La necessità di un rapporto sinallagmatico ai fini della detraibilità dell'IVA

29 Giugno 2017

Una prestazione di servizi è considerata effettuata «a titolo oneroso» soltanto quando tra l'autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, per cui il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo.
Massima

Una prestazione di servizi è considerata effettuata «a titolo oneroso» soltanto quando tra l'autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, per cui il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo. Il pagamento del corrispettivo non è elemento essenziale al riscontro del carattere oneroso che l'operazione deve assumere per costituire presupposto dell'imposta, occorrendo, invece, aver riguardo alla fase in cui la prestazione è in concreto eseguita, per verificarne la relazione di reciprocità col corrispettivo.

Il caso

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 9 giugno 2017, n. 14407, ha risolto un complesso contenzioso in tema di detraibilità IVA, affermando alcune considerazioni che meritano di essere richiamate.

Nel caso di specie, i verbalizzanti riscontravano che una società operante nel settore pubblicitario emetteva nei confronti delle concessionarie di spazi pubblicitari, fatture aventi come oggetto "premi impegnativa", che assoggettava ad IVA con aliquota del 20%. Le società concessionarie, per conto loro, ricevute le fatture, le contabilizzavano, detraendo gli importi dell'IVA.

L'Ufficio, in mancanza di un rapporto negoziale, qualificava i premi come cessioni di danaro a titolo gratuito, non assoggettabili ad IVA, da recuperare in quanto indebitamente detratta.

La società ricorrente (una delle concessionarie) impugnava i relativi avvisi, ottenendone l'annullamento dalla CTP.

La CTR accoglieva l'appello dell'Ufficio, sostenendo che si trattava di fatture emesse in mancanza di svolgimento di alcun servizio, non essendovi stato alcun scambio fra le due società. Contro questa sentenza proponeva infine ricorso per cassazione la contribuente.

La questione

La ricorrente contestava la sentenza laddove la CTR aveva reputato necessaria la sussistenza della sinallagmaticità delle prestazioni e non già, invece, la loro mera onerosità.

La società rilevava inoltre che il giudice d'appello aveva valorizzato il profilo soggettivo dell'operazione, sebbene l'Ufficio avesse fondato la pretesa impositiva solo sull'aspetto oggettivo, ossia sulla natura dei premi di impegnativa.

Le prestazioni di servizio, del resto, erano state eseguite e le somme, corrisposte a titolo di "premi impegnativa", avevano remunerato l'attività d'intermediazione.

Il tema, in sostanza, era quello della configurabilità di una prestazione di servizi imponibile, che la CTR aveva escluso non ravvisando uno scambio di prestazioni con corrispondente corresponsione di danaro.

Le soluzioni giuridiche

La censura, secondo la Corte, era infondata.

Affermano infatti i giudici che, in generale, spetta a colui che invoca il diritto di detrazione provare che ricorrono i presupposti per fruirne, laddove anche la Corte di giustizia sottolinea che la valutazione della realtà economica e commerciale costituisce un criterio fondamentale per l'applicazione del sistema dell'IVA, destinato a prevalere anche sul testo dei contratti.

Una prestazione di servizi è quindi considerata «a titolo oneroso» soltanto quando tra l'autore della prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, per cui il compenso costituisce il controvalore effettivo del servizio.

E infatti, in base all'art. 3 del d.P.R. n. 633/1972, «costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da...», essendo dunque necessaria l'esistenza del nesso corrispettivo tra prestazione e compenso.

Ciò che dunque rileva, ai fini di specie, è la corrispettività (e non la mera onerosità), che si traduce nella reciprocità assicurata dallo scambio; scambio, che, peraltro, ai fini dell'IVA, non necessariamente dev'essere lucrativo.

Perché si possa parlare di scambio, in conclusione, si richiede:

  • la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali;
  • la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da costui corrisposto.

E il fatto generatore dell'IVA va identificato con la materiale esecuzione della prestazione, di modo che il 3° co. dell'art. 6 del d.P.R. n. 633/1972, a norma del quale «le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo», va inteso nel senso che il conseguimento del compenso coincide non con l'evento generatore del tributo, bensì con la sua condizione di esigibilità.

Per verificare la reciprocità col corrispettivo occorre dunque aver riguardo alla fase in cui la prestazione è in concreto eseguita, occorrendo poi non soltanto la prova che dal rapporto giuridico siano scaturite le attribuzioni reciproche, ma anche che il compenso sia convenuto come “corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell'ambito di un siffatto rapporto giuridico» (Corte Giust. 18 gennaio 2017, causa C-37/2016).

E quindi, tornando al caso in esame, era dirimente l'affermazione dello stesso ricorrente, secondo cui il pagamento delle prestazioni di servizi avveniva non al perfezionamento di ogni singola prestazione di servizi resa ma, per lo stretto legame esistente con la capacità di incrementare il fatturato, in base al risultato economico che il concessionario otteneva periodicamente.

Il che, secondo la Suprema Corte, serviva a riconoscere che, all'atto della materiale esecuzione della prestazione, non era ravvisabile alcun legame diretto ed immediato tra prestazione e corrispettivo, laddove il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente ricevuto, necessario per l'assoggettabilità ad IVA della prestazione di servizi.

Conseguentemente, qualora l'attività di un prestatore consista nel fornire prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono soggette ad IVA.

Irrilevante, del resto, era anche la circostanza che le somme in questione fossero state oggetto di regolari fatture, in quanto, evidenzia la Corte, il contribuente ha l'obbligo di corrispondere l'imposta prevista dalla legge e non quella scelta in base a considerazioni soggettive (cfr. Cass. civ., 5 settembre 2014, n. 18764).

Osservazioni

Il problema dunque sussiste laddove il compenso della prestazione sia previsto non come corrispettivo per una specifica prestazione, ma al raggiungimento di un generale ed indistinto risultato economico.

A tal proposito può essere interessante anche un collegamento con un tema analogo: quello dei bonus qualitativi.

È usuale, per esempio nel settore automobilistico, che la casa produttrice riconosca ai propri concessionari di vendita, al raggiungimento di determinati obiettivi, somme a titolo di bonus, che possono essere di tipo quantitativo o qualitativo (o anche misto).

I bonus "quantitativi" sono da considerarsi come "abbuoni o sconti", per i quali la società concedente potrà emettere "note di accredito" a favore del concessionario sulle fatture inizialmente emesse tra fornitore e concessionario.

I bonus "qualitativi" costituiscono, invece, incentivi che la società concedente utilizza al di fuori dell'attività tipicamente svolta dal concessionario, a fronte dello svolgimento di altre attività, quali, per esempio, attività promozionali e di marketing.

Anche in tal caso la società concedente riconosce dunque ai propri concessionari una serie di “premi, erogati al verificarsi di specifiche condizioni stabilite in sede contrattuale.

Tali somme vengono erogate al concessionario in contropartita dell'effettuazione di prestabilite prestazioni di servizi, riconducibili ad un interesse della società, che, di fatto, utilizza tale strumento per attuare le proprie strategie di marketing e promozione.

Se così è, anche in linea con la sentenza in commento, nell'erogazione di tali bonus è dunque individuabile l'esistenza di un sinallagma.

L'erogazione dei bonus di tipo "qualitativo" costituisce dunque la remunerazione di attività che il concessionario svolge in aggiunta a quella principale di compravendita ed è, pertanto, da assoggettare ad IVA, in quanto costituente il corrispettivo di specifiche obbligazioni di fare, ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 633/1972.

Al fine, però, di verificare se effettivamente sussista il suddetto rapporto sinallagmatico (pur consapevoli, come visto, che la realtà economica e commerciale prevale comunque anche sul testo dei contratti), occorrerà valutare la complessiva struttura negoziale, le specifiche clausole del contratto e la volontà espressa dalle parti.

E, per esempio, il rapporto sinallagmatico tra bonus ed obblighi di fare andrebbe escluso ogni qual volta emerga che:

  1. le predette somme sono corrisposte in proporzione al mero fatturato;
  2. sia assente la previsione che la casa madre possa pretendere l'esatto adempimento delle prestazioni e chiedere, in difetto, il risarcimento del danno e/o la risoluzione del contratto.

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