La realizzazione di una veranda sul balcone altera il decoro architettonico dell'edificio?

Alberto Celeste
25 Ottobre 2017

Il decoro architettonico è un concetto piuttosto elastico che risulta continuamente sottoposto a precisazioni ed elaborazioni da parte della giurisprudenza; nel contempo, è un concetto mutevole nel tempo, in quanto anche le espressioni comunemente usate per definirlo si rivelano strettamente legate alla comune coscienza sociale nei vari periodi storici.
Massima

La realizzazione di una veranda, sul balcone di proprietà esclusiva di un condomino, successivamente alla costruzione dell'edificio, non può provocare, in concreto, un'incidenza lesiva tale da compromettere il decoro architettonico dello stabile, qualora lo stesso edificio, già di per sé, si riveli non armonico a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non è stato mai preteso il ripristino.

Il caso

La causa, decisa con la sentenza in commento, traeva origine dalla domanda proposta da un condominio che conveniva un giudizio il proprietario dell'appartamento posto al primo piano dello stabile, onde sentirlo condannare alla demolizione della veranda realizzata sul balcone di sua proprietà - così determinando un'alterazione del decoro architettonico dell'edificio - di cui ne chiedeva la demolizione (oltre il risarcimento del danno quantificato in € 20.000,00).

Il convenuto si costituiva in giudizio, contestando la fondatezza della domanda attorea, di cui chiedeva il rigetto.

Veniva disposta ed espletata la CTU al fine di verificare l'incidenza sull'aspetto architettonico dell'edificio della struttura così come realizzata dal condomino.

La questione

Si trattava, quindi, di verificare se il manufatto, realizzato dal condomino nel balcone di sua proprietà successivamente alla costruzione dell'edificio, potesse pregiudicare quel bene collettivo costituito dal decoro architettonico, segnatamente “calando” quest'ultimo concetto al caso di specie, ossia tenendo conto dell'impatto visivo che la veranda de qua potesse avere sulla facciata dello stabile interessato.

Le soluzioni giuridiche

Il magistrato pugliese adìto ha ritenuto infondata la domanda proposta dal condominio attoreo.

Invero, l'art. 1122 c.c. - nel testo così come innovato dalla l. n. 220/2012 - stabilisce che, «nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danni alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, sicurezza e al decoro architettonico dell'edificio».

La norma, dunque, consente al condomino di eseguire opere nella porzione immobiliare di sua proprietà esclusiva, ma a condizione che tali interventi non pregiudichino la stabilità/sicurezza/decoro dell'edificio condominiale, sicché anche gli interventi su porzioni di piano di proprietà personale, perché inerenti a beni esclusivi come quelli menzionati nell'art. 1122 c.c., non possono apportare modifiche che rechino danno alla cosa comune (così Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2013, n. 18350, a proposito di una canna fumaria).

Nella stessa ottica, l'ultimo comma dell'art. 1120 c.c.- che a seguito delle modifiche introdotte dalla Riforma della normativa condominiale, è diventato il quarto - vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, e che ne alterino il decoro architettonico.

Premesso che, per «decoro architettonico» del fabbricato, deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e strutture che connotano il fabbricato stesso e che gli imprimano una determinata, armonica, fisionomia, nella specie il CTU aveva accertato - per quel che rileva in questa sede - che :

a) la facciata di prospetto del palazzo e, in particolare, riguardo alla parte in cui si trovava il balcone dell'unità immobiliare coinvolta nell'iniziativa edificatoria del condomino presentava già due chiusure a veranda;

b) sul balcone di proprietà di altri condomini del secondo piano, la parte corrispondente alla ringhiera risultava tamponata con pannelli ciechi di colore bianco, tende da sole e chiusure a vetri;

c) si registrava la presenza di numerosi elementi accessori che poco si coordinavano con la facciata, come ad esempio due canne fumarie ramificate in acciaio inox a cui erano collegate le caldaie murali non ordinatamente collocate sulla facciata di prospetto;

d) erano visibili molti condizionatori d'aria, armadietti e contenitori, oltre che finestre chiuse con grate di tipologia diversa.

In conclusione, l'ausiliario aveva riscontrato «un generale disordine sia geometrico che cromatico sulle facciate di prospetto», dovuto anche alla presenza di numerosi elementi che contrastano con le linee principali ed i colori che caratterizzano alla facciata.

Pertanto, sulla base di quanto riscontrato in sede peritale e dalla documentazione fotografica allegata, ad avviso del Tribunale barese, «risulta, senza ombra di dubbio, che lo stabile condominiale in oggetto è privo, già di per sé, di elementi architettonici armonici, in quanto le originarie linee della facciata dell'edificio risultano già state modificate a seguito degli interventi dei singoli condomini attraverso la realizzazione di verande, tende, chiusure varie, canne fumarie, armadietti, scale, e quant'altro.

Osservazioni

La sentenza in esame si pone in linea con quell'orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un'opera modificativa compiuta da un condomino, «quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino» (così Cass. civ., sez. II, 7 settembre 2012, n. 14992).

Ed ancora, si è affermato che la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini - che costituisca l'unico contestato profilo di illegittimità dell'opera stessa - non può assumere rilievo in presenza di una «già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull'immobile» (in tal senso, v. Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2007, n. 21835: nella specie, si era confermata la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di rimozione di un ballatoio realizzato da un condomino sul preesistente terrazzo, atteso che non tutte le modifiche compiute avevano danneggiato il decoro dell'edificio, peraltro già compromesso da precedenti interventi, alcuni dei quali opera dello stesso attore).

In realtà, in ordine ai criteri di accertamento della compromissione del decoro architettonico in materia di edifici in condominio, si registrano alcune divergenze interpretative in giurisprudenza, tanto che, su tale assunto, si è giustificata la compensazione integrale delle spese processuali fra i contendenti e, analogamente, quelle peritali sono state poste definitivamente a carico di ciascuno in quote uguali.

In effetti, la fattispecie affrontata nella la sentenza in epigrafe si rivela abbastanza frequente: un condomino trasforma il balcone in veranda (di solito, al fine di ampliare il proprio l'appartamento) e il condominio, in mancanza di una disposizione ad hoc del regolamento che vieti tale condotta, si oppone lamentando un pregiudizio alla cosa comune.

La problematica de qua coinvolge, a monte, i limiti di utilizzo dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva nell'àmbito del rapporto (spesso confliggente) tra singolo e collettività condominiale, sicché esulano eventuali profili edilizi o/e urbanistici (attinenti all'aumento di volumetria dell'alloggio interessato dalla realizzazione del suddetto manufatto) o eventuali violazioni delle norme in materia di vicinato (si pensi alle distanze da rispettare nei confronti dell'appartamento contiguo orizzontalmente o verticalmente).

Orbene, impregiudicata la facoltà - purché ne ricorrano i presupposti di cui all'art. 69 disp. att. c.c. - di invocare una revisione delle tabelle millesimali, sovente si denuncia una lesione al decoro architettonico, in quanto la «tamponatura» del suddetto balcone altera, in modo significativo, i connotati originari della facciata dello stabile condominiale (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, secondo cui, salve limitazioni di natura pubblicistica, la chiusura a vetri di balconi di pertinenza esclusiva deve, di norma, ritenersi consentita ai rispettivi proprietari, purché non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non rechi pregiudizio, sotto alcun profilo, agli altri condomini, ai quali deve essere comunque assicurato un pari uso del bene comune).

In precedenza, i magistrati di Piazza Cavour avevano rilevato che l'art. 1122 cit., nel vietare le innovazioni pregiudizievoli alle parti comuni dell'edificio, fa riferimento non soltanto al danno materiale, inteso come modificazione esterna o dell'intrinseca natura della cosa comune, ma a tutte le opere che elidono o riducono in modo apprezzabile le utilità da essa detraibili, anche se di ordine edonistico od estetico, sicché devono ritenersi vietate tutte quelle modifiche che comportino un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato, puntualizzando, al riguardo, che il decoro è correlato non solo all'estetica - che è data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato imprimendogli una determinata armonia complessiva - ma anche all'aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano suscettibili per sé di considerazione autonoma (Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2005, n. 1076: nella specie, era stato escluso che l'installazione di una controporta a filo del muro di separazione fra l'appartamento del condomino e il ballatoio avesse un'incidenza apprezzabile sull'armonia complessiva del pianerottolo, cioè sul complesso delle sue linee e delle sue forme).

Parimenti, si era affermato che l'esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non può ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni, come si ricava dall'art. 1122 c.c., il quale stabilisce che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell'edificio, essendo tenuto al rispetto anche della qualità della stessa (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947): infatti, il concetto di «danno», cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o dell'intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (nella specie, trattavasi del sopralzo dei parapetti del terrazzo di copertura dell'edificio che - secondo il giudice di merito - aveva compromesso sul piano estetico il rispetto dell'aspetto architettonico del fabbricato).

Tornando al caso di specie, dunque, al fine di stabilire se le opere modificatrici abbiano alterato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il predetto decoro se apportata ad un edificio la cui estetica era già stata menomata a seguito di precedenti lavori oppure che sia di mediocre livello architettonico.

In altri termini, se è vero che un fabbricato pregiudicato sensibilmente sotto il profilo estetico non autorizza, di per sé, un ulteriore aggravio dello stesso, è altrettanto vero che non si può parlare di snaturamento delle linee architettoniche di uno stabile, se il suo prospetto esterno risulta già fortemente compromesso per la presenza di una serie disordinata di manufatti non a filo con i muri perimetrali, infissi di varia natura, balconi «tamponati» con verande di ogni tipo - come la fattispecie in oggetto - ringhiere con disegni bizzarri, persiane multicolori, tende con diverso aspetto cromatico, contatori del gas con relative tubazioni, e quant'altro.

In questa prospettiva, la sentenza di merito si presenta sulla stessa lunghezza d'onda di quell'indirizzo (da reputarsi oramai prevalente) secondo cui il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini (v., altresì, Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16098; Cass. civ., sez. II, 15 aprile 2002, n. 5417; Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549).

Diverso discorso, ovviamente, attiene all'individuazione delle responsabilità in ordine alle condotte indiscriminate che hanno legittimato, di fatto, tale situazione irrimediabile di degrado a seguito di un'omessa tempestiva reazione.

Guida all'approfondimento

Meo, Costruzione di una veranda ed alterazione del decoro architettonico, in Immob. & proprietà, 2011, 11;

Palombella, Anche una semplice veranda può diventare una sopraelevazione, in www.dirittoegiustizia.it, 2011;

Sposìto, Presupposti formali per la realizzazione di strutture a veranda, in Ventiquattrore avvocato, 2007, fasc. 2, 100;

Santersiere, Uso esclusivo del lastrico solare condominiale e illegittima costruzione di veranda, in Arch. loc. e cond., 2003, 834;

De Tilla, Le questioni (e gli equivoci) in tema di decoro ed aspetto architettonico dell'edificio condominiale con particolare riferimento alla veranda costruita sulla terrazza comune, in Giust. civ., 1989, I, 2634.

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