Concessione di lavori

Carlo M. Tanzarella
25 Gennaio 2016

La concessione di lavori pubblici è una delle modalità previste (accanto all'appalto di lavori e, oggi, ai contratti di locazione finanziaria e di disponibilità: art. 53, comma 1 e artt. 160-bis e 160-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) per la realizzazione di lavori pubblici: si tratta di un contratto con il quale l'operatore privato si impegna alla progettazione e alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, avendone come corrispettivo, di regola, unicamente il diritto di gestire l'opera per un certo periodo di tempo (art. 3, comma 11, d.lgs. n. 163 del 2006).
Inquadramento

La concessione di lavori pubblici è una delle modalità previste (accanto all'appalto di lavori e, oggi, ai contratti di locazione finanziaria e di disponibilità: art. 53, comma 1 e artt. 160-bis e 160-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) per la realizzazione di lavori pubblici: si tratta di un contratto con il quale l'operatore privato si impegna alla progettazione e alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, avendone come corrispettivo, di regola, unicamente il diritto di gestire l'opera per un certo periodo di tempo (art. 3, comma 11, d.lgs. n. 163 del 2006).

I tratti caratteristici dell'istituto ne riflettono la funzione: consentire all'Amministrazione di dotarsi delle infrastrutture necessarie al soddisfacimento dei bisogni della collettività finanziandone la realizzazione attraverso l'investimento di capitali del concessionario, le cui prestazioni non vengono remunerate con un corrispettivo in denaro ma con i ricavi che egli ritrae dalla successiva gestione dell'opera e dall'erogazione dei connessi servizi all'utenza.

Requisito essenziale della concessione è il trasferimento del rischio (non solo di costruzione, ma anche) di gestione dell'opera in capo al concessionario, su cui grava l'alea di una conduzione non profittevole ed insufficiente alla copertura degli investimenti e alla realizzazione di un margine di utile: corrispondentemente, la disciplina dell'istituto (artt. 142 ss., d.lgs. n. 163 del 2006) vuole assicurare l'effettività dell'allocazione del rischio sul privato ed evitare che l'equilibrio economico-finanziario dell'operazione sia conseguito con l'iniezione di risorse pubbliche (il che condurrebbe ad una sostanziale ed inammissibile equivalenza degli schemi contrattuali della concessione e dell'appalto).

Per tali sue caratteristiche, la concessione rientra nella più ampia categoria dei contratti di partenariato pubblico privato, dei quali è oggetto indefettibile «il finanziamento totale o parziale a carico di privati … con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti» (art. 3, comma 15-ter, d.lgs. n. 163 del 2006).

Mentre la direttiva 2004/18/CE tratta l'istituto in modo essenziale, per il resto rinviando alla più ampia disciplina dell'appalto pubblico di lavori in quanto applicabile, con la nuova direttiva 2014/23/UE l'intero settore delle concessioni, sia di lavori che di servizi, è oggetto di una risistemazione organica ed analitica, che riguarda, oltre alla regolamentazione delle procedure di aggiudicazione e della fase di esecuzione, anche l'illustrazione dei principi informatori della materia e la definizione dei profili caratteristici e tipici della figura tra i quali, soprattutto, lo stesso concetto di rischio, che viene definito “operativo” (art. 5, par. 1, dir. 2014/23/UE).

Caratteristiche dell'istituto

Una pur sintetica ricognizione delle caratteristiche essenziali dell'istituto deve muovere dalla questione, lungamente dibattuta, della sua qualificazione giuridica, essendosi contese il campo la tesi della concessione come atto amministrativo di organizzazione, che faceva leva sul trasferimento al privato di funzioni e compiti propri dell'Amministrazione (in particolare, per l'erogazione di servizi al pubblico), e quella opposta della concessione come negozio giuridico: il problema (non solo teorico, ma pratico, ad esempio per le differenti conseguenze dell'accoglimento dell'una o dell'altra posizione sul riparto di giurisdizione: cfr. infra, par. 4) è stato superato con l'avvento della normativa comunitaria che, interessata al solo profilo dell'attuazione delle regole della concorrenza ed indifferente alla qualificazione interna degli atti degli Stati membri aventi ad oggetto attività economiche, sin dalla direttiva 93/37/CEE ha espressamente definito la concessione come contratto.

Nella nozione rientrano tutte quelle operazioni che, come precisato dalla Commissione europea nella comunicazione interpretativa 29 aprile 2000 in materia di concessioni nel diritto comunitario, siano caratterizzate da particolari modalità di remunerazione del concessionario, consistenti nel diritto di gestire economicamente e funzionalmente l'opera realizzata: vale a dire, in concreto, nel diritto di erogare i servizi connessi all'opera, dietro pagamento di un corrispettivo a carico dell'utenza (si pensi, ad esempio, alle tariffe per l'erogazione delle prestazioni sanitarie nel contesto di una concessione per la costruzione e gestione di un ospedale).

Muovendo dalla definizione di concessione di lavori introdotta dalla direttiva 93/37/CEE (oggi estesa anche alle concessioni di servizi: si vedano l'art. 1, par. 3 e 4, della direttiva 2004/18/CE e l'art. 3, commi 11 e 12, del codice) la Commissione ha ricostruito l'istituto sul concetto di trasferimento del rischio di gestione: il fatto che la remunerazione del concessionario non debba essere a carico del concedente implica, necessariamente, che la responsabilità (per tutti gli aspetti dell'opera: tecnici, finanziari e gestionali) gravi sul concessionario medesimo.

L'allocazione sul concessionario dell'alea del rapporto, pertanto, rappresenta ad un tempo l'elemento identificatore del contratto di concessione e il limite alla possibilità per l'Amministrazione, pure prevista dall'ordinamento comunitario (si rinvia alle già richiamate definizioni di concessioni di lavori e di servizi), di integrare la remunerazione del concessionario con un prezzo per contribuire economicamente alla realizzazione e gestione dell'opera e dei servizi connessi allorquando lo richiedano esigenze sociali (ad esempio, «affinché il prezzo delle prestazioni» dei servizi pubblici gestiti dal concessionario «diminuisca per l'utente»).

Si verte dunque in una ipotesi di appalto pubblico, e non di concessione, «se i poteri pubblici sopportano la maggior parte dell'alea legata alla gestione dell'opera, garantendo, per esempio, il rimborso dei finanziamenti», anche se formalmente il concessionario gestisce l'opera percependo corrispettivi da parte dell'utenza, poiché «l'elemento “rischio” viene a mancare».

La comunicazione si è soffermata anche su alcuni profili della relativa disciplina: in particolare, la durata della concessione e le modalità di affidamento.

Con riguardo al primo aspetto, si è evidenziato come un'adeguata estensione della concessione sia determinante per consentire al concessionario la concreta possibilità di disporre di un tempo sufficiente a rendere remunerativo l'investimento attraverso la gestione dell'opera ma, allo stesso tempo, la Commissione ha avvertito che la durata non deve essere tale da «restringere o limitare la libera concorrenza più di quanto sia necessario» per garantire l'equilibrio finanziario dell'operazione, in accordo al principio comunitario di proporzionalità.

Quanto alle modalità di affidamento, sul rilievo che in passato gli Stati membri «talvolta hanno ritenuto che l'attribuzione di una concessione non fosse soggetta alle disposizioni del trattato, consistendo questa nella delega di un servizio al pubblico che poteva essere attribuita soltanto sulla base di una fiducia reciproca», la comunicazione ha affermato la piena applicabilità anche alle concessioni dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, dai quali deriva l'obbligo di garantire eguali condizioni di accesso al mercato tramite procedure concorsuali pubbliche e la predeterminazione delle condizioni economiche della commessa, pur nella piena libertà del concedente «di scegliere la procedura più appropriata in funzione delle caratteristiche del settore interessato», e in particolare anche «di esperire una procedura negoziata».

Occorre peraltro evidenziare che non sarebbe stato necessario richiamare i principi del Trattato in relazione alle concessioni di lavori che, a differenza delle concessioni di servizi, trovavano (dir. 93/37/CEE) e trovano tuttora (dir. 2004/18/CE) puntuale disciplina nel diritto comunitario derivato (come si è accennato, la nuova direttiva 2014/23/UE ha previsto una regolamentazione sistematica per la concessione, quale che ne sia l'oggetto).

Profili di disciplina

Quanto alla regolamentazione positiva dell'istituto, gli artt. 56 ss., direttiva 2004/18/CE delimitano il relativo ambito di applicazione ed introducono regole procedimentali minime per l'affidamento della concessione e degli appalti del concessionario, consistenti nell'obbligo di pubblicazione di un bando (con limitate eccezioni per l'affidamento diretto in corso d'opera di lavori complementari al concessionario stesso) e nella previsione di termini minimi per la presentazione delle candidature e delle offerte.

Le disposizioni comunitarie, riprodotte in modo sostanzialmente pedissequo dal c.c.p. (salvo talune differenze, di cui si dirà), non sviluppano invece i profili di disciplina direttamente ricadenti dalle caratteristiche peculiari delle concessioni e, segnatamente, le modalità di distribuzione dell'alea del rapporto tra le parti.

Al contrario, il legislatore nazionale ha dedicato un'attenzione particolare a tali aspetti, dettando un'ampia ed analitica disciplina che ruota attorno al concetto di equilibrio economico finanziario e che è funzionale alla effettiva allocazione del rischio dell'operazione in capo al concessionario, sia nel momento iniziale di costruzione del rapporto, sia nel corso del suo svolgimento.

Seguendo rotte già tracciate dalla l. 11 febbraio 1994, n. 109, la regolamentazione contenuta nel c.c.p. riflette vari ordini di preoccupazione: da un lato, si vuole garantire la serietà e l'affidabilità del programma di investimenti e di gestione del concessionario, in ragione delle conseguenze negative che il fallimento della sua iniziativa imprenditoriale produrrebbe sulla continuità dell'erogazione dei servizi affidatigli; dall'altro, si vuole assicurare la stabilità del rapporto laddove i costi sociali della gestione dell'opera e dei servizi, oppure circostanze sopravvenute, possano incidere sull'equilibrio dell'operazione; il tutto nella consapevolezza dell'importanza strategica del contratto di concessione quale strumento essenziale per veicolare gli investimenti di capitali privati nelle realizzazione di infrastrutture pubbliche.

(Segue). Disciplina applicabile ed ambito di applicazione

L'art. 142, d.lgs. n. 163 del 2006, che apre il capo II del titolo III della parte II del codice, individua la disciplina applicabile in materia e la relativa estensione, in modo sostanzialmente identico a quanto previsto dagli artt. 56 e 57, direttiva 2004/18/CE.

In via generale, le concessioni di lavori sono regolate da tutte le norme del codice, ove non derogate dalla disciplina settoriale del medesimo capo II (art. 142 cit., comma 3) la cui applicazione, che la direttiva circoscrive ai soli contratti di rilevanza economica comunitaria, è stata invece estesa nell'ordinamento italiano a tutte le concessioni, senza più limiti di soglia (art. 2, d.lgs., 31 luglio 2007, n. 113, che ha modificato l'art. 142, comma 1, c.c.p.).

Del pari sono regolati dalle disposizioni del codice dei contratti, salvo che non siano derogate dalle norme del capo II, gli appalti affidati da quei concessionari che sono a loro volta amministrazioni aggiudicatrici, secondo la definizione dell'art. 32 del codice (il caso è quello del concessionario organismo di diritto pubblico), mentre, per i contratti stipulati dai concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatrici, la disciplina codicistica non trova integrale applicazione (si rinvia all'art. 142, comma 4, c.c.p. per l'elencazione puntuale delle norme richiamate).

Anche per l'individuazione delle fattispecie escluse dal campo di applicazione, il codice (art. 142, comma 2) recepisce le regole comunitarie (art. 57, direttiva 2004/18/CE), imponendo il rispetto dei soli principi generali del trattato e delle regole essenziali di concorrenzialità previste dall'art. 27 per le concessioni affidate in particolari circostanze (contratti secretati, o da aggiudicarsi in base a norme internazionali) o in determinati settori (telecomunicazioni, gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica).

Tuttavia, alcuni profili della disciplina della concessione di lavori devono ritenersi essenziali e, come tali, applicabili anche alle fattispecie escluse: è il caso, ad esempio, dell'obbligo di allegazione all'offerta del piano economico finanziario (Cons. St., Sez. IV, 4 gennaio 2005, n. 2), sulla cui funzione e sul cui rilievo si tornerà in seguito (cfr. infra, par. L'equilibrio economico finanziario).

(Segue). Criteri di qualificazione del rapporto negoziale

Se non sembrano esservi dubbi o questioni interpretative in punto di individuazione delle norme applicabili, potrebbe invece essere controversa la sussistenza del presupposto stesso di applicazione della disciplina, vale a dire la qualificazione in concreto della fattispecie come concessione di lavori, presentandosi quest'ultima come un contratto misto nel quale sono compresenti attività proprie del settore dei lavori e di quello dei servizi, questi ultimi a loro volta erogati per il tramite dell'utilizzo di un bene pubblico o di pubblica utilità.

Come già suggerito dalla comunicazione interpretativa del 2000, il criterio discretivo è quello dell'oggetto principale del contratto, da individuarsi nella prestazione alla cui realizzazione la complessiva fattispecie è rivolta, così che le altre attività si pongono, rispetto a quella prevalente, in un rapporto di strumentalità (TAR Piemonte, Sez. I, 20 giugno 2012, n. 747; Cons. St., Sez. V, 26 gennaio 2011, n. 591).

Altre decisioni, invece, sembrano riferirsi al criterio della prevalenza come ad un rapporto di forza economica, nel senso cioè che, tra la componente di realizzazione dei lavori e quella di erogazione dei servizi, dovrebbe prevalere quella di maggior valore (Cass. civ., Sez. un., 6 luglio 2015, n. 13864).

L'orientamento che fa leva sul nesso di strumentalità appare più aderente alla definizione normativa dell'istituto, nella quale il diritto di gestire l'opera (vale a dire, la componente relativa ai beni e ai servizi) costituisce il corrispettivo delle attività di progettazione e costruzione, ed è dunque strumentale al reperimento dei necessari mezzi finanziari (Cons. St., Sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600), mentre il rapporto tra il valore delle opere e il canone eventualmente corrisposto per la gestione del servizio è un elemento neutro ove non sia valutato alla luce dell'equilibrio economico finanziario complessivo dell'operazione.

(Segue). Oggetto del contratto

L'art. 143 c.c.p. individua nel dettaglio le prestazioni a carico delle parti (commi da 1 a 5) e detta le regole di funzionamento economico del rapporto (commi da 6 a 9).

L'oggetto del contratto è ampio e include una pluralità di prestazioni che, nel corso del tempo, sono state ulteriormente incrementate e le cui modalità di esecuzione sono state rese maggiormente flessibili, sia dal lato del concedente che dal lato del concessionario.

In particolare, al concessionario può essere attribuita, oltre alla gestione funzionale ed economica delle opere da realizzare, anche la gestione funzionale ed economica di «opere o parti di opere in tutto o in parte già realizzate e direttamente connesse a quelle oggetto della concessione e da ricomprendere nella stessa»: la novella, introdotta dall'art. 42, comma 2, lett. b), d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, significativamente intitolato “Misure per l'attrazione dei capitali privati”, ha lo scopo di favorire il ricorso al partenariato pubblico-privato, attribuendo al concessionario diritti di gestione su un più ampio compendio, anche “in via anticipata” rispetto alla realizzazione dei lavori (il cui costo può pertanto, almeno in parte, essere subito coperto), mettendolo così nelle condizioni di riporre una più sicura fiducia nelle possibilità di rendere remunerativo il proprio investimento. Su un piano più generale, poi, la possibilità di collegare i lavori oggetto di concessione a beni già esistenti può favorire il recupero, lo sfruttamento e la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (nella stessa prospettiva dei più recenti orientamenti politico-legislativi in materia di riduzione del consumo di suolo).

La gestione delle opere, come si è detto, non è solo un'obbligazione del concessionario, ma costituisce al medesimo tempo un diritto che gli viene attribuito dall'Amministrazione concedente quale controprestazione delle attività di progettazione definitiva ed esecutiva dell'opera e di realizzazione di quest'ultima: ove l'Amministrazione già disponga dei documenti di progettazione definitiva od esecutiva, il concessionario può limitarsi «al completamento della progettazione, ovvero alla revisione della medesima», sicché anche per tale aspetto l'istituto presenta tratti di marcata flessibilità.

Il corrispettivo del concessionario può consistere anche nel pagamento di un prezzo, in aggiunta al diritto di gestire le opere: tale facoltà, prevista in via generale dalla direttiva comunitaria, è regolata con puntualità dal codice dei contratti, che la circoscrive alle sole ipotesi in cui l'Amministrazione ritenga di imporre al concessionario: i) di praticare nei confronti dell'utenza tariffe calmierate per l'erogazione dei servizi pubblici connessi alla gestione dell'opera; ii) di garantire determinati livelli di qualità dei servizi medesimi. In tali ipotesi, infatti, il pagamento di un prezzo aggiuntivo si rende necessario per assicurare l'equilibrio economico finanziario di una gestione soggetta ad obblighi di servizio.

Nelle medesime circostanze, al prezzo può eventualmente accompagnarsi l'attribuzione al concessionario della “gestione funzionale ed economica, anche anticipata, di opere o parti di opere già realizzate”. Come si è visto, l'identica facoltà è stata contestualmente introdotta anche al primo comma quale ipotesi generale, vale a dire al di fuori delle ipotesi tassative che legittimano l'attribuzione di un prezzo aggiuntivo al concessionario, ma in relazione a queste ultime la funzione della gestione anticipata è parzialmente diversa, essendo rivolta non a moltiplicare le fonti di ricavo del concessionario per favorire una più celere e sicura copertura dell'investimento, ma a garantire l'equilibrio di una gestione soggetta a vincoli di prestazione estranei alle logiche normali del mercato libero.

Da ultimo, il codice prevede la facoltà per il concedente di corrispondere l'eventuale prezzo aggiuntivo in forma di cessione in proprietà o in godimento al concessionario di beni immobili.

Anche tale norma ha subito, in tempi recenti, significative modifiche: mentre in origine potevano essere oggetto di cessione esclusivamente beni immobili la cui utilizzazione fosse strumentale o connessa all'opera da affidare in concessione, oppure beni immobili che non assolvessero più a funzioni di interesse pubblico, ed in entrambi i casi purché fossero inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici dell'Amministrazione concedente, con l'art. 42, d.l. n. 201 del 2011 la cessione è possibile in ogni caso in cui ciò si renda necessario a garantire l'equilibrio economico finanziario del rapporto, indipendentemente dall'esistenza di un nesso funzionale tra bene ceduto ed opera oggetto di concessione, e senza più bisogno di una preventiva individuazione nell'ambito della programmazione triennale.

Viene dunque sensibilmente esteso l'ambito di applicazione della cessione di immobili in conto prezzo, con lo scopo, ancora una volta, di favorire la concreta praticabilità della concessione attraverso un più flessibile ed agevole ricorso a mezzi di finanziamento alternativi al denaro, in un momento di particolare limitatezza delle finanze pubbliche: d'altro canto, la cessione è possibile solo previa valutazione di effettiva convenienza economica per l'Amministrazione.

Alla novella, poi, è stato anche legato l'obiettivo di garantire elevati standard di utilizzazione e valorizzazione dei beni ceduti, le cui modalità devono essere predeterminate ed assunte quale parte integrante delle condizioni dell'equilibrio economico finanziario della concessione.

(Segue). L'equilibrio economico finanziario

Poiché, come si è detto, la caratteristica essenziale della concessione è l'allocazione del rischio di gestione sul concessionario, il codice dei contratti vuole assicurare che la proposta aggiudicataria sia affidabile e, a tale scopo, detta puntuali regole per la costruzione dei termini economici del rapporto negoziale e per la verifica della effettiva sostenibilità economico-finanziaria dell'operazione

Elemento centrale della costruzione economica del rapporto è la durata della concessione, che di regola non può superare i trent'anni (ma le concessioni di valore superiore al miliardo di euro possono durare sino a cinquanta anni: art. 143, comma 8, come modificato dall'art. 42, d.l. n. 201 del 2011): si tratta di un limite massimo, sicché la concessione può essere anche più breve in rapporto alle esigenze del caso concreto, mentre un'estensione oltre tale limite massimo è consentita solo ove necessario per assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario e solo previa valutazione che tenga conto del rendimento della concessione, dell'incidenza dell'eventuale prezzo sull'importo dei lavori, e dei rischi connessi alle modificazioni delle condizioni di mercato, così che la scelta sia sostenuta da serie motivazioni tecniche e la determinazione di un periodo di concessione più lungo non vada ad incidere, oltre la misura del necessario, sulla concorrenza.

Strumento fondamentale per la verifica della effettiva sostenibilità dell'operazione è il piano economico finanziario (PEF), che il codice (art. 143, comma 7) ed il regolamento di attuazione (artt. 115, lett. r) e 116, lett. a), d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) indicano quale parte integrante sia dell'offerta che della convenzione di concessione.

Il PEF deve consentire di verificare l'attendibilità della proposta e la sua concreta fattibilità sotto i profili del rientro dell'investimento, dell'assenza di oneri a carico dell'Amministrazione e della rimuneratività della gestione: è, in altri termini, il documento giustificativo della sostenibilità economico finanziaria dell'offerta, che non si sostituisce a quest'ultima, essendo invece un supporto per la valutazione della congruità dell'offerta medesima (Cons. St., Sez. V, 10 febbraio 2010, n. 653).

In ragione di tale sua natura, il PEF non è un documento intangibile ed immodificabile ma, al pari delle giustificazioni preventive di congruità presentate in sede di offerta, è suscettibile di specificazioni e chiarimenti, anche in corso di gara (Cons. St., Sez. V, 17 novembre 2006, n. 6727), pur nel rispetto del limite rappresentato dal divieto di stravolgere l'offerta originaria incidendo sull'importo globale e/o sui singoli prezzi unitari (Cons. St., Sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3657).

Da parte sua, l'Amministrazione concedente deve rendere disponibili ex ante tutti gli elementi necessari alla costruzione del piano economico finanziario, che devono essere indicati nello schema di contratto di concessione allegato al bando (art. 115,d.P.R. n. 207 del 2010), in modo tale da consentire al concessionario, su cui grava il rischio economico, di svolgere le opportune valutazioni sulla effettiva convenienza dell'operazione (Cons. St., Sez. V, 13 giugno 2012, n. 3474).

Infine, sempre nell'ottica di verificare preliminarmente la stabilità ed affidabilità dell'operazione, il legislatore ha da ultimo introdotto l'obbligo di definire i bandi, gli schemi di contratto e i PEF «in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità dell'opera» (art. 143, comma 3-bis, c.c.p.): tale previsione è rafforzata dalla facoltà di richiedere una dichiarazione scritta, da parte di uno o più istituti finanziatori, di manifestazione di interesse a finanziare l'operazione, «anche in considerazione dei contenuti dello schema di contratto e del PEF».

(Segue). La revisione delle condizioni di equilibrio economico-finanziario

Al ricorrere di determinate circostanze, il codice consente alle parti di rinegoziare il contratto in corso di esecuzione: l'esigenza può in effetti porsi laddove fatti estranei alla volontà del concessionario sopravvengano a modificare i presupposti e le condizioni di base individuati nell'offerta e nella convenzione per il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario dell'operazione, rendendosi pertanto necessario determinare nuove condizioni di equilibrio, «anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni» (art. 143, comma 8, c.c.p.).

Le ipotesi che danno ingresso alla procedura di revisione sono eccezionali e, come tali, insuscettibili di estensione: i termini economici dell'operazione, infatti, sono conoscibili ex ante proprio per consentire una ponderata valutazione della relativa sostenibilità finanziaria, sicché accordare una possibilità generale ed incondizionata di modifica del contratto vanificherebbe il meccanismo concorrenziale di scelta del contraente, poiché permetterebbe all'Amministrazione di restringere il numero dei candidati prevedendo clausole tali da ridurre la convenienza dell'imprenditore, per poi ripristinare il giusto equilibrio contrattando esclusivamente e direttamente con il concessionario (Cons. St., Sez. V, 13 giugno 2012, n. 3474).

La revisione, pertanto, è consentita esclusivamente nel caso in cui sia l'Amministrazione ad apportare variazioni ai presupposti e condizioni di base dell'equilibrio economico-finanziario della concessione, oppure nel caso in cui tali variazioni dipendano da sopravvenute norme legislative o regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o che comunque incidano sull'equilibrio del PEF: al ricorrere di una di tali ipotesi, il ripristino delle condizioni di equilibrio costituisce un dovere del concedente (TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 30 aprile 2012, n. 738).

Per evitare abusi, il procedimento di revisione è stato circondato di particolari cautele: i) l'art. 19, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 ha introdotto nell'art. 143 il comma 8-bis, il quale impone che già nella convenzione di concessione siano indicati i presupposti e le condizioni di base del PEF le cui variazioni, non imputabili al concessionario, comportano la revisione (già prima della novella, peraltro, alcune convenzioni individuavano in anticipo le ipotesi di disequilibrio del rapporto e le modalità per porvi rimedio: ad esempio, Cons. St., Sez. V, 17 settembre 2008, n. 4389), e stabilisce altresì che la convenzione contenga una definizione di equilibrio economico finanziario che faccia riferimento ad indicatori di redditività e di capacità di rimborso del debito; ii) la medesima novella ha anche previsto, modificando in parte qua il comma 8 dell'art. 143, che l'effettiva sussistenza delle condizioni legittimanti la revisione sia previamente verificata dal CIPE, sentito il Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità.

(Segue). Le modalità di affidamento

Quanto alle modalità per l'affidamento dei contratti di concessione (art. 144, d.lgs. n. 163 del 2006), è di rilievo la circostanza che mentre la direttiva 2004/18/CE, conformemente alle indicazioni della comunicazione interpretativa del 2000, prescrive la pubblicità dei bandi senza imporre una determinata procedura di aggiudicazione, il codice dei contratti (mutuando la scelta già operata con la l. n. 109 del 1994) fa invece obbligo di ricorrere esclusivamente alle procedure aperte o ristrette (con esclusione, dunque, delle procedure negoziate), utilizzando esclusivamente il metodo di selezione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (con esclusione, dunque, del criterio del massimo ribasso), per la scelta del concessionario.

In giurisprudenza si è posta la questione della compatibilità di tali disposizioni con il diritto comunitario.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo l'utilizzo del criterio del prezzo più basso per la selezione del concessionario sul rilievo che le regole europee non pongono limiti alla scelta (Cons. St., Sez. IV, 4 gennaio 2005, n. 2). La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni di una legge della Provincia autonoma di Trento che ammettevano il ricorso alla procedura negoziata, per contrasto con l'art. 144 c.c.p. (Corte cost., 12 febbraio 2010, n. 45).

La legge ammette tuttavia almeno una ipotesi di affidamento diretto, e dunque di ricorso alla procedura negoziata senza bando: si tratta dell'assegnazione al concessionario di lavori c.d. complementari (art. 147 c.c.p.) non inizialmente previsti nel bando e nel contratto, ma divenuti necessari in corso di esecuzione per una circostanza imprevista. Tale possibilità è ammessa se i lavori non siano tecnicamente od economicamente separabili dall'oggetto principale della concessione senza gravi inconvenienti per l'Amministrazione, oppure se i lavori, pur separabili, siano strettamente necessari per il perfezionamento dell'opera. In ogni caso, l'importo dei lavori complementari affidati in via diretta non può superare il 50% del valore iniziale dei lavori dedotti nel contratto di concessione.

(Segue). Gli appalti del concessionario

Riprendendo in modo sostanzialmente identico le corrispondenti disposizioni della direttiva 2004/18/CE, il codice dei contratti detta regole specifiche per gli appalti del concessionario, introducendo a carico di quest'ultimo un obbligo di esternalizzazione di una quota parte dei lavori (che può essere stabilita direttamente dall'Amministrazione concedente in una percentuale non inferiore al 30%, oppure può essere indicata dal concessionario stesso nell'offerta: art. 146, d.lgs. n. 163 del 2006), da aggiudicarsi nel pieno rispetto di tutte le norme del codice ove il concessionario sia anche una amministrazione aggiudicatrice (e segnatamente, un organismo di diritto pubblico: cfr. artt. 148 e 3, comma 25, c.c.p.), ovvero nel rispetto di norme procedurali minime (obbligo di pubblicazione del bando e termini per la presentazione delle candidature e delle offerte: artt. 150 e 151 c.c.p.) ove il concessionario non sia amministrazione aggiudicatrice (art. 149 c.c.p.).

L'obbligo di esternalizzazione riguarda solo l'affidamento a imprese terze, vale a dire non “collegate” al concessionario, secondo la definizione europea al riguardo stabilita dall'art. 149, commi 4 e 5, che non coincide con la nozione di impresa collegata fatta propria dal codice civile, ma che invece sembra delineare una relazione corrispondente a quella del controllo di cui all'art. 2359 c.c.

Riparto di giurisdizione

Sino ad un passato relativamente recente, si riteneva che le controversie relative alla fase di esecuzione della concessione dovessero essere devolute alla cognizione del Giudice amministrativo, e ciò in ragione della qualificazione dell'istituto come provvedimento amministrativo, anziché come contratto: prevaleva, cioè, il profilo organizzativo, riguardante in particolare la vicenda traslativa di pubbliche funzioni al concessionario.

Oggi si è invece consolidato l'orientamento di segno opposto, non avendo più rilievo, nel vigente quadro normativo, la previgente distinzione tra concessione di sola costruzione (la cui configurabilità era all'origine della qualificazione della concessione come atto amministrativo) e concessione di costruzione e gestione, dovendosi piuttosto affermare l'esistenza dell'unica categoria della concessione di lavori pubblici, nella quale la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario (Cass. civ., Sez. un., 6 luglio 2015, n. 13864; Cons. St., Sez. V, 16 gennaio 2013, n. 236; Cass. civ., Sez. un., 27 dicembre 2011, n. 28804).

Le controversie relative alla fase di aggiudicazione sono pacificamente attribuite alla giurisdizione del Giudice amministrativo (art. 133, lett. l), d.lgs., 2 luglio 2010, n. 104)

Casistica

CASISTICA

Controprestazione a favore del concessionario

Ha natura giuridica di concessione un contratto per lo svolgimento di attività di gestione di beni pubblici a servizio indivisibile ed insuscettibili di domanda individuale, nel quale la controprestazione a favore del concessionario consista in un prezzo pagato dall'Amministrazione concedente con decurtazione di quote del corrispettivo in funzione di inadempimenti qualitativi del concessionario nella gestione del servizio (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 11 maggio 2007, n. 4315)

Criterio di prevalenza delle prestazioni

Ha natura di concessione di lavori pubblici, e non di servizi, il contratto avente ad oggetto la ristrutturazione integrale di un centro sportivo comunale e la sua successiva gestione per 18 anni, dovendosi avere riguardo al criterio della prevalenza delle prestazioni e dovendosi operare la comparazione non tra l'importo dei lavori e il fatturato complessivamente ritraibile dalla gestione, ma tra le due prestazioni che fanno carico al concessionario gestore, e cioè tra il costo delle opere e il canone annuo corrisposto dal concessionario per il diritto alla gestione (Cass. civ., Sez. un., 6 luglio 2015, n. 13864)

Revisione della convenzione di concessione

- È illegittima e non consentita la revisione delle concessioni di costruzione e gestione per il tramite dell'incisione sui rapporti contrattuali dal solo lato dei costi sopportati dall'Amministrazione (in applicazione delle norme sul contenimento della spesa sanitaria), poiché eventuali rinegoziazioni devono confluire nel meccanismo all'uopo previsto dall'art. 143, comma 8, c.c.p. allo scopo di garantire l'equilibrio economico finanziario della gestione (TAR Piemonte, Sez. I, 17 aprile 2013, n. 465)

- Non è consentito rideterminare le condizioni e i presupposti di base per l'equilibrio economico finanziario al termine de lla concessione, ma solo in corso di esecuzione e nei casi tassativi previsti dalla legge, poiché viceversa si verificherebbe un abuso dei meccanismi di garanzia dell'equilibrio dell'operazione in grado di determinare un'alterazione del corretto andamento della concorrenza (Cons. St., Sez. V, 13 giugno 2012, n. 3474)

- È illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione concedente sull'istanza del concessionario di rideterminare le condizioni di equilibrio economico finanziario della concessione, nell'ipotesi in cui sopravvenga una norma di legge che incida negativamente sulle condizioni medesime (TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 30 aprile 2012, n. 738

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