Enti locali e IVA: un altro tassello dalla Corte Ue
28 Ottobre 2015
Massima
Sulla scorta delle considerazioni che seguono, la Corte di Giustizia Ue ritiene che alla luce dell'art. 9, paragrafo 1, della Direttiva IVA, al fine di verificare se un ente pubblico eserciti un'attività economica in modo “indipendente” (o “autonomo”, termine che i giudici Ue considerano equivalente) - con il conseguente assoggettamento al tributo – è necessario verificare una serie di parametri, forniti dalla stessa giurisprudenza di matrice comunitaria. Il caso
Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, i giudici polacchi chiedevano se una “unità” iscritta al bilancio comunale – e quindi collegata, anche sotto il profilo finanziario, ad un Comune, possa essere considerata soggetto passivo ai fini IVA. La questione
La questione affidata alla Corte di Giustizia attiene all'interpretazione dell'art. 9, paragrafo 1, della Direttiva 28 novembre 2006, n. 206/112/CE (“Direttiva IVA”) - che ha sostituito, con effetto dall'1 gennaio 2007, la VI Direttiva (n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977) - in merito alla possibilità di considerare soggetto passivo IVA un ente locale. In particolare, il richiamato art. 9, paragrafo 1 – che ricalca sostanzialmente il contenuto dell'art. 4, paragrafi da 1 a 3, della VI Direttiva – fornisce la definizione, ai fini del tributo in esame, di due concetti-chiave, “soggetto passivo” e “attività economica”. Le soluzioni giuridiche
I requisiti per l'assoggettamento ad IVA Il richiamato art. 9, paragrafo 1, in particolare, delinea l'esatto ambito applicativo ed oggettivo e soggettivo della normativa IVA, come riassunto nel seguente prospetto:
Poiché, secondo il chiaro dettato normativo, tali attività devono essere esercitate “in modo indipendente”, ne consegue che ne rimangono esclusi il lavoro dipendente nonché quello comunque svolto in virtù di un contratto di lavoro subordinato oppure in tutti i casi in cui un altro soggetto ponga vincoli in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione e alla responsabilità.
Definizione di “soggetto passivo”
Dall'utilizzo, nell'art. 9, paragrafo 1, della Direttiva IVA, del termine “chiunque”, emerge la chiara volontà del Legislatore comunitario di fornire una definizione ampia della nozione di “soggetto passivo”, incentrata sull'indipendenza nell'esercizio di un'attività economica. In altre parole, come confermato dall'Avvocato Generale nelle proprie conclusioni (paragrafi 28 e 29), “tutte le persone fisiche e giuridiche, sia pubbliche che private, e anche gli enti privi di personalità giuridica, che obiettivamente soddisfino i criteri di cui a tale disposizione, sono considerate soggette all'IVA”. Tale regola di carattere generale, peraltro, incontra le deroghe indicate all'art. 13, paragrafo 1, della medesima Direttiva, norma che non a caso viene richiamata nella sentenza in commento.
Esercizio di attività in veste di “pubblica autorità”
Orbene, l'art. 13, paragrafo 1, della Direttiva IVA - che sostanzialmente corrisponde all'art. 4, paragrafo 5, della VI Direttiva – dispone che gli Stati, le Regioni, le Province, i Comuni e “gli altri enti di diritto pubblico” non sono considerati soggetti passivi ai fini IVA per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. Inoltre – prosegue la disposizione – nel caso in cui detti enti esercitino attività od operazioni “di questo genere” (vale a dire, in veste di pubblica autorità), essi devono essere considerati soggetti passivi IVA per tali attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza “di una certa importanza” (al riguardo gli eurogiudici richiamano la sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-79/09, punto 77). Quindi, affinché un ente di diritto pubblico possa essere qualificato come soggetto passivo ai fini IVA, occorre che esso eserciti un'attività economica “in modo indipendente”, fermi restando gli altri requisiti prescritti dalla normativa comunitaria richiamata (ad esempio, il trattarsi in concreto di esercizio di un'attività economica). La norma si chiude con una precisazione di non poco conto: “in ogni caso”, gli enti in parola sono considerati soggetti passivi IVA in relazione alle attività elencate nell'allegato I quando esse “non sono trascurabili”.
Requisito della “indipendenza” - Criteri forniti dalla Corte
Al fine di verificare se un ente pubblico eserciti un'attività economica in modo “indipendente” (o “autonomo”, termine che i giudici Ue considerano equivalente), con il conseguente assoggettamento ad IVA, la sentenza in commento offre i seguenti criteri:
Il contesto italiano
Sulla scorta di quanto disposto dall'art. 4, comma 1, del D.p.r. 633/72, ai fini IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dagli enti pubblici sono inquadrabili come segue:
Non si considerano attività commerciali le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell'ambito di attività di pubblica autorità, per effetto dell'art. 38, comma 2, lettera a), del D.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modifiche dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221. Le attività di "pubblica utilità", quindi, non si considerano commerciali se svolte, tra l'altro, da enti di diritto pubblico.
L'Agenzia delle Entrate ha sostenuto (Nota 19 gennaio 2004, n. 1646) - in linea con quanto precede - che "dalla giurisprudenza comunitaria emerge il principio secondo cui la valutazione delle modalità di svolgimento dell'attività consente di stabilire se l'ente agisce nell'ambito di un regime giuridico proprio degli enti pubblici o se, al contrario, agisce alle stesse condizioni giuridiche degli operatori economici privati". Una conferma di questa chiave di lettura la si rinviene dalla lettura della Risoluzione 8 luglio 2002, n. 220, con la quale il Ministero delle Finanze ha affermato che un ente agisce quale autorità pubblica, con conseguente disapplicazione delle norme IVA per carenza del presupposto soggettivo, quando rende un servizio "nell'esercizio di poteri amministrativi": se le attività svolte dall'ente possono essere rese anche da altri soggetti privati, le medesime dovranno, comunque, farsi rientrare nel sistema dell'IVA nell'eventualità in cui la loro esclusione da tale imposta generi una distorsione di concorrenza di una "certa importanza".
Si noti, ancora, che per la Circolare Ministero delle Finanze 22 maggio 1976, prot. 360068, “(...) gli enti pubblici (...) anche se non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano soggetti passivi agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto limitatamente alle cessioni di beni o alle prestazioni di servizi, effettuate nell'esercizio di dette attività, a nulla influendo l'esistenza o meno di una distinta organizzazione contabile – amministrativa. Ciò posto, tenuto conto che la determinazione dell'ambito di soggezione tributaria riferibile agli enti pubblici a carattere territoriale presenta aspetti di particolare delicatezza, soprattutto a motivo della presenza di attività svolte nell'esercizio di pubblici poteri, si manifesta l'esigenza di fornire alcune precisazioni al riguardo. Preliminarmente, si rende necessario operare una netta discriminazione tra le attività poste in essere nella qualità di pubblica autorità, ad esempio quelle riconducibili ad atti e provvedimenti formali tipici della Autorità localmente proposte alla cura di funzioni pubbliche (certificazioni per l'anagrafe, stato civile, leva, polizia a locale, vigilanza urbana, ecc.) e le attività inquadrabili nella generale nozione di “attività commerciale o agricola”: le prime, esorbitanti dalla sfera tributaria, le seconde invece, integranti operazioni imponibili agli effetti dell'IVA”. Osservazioni
A parere di chi scrive, la sentenza commentata rappresenta un ulteriore, lodevole sforzo interpretativo operato dalla Corte di Giustizia, che approda così a conclusioni che andrebbero lette congiuntamente ad altri “punti fermi” presenti nel proprio repertorio. Con riferimento alla nozione di "attività esercitata in veste di pubblica autorità", infatti, la Corte di Giustizia (sentenza 17 ottobre 1989, cause nn. 231/87 e 129/88) aveva precisato che "le attività esercitate in quanto pubbliche autorità (...) sono quelle svolte dagli enti pubblici nell'ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati". E ciò anche quando in relazione a tali attività percepiscano diritti, canoni, contributi o retribuzioni, ai sensi dell'art. 13 della Direttiva Ue 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE. Il concetto sopra esposto era stato ribadito dalla Corte di Giustizia con la sentenza C/446-98 del 14 dicembre 2000, con la quale è stato sostenuto che per poter affermare se l'ente pubblico esercita un'attività in quanto pubblica autorità occorre operare un'attenta analisi "dell'insieme delle modalità di svolgimento dell'attività in causa previste dal diritto nazionale".
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