase pre-contenziosa. Alla giurisprudenza costituzionale qui richiamata si può affiancare quell'orientamento della Consulta che – oramai da decenni – ritiene essenziale il rispetto del principio del giusto procedimento ex art. 97 Cost.. D'altronde sono state le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., ss. uu., 18 dicembre 2009, n. 26635) ad affermare che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l'azione amministrativa”, richiamando e confermando anche le argomentazioni già proposte dalla Sezione Tributaria (Cass. civ., sez. trib., 7 febbraio 2008, n. 2816, con nota di L. R. Corrado, Accertamenti standardizzati e rilevanza processuale del comportamento delle parti in sede amministrativa, in Riv. dir. trib., 2009, II), e che “è il contraddittorio – […] comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo, e dalla prassi amministrativa – l'elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l'ipotesi dello studio di settore” (Cass. civ., sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17229, in Dir. prat. trib., 2007, II).

Implicita nella questione concernente la violazione dell'art. 3 Cost. è quella relativa al principio di ragionevolezza, come s'intuisce nei passaggi motivazionali in tema di rilevanza. È vero che, in caso di “verifica sul campo” il contribuente subisce una intrusione nella propria sfera privata ed è quindi corretto che egli sia tutelato dall'ordinamento rispetto ad abusi nell'esercizio di tale potere. Bisogna tuttavia rilevare che, in occasione di accessi, ispezioni e verifiche presso la propria attività, il contribuente ha già la possibilità di partecipare attivamente all'istruttoria amministrativa. Diversa è la situazione di chi si veda notificare un atto impositivo – ad esempio – fondato su dati bancari (come la c.d. “Lista Falciani”) senza essere mai stato invitato dall'Amministrazione finanziaria a fornire chiarimenti (nonostante – è bene ribadirlo – in tale ipotesi il contraddittorio endoprocedimentale sia espressamente previsto dal Legislatore).