Appalto

05 Marzo 2024

Il contratto di appalto è disciplinato dal Codice civile, agli artt. 1665 e segg. La solida nozione codicistica lo descrive come il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Il soggetto che affida l'incarico acquista la qualità di «appaltante» o «committente»; il soggetto che assume l'incarico, riveste la qualità di «appaltatore».

Inquadramento

Scheda in fase di aggiornamento

Il contratto di appalto è disciplinato dal Codice civile, agli

artt. 1655 e segg. La solida nozione codicistica lo descrive come il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Il soggetto che affida l'incarico acquista la qualità di «appaltante» o «committente»; il soggetto che assume l'incarico, riveste la qualità di «appaltatore».

È possibile che l'appaltatore, ove ciò gli sia consentito, decida di affidare ad un secondo appaltatore l'esecuzione di una parte dell'opera o del servizio che egli si è impegnato a realizzare. In questo caso, il nuovo contratto di appalto stipulato tra il primo appaltatore (ora in veste di «sub-committente») ed il secondo («subappaltatore»), viene denominato «subappalto».

Nozione di appalto e subappalto

Come accennato, con il contratto di appalto una parte assume, i) con organizzazione dei mezzi necessari e ii) con gestione a proprio rischio, iii) il compimento di una opera o di un servizio iv) verso un corrispettivo in danaro. Questi sono pertanto i requisiti fondanti dell'istituto.

L'appalto può avere ad oggetto il compimento di un'opera o di un servizio. Si intende per appalto d'opera quello che implica una modificazione dello stato materiale di cose preesistenti, attraverso la quale si perviene ad una res nova; mentre un servizio consiste nella produzione di un'utilità senza elaborazione e trasformazione di materie.

Quale che sia l'oggetto dedotto in contratto, l'opera o il servizio rappresentano un risultato del quale l'appaltatore risponde al committente

(artt. 1667, 1668 Cod. civ. ). L'appaltatore deve pertanto godere di un certo grado di autonomia nella realizzazione dell'opera che gli consenta di attenersi alle regole dell'arte, poiché diversamente verrebbe meno il fondamento della sua responsabilità (cfr.

Cass. 14 febbraio 2008, n. 3629Cass. 22 febbraio 2000, n. 1965Cass. 23 marzo 1995, n. 3384Cass. 1° febbraio 1994, n. 967Cass. 13 marzo 1992, n. 3050; Cass. 11 agosto 1991, n. 3802).

L'appaltatore deve disporre di un'organizzazione e dei mezzi necessari alla realizzazione dell'opera o del servizio, ossia, un'organizzazione di tipo imprenditoriale. L'appaltatore ha quindi tipicamente le caratteristiche dell'imprenditore (art. 2082 Cod. civ.). Egli tuttavia può anche non essere un "imprenditore" in senso tecnico, poiché deve ammettersi l'assunzione occasionale (anziché professionale) di appalto. L'appaltatore affronta anche il rischio della gestione, tipico dell'impresa: egli deve trovare l'equilibrio tra il costo dell'opera ed i ricavi, pattuendo un corrispettivo che gli consenta dei margini di guadagno (Tribunale Milano, Sez. Lav., 25 febbraio 2016).

Il contratto di subappalto lega il subappaltatore al proprio subcommittente, alla stregua di quanto avviene tra questi ed il proprio committente, nell'ambito del rapporto contrattuale a monte.

Senza un'espressa autorizzazione del committente, l'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio (art. 1656 Cod. civ.).

Ove ciò gli sia consentito, tuttavia, egli stipula con il proprio subappaltatore un contratto regolato pressoché totalmente dalle medesime norme che disciplinano l'appalto principale (

Cass. 7 marzo 2008, n. 6208). La disciplina del subappalto, pertanto, è pressoché interamente la medesima prevista per l'appalto, fatta eccezione per alcune peculiarità. Cosi, ad esempio, nel caso di difformità o vizi dell'opera attribuibili al subappaltatore, l'appaltatore ne risponderà direttamente verso il committente (artt. 1667, 1668, 1669 Cod. civ.) salvo poi agire in regresso verso il subappaltatore (art. 1670 Cod. civ.).

Il contratto tra appaltatore e subappaltatore si inquadra nella categoria dei contratti derivati, cosicché le vicende del primo contratto possono riflettersi sul secondo, in virtù del collegamento (ad esempio, in caso di risoluzione del primo). I due rapporti, tuttavia, mantengono tra loro un'assoluta autonomia e possono pertanto avere condizioni (corrispettivi, tempi di consegna, ecc.) anche molto differenti.

Nel settore pubblico il subappalto è consentito a determinate condizioni (art. 105, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 Cd. "Codice degli appalti")

Appalto e contratto d'opera

Il contratto d'opera, previsto dagli artt. 2222 e segg. Cod. civ., presenta senz'altro molte affinità con il contratto d'appalto. Entrambi realizzano un'opera o un servizio a fronte di un corrispettivo.

Tuttavia, mentre l'appaltatore dispone, in sostanza, di un'azienda (art. 2556 Cod. civ.) ed ha i caratteri dell'imprenditore (art. 2082 Cod. civ., salvo quanto si è detto supra circa il requisito della professionalità), il prestatore d'opera esegue il lavoro con attività prevalentemente propria o dei componenti della propria famiglia, rivestendo la qualità di piccolo imprenditore (art. 2083 Cod. civ.).

La distinzione tra contratto d'opera e contratto d'appalto, dunque, si basa sul criterio della struttura e dimensione dell'impresa a cui sono commissionate le opere (in termini,

Cass. 28 aprile 2011, n. 9459; cfr. anche Cass. 26 settembre 2014, n. 20390Cass. 21 maggio 2010, n. 12519Cass. 2 settembre 2010, n. 19014; Cass. 4 febbraio 2004, n. 2115; Cass. 29 maggio 2001, n. 7307Cass. 17 luglio 1999, n. 7606).

Appalto e somministrazione di lavoro

Il rapporto tra appalto e somministrazione di lavoro si snoda lungo il travagliato percorso del contrasto dell'ordinamento alla cd. «interposizione di manodopera». Prima di esaminare i confini tra il contratto di appalto e l'attuale contratto di somministrazione di lavoro, conviene pertanto ripercorrere brevemente l'evoluzione del fenomeno interpositorio.

  • Il problema dell'«interposizione di manodopera» e l'evoluzione della normativa: dal divieto assoluto al contratto di somministrazione di lavoro

Può accadere che l'appaltatore abdichi da molte delle responsabilità che abbiamo sopra descritto (assunzione del rischio imprenditoriale, organizzazione dei mezzi, direzione del personale impiegato, ecc.) e limiti la propria attività alla mera gestione amministrativa del personale che esegue i lavori, affidandoli per ogni altro aspetto, direttivo e gestionale, all'utilizzatore. Ciò determina, di fatto, una dissociazione tra il titolare formale dei rapporti di lavoro e colui che beneficia effettivamente delle loro prestazioni: tale fenomeno, che va tradizionalmente sotto il nome di «interposizione di manodopera», è da tempo identificato dal legislatore come un fattore di rischio per la tutela dei lavoratori (cfr. la relazione alla proposta di legge n. 130 presentata alla Camera dei Deputati il 22 luglio 1958 per la disciplina della manodopera nei lavori in appalto).

Un siffatto meccanismo, infatti, potrebbe consentire di eludere le norme poste a garanzia dei lavoratori, ad esempio, quelle sulla stabilità del rapporto (art. 18 Statuto cfr. anche, art. 9, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, «Contratto a tutele crescenti») ) o sulla responsabilità patrimoniale dell'imprenditore (art. 2740 Cod. civ. ). Occorre precisare che il fenomeno in esame concerne la cd. «interposizione reale» nella quale le parti si propongono di realizzare davvero lo schema interpositorio; a differenza di quanto accade, invece, nell'«interposizione fittizia», nella quale le parti mirano solo a dissimulare la reale titolarità dei rapporti di lavoro. I problemi di regolazione riguardano pertanto l'interposizione reale, posto che l'interposizione fittizia è già colpita dagli artt. 1414 e segg. Cod. civ.. Nel corso degli ultimi decenni, pertanto, l'ordinamento ha predisposto diversi strumenti tesi a contrastare il fenomeno dell'interposizione.

Già il Codice civile ne offrì una prima regolazione: l'art. 2127 Cod. civ.

stabilisce che non è consentito all'imprenditore affidare ai propri dipendenti lavori a cottimo che debbano essere eseguiti da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi. La giurisprudenza ricollega a tale norma il principio generale per cui va esclusa la liceità della dissociazione tra titolare del rapporto di lavoro e utilizzatore delle prestazioni (cfr.

Cass. 8 settembre 2005, n. 17842Cass. 18 agosto 2004, n. 16165). I limiti della norma codicistica erano però evidenti: il divieto operava soltanto in relazione al cottimo e per i prestatori di lavoro assunti da dipendenti dell'impresa utilizzatrice. L'interposizione restava pertanto consentita un ampio ventaglio di casi.

Una scelta radicale fu operata con la L. 23 ottobre 1960, n. 1369, recante il «Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi». La nuova disciplina prescriveva il divieto per l'imprenditore di affidare in appalto (o in subappalto) l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro. Secondo la legge, salve alcune eccezioni, veniva presuntivamente considerata tale ogni forma di appalto o subappalto nel quale l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso fosse riconosciuto un corrispettivo all'appaltante. In sostanza, ogni forma di appalto in cui la prestazione dell'appaltatore si riducesse alla fornitura del personale. La sanzione per la violazione di tali disposizioni era severa: i prestatori di lavoro, occupati in violazione della nuova legge, erano considerati ad ogni effetto alle dipendenze dell'imprenditore finale; ed erano previste sanzioni di natura amministrativa e penale.

Sullo scorcio del secolo passato, tuttavia, l'assetto radicale imposto dalla L. n. 1369/1960 fu messo sempre più in discussione, anche alla luce del fatto che il fenomeno era invece diffuso in molti Paesi europei e, secondo un'opinione diffusa, poteva rappresentare, se adeguatamente regolato, un'opportunità per il nostro mercato del lavoro. Si giunse pertanto ad aprire una prima breccia nel divieto di interposizione di manodopera con la L. 24 giugno 1997, n. 196, cd. «Pacchetto Treu», che introdusse nel nostro ordinamento il cd. «lavoro interinale», ossia, il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo. Mediante tale contratto, un'impresa di fornitura di lavoro temporaneo, registrata presso uno specifico albo, poneva dei lavoratori (denominati «prestatori di lavoro temporaneo») a disposizione di un'altra impresa che ne utilizzava la prestazione per il soddisfacimento di specifiche esigenze di carattere temporaneo. I vincoli all'applicazione di questo strumento erano ancora molti, ma la breccia nel divieto di dissociazione tra datore di lavoro e utilizzatore della prestazione era stata aperta. 

Il quadro fu poi completato dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (cd. «Legge Biagi») il quale istituì il «contratto di somministrazione di lavoro» e le «agenzie per il lavoro», in sostituzione degli strumenti previsti dal Pacchetto Treu, in sostanza dettando una regolazione più organica della materia e ampliando le possibilità di ricorso al lavoro temporaneo.

Attualmente, il contratto di somministrazione di lavoro è disciplinato dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, uno dei decreti attuativi del cd. «Jobs act», con il quale è stata in sostanza replicata l'ultima disciplina dell'istituto, pur se con qualche difetto di coordinamento.

Oggi, in conclusione , l'interposizione reale di manodopera è lecita nei limiti e alle condizioni consentite da un valido contratto di somministrazione di lavoro. Al di fuori di tali limiti, si versa nella cd. «somministrazione irregolare», ossia in un'interposizione illecita che può da luogo a diverse sanzioni.

  • Il monopolio dell'interposizione: la somministrazione di lavoro e la sua differenza dall'appalto

La somministrazione di lavoro è oggi definita come il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore (

art. 30, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81).

L'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003, stabilisce che il contratto di appalto «genuino» (cfr. art. 84, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003) si distingue dalla somministrazione di lavoro per l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa. La norma riflette molti degli arresti raggiunti dall'elaborazione giurisprudenziale creatasi nel vigore della

L. n. 1369/1960 (Cass., Sez. Lav., 27 luglio 2009, n. 17444Cass., Sez. Lav., 3 luglio 2009, n. 15693Cass., Sez. Lav., 9 marzo 2009, n. 5648Cass., Sez. Lav., 15 febbraio 2008, n. 3861Cass., Sez. Lav., 13 novembre 2007, n. 23569Cass., Sez. Lav., 30 agosto 2007, n. 18281Cass., SS.UU., 19 ottobre 1990, n. 10183).

In altri termini: l'appaltatore genuino deve assumere su di sé l'intera organizzazione dei mezzi necessari alla realizzazione dell'opera. Tale requisito può anche risultare ridotto, in relazione alle concrete caratteristiche dell'appalto, ma non potrà giungere ad abdicare dall'esercizio del potere direttivo sui lavoratori. La violazione di questo ultimo baluardo trascina inevitabilmente il rapporto verso la somministrazione di lavoro, nella quale, per l'appunto, i lavoratori vengono utilizzati, diretti e organizzati, direttamente dall'impresa committente (cfr.

Cass. 30 agosto 2007, n. 18281; Cass. 19 luglio 2007, n. 16016; nel merito, cfr. Corte d'Appello Milano, 23 aprile 2013).

IN SINTESI

Contratto d'appalto

(artt. 1655 e segg. Cod. civ.)

Contratto d'opera

(artt. 2222 e segg. Cod. civ.)

Contratto di somministrazione di lavoro

(artt. 30 e segg., D.Lgs. n. 81/2015

L'appaltatore si impegna a realizzare un'opera o un servizio

Il prestatore d'opera assume analogo impegno

Il processo produttivo e il risultato restano gestiti dall'utilizzatore

L'appaltatore si avvale di propria organizzazione e a proprio rischio

Il prestatore si avvale prevalentemente del lavoro proprio o della propria famiglia

Il somministratore mette a disposizione dell'utilizzatore i propri lavoratori

L'appaltatore richiede un corrispettivo per l'opera o il servizio, liberamente determinato in base alle regole di mercato

Il prestatore d'opera richiede un corrispettivo per l'opera o il servizio, liberamente determinato in base alle regole di mercato

Il somministratore riceve un corrispettivo pari al costo del personale somministrato, aumentato della commissione

Il committente non può esercitare la direzione sul personale dell'appaltatore

Il committente non può esercitare direzione sul prestatore e sui suoi ausiliari

Il committente si avvale dei lavoratori somministrati alla stregua dei propri dipendenti

Le responsabilità e le sanzioni in capo alle parti di un appalto non «genuino»

Nel caso in cui l'appalto sia privo dei suoi requisiti essenziali, sono poste dure responsabilità a carico del committente e previste severe sanzioni, per il committente e per l'appaltatore.

In primo luogo, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso al Giudice del Lavoro, anche soltanto nei confronti del solo soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo (art. 29, comma 3-bis , D.Lgs. n. 276/2003). Ove ciò accada, tutti i pagamenti effettuati dall'appaltatore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare l'utilizzatore dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata; e tutti gli atti compiuti o ricevuti dall'appaltatore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione. Va detto che l'art. 29 fa tuttora rinvio all'art. 27, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, oggi abrogato. Tuttavia, si può ritenere applicabile la corrispondente norma del «Jobs act», che ne riprende il tenore (art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015).

Il lavoratore che intenda agire contro l'utilizzatore deve tuttavia rispettare gli oneri e le decadenze previste in tema di impugnazione del licenziamento (art. 6, L. 15 luglio 1966, n. 604; art. 32, comma 4, lett. ‘d', L. 4 novembre 2010, n. 183).

Nel caso in cui intenda far valere l'interposizione, il lavoratore dovrà rivolgere l'impugnazione al committente (Cass. 13 settembre 2016, n. 17969). L'impugnazione deve essere eseguita nel rispetto dei termini previsti dall'art. 6, L. n. 604/1966, decorrenti dal giorno del licenziamento (Corte d'Appello Torino, 5 maggio 2015).

Nei confronti del committente si ritiene che i termini decorrano dalla cessazione dell'illecita utilizzazione del lavoratore (se questa intervenga prima dell'eventuale licenziamento): cfr. anche Ministero del Lavoro, interpello 25 marzo 2014, n. 12).

Deve ritenersi tuttora in vigore anche la responsabilità prevista dall'art. 2127 Cod. civ. che, in caso di violazione del relativo precetto, stabilisce che l'imprenditore risponde direttamente, nei confronti dei prestatori di lavoro assunti dal proprio dipendente, degli obblighi derivanti dai contratti di lavoro da essi stipulati. Tale istituto, tuttavia, ha un ristretto ambito di applicazione e, in parte, può ritenersi assorbito dagli altri strumenti a disposizione dei lavoratori.

Sono inoltre previste delle sanzioni che colpiscono sia il committente sia l'utilizzatore di un appalto che si risolva in una somministrazione di lavoro irregolare. Infatti, qualora l'appalto sia privo dei requisiti di genuinità previsti dall'art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003(in primo luogo, ad esempio, perché i lavoratori sono diretti dallo stesso utilizzatore, come se fossero suoi dipendenti), è prevista una sanzione di Euro 50,00 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, salvo aggravanti, che colpisce sia l'appaltatore, sia l'utilizzatore (art. 4, comma 5-bis , D.Lgs. n. 276/2003). Tale sanzione, originariamente di natura penale, è stata oggetto di un recente intervento legislativo che l'ha derubricata in sanzione amministrativa, modificandone altresì i parametri edittali (art. 1, comma 1, D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8). La misura della sanzione in esame è pertanto oggi determinata nel modo originario (ossia in misura proporzionale al numero di violazioni) ma nei limiti di un minimo, pari ad Euro 5.000,00, ed un massimo, pari ad Euro 50.000,00 (art. 1, comma 6, D.Lgs. n. 8/2016).

IN SINTESI

Responsabilità e sanzioni in caso di appalto illecito

Per il committente

Per l'appaltatore

Responsabilità

Può essere costituito un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore, se richiesto dal lavoratore nel rispetto dei termini ex art. 6, L. n. 604/1966

Può essere tenuto al risarcimento del danno

Sanzioni

Può essere applicabile una sanzione amministrativa pari ad Euro 50,00 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, salvo aggravanti, con un minimo di Euro 5.000,00 ed un massimo di Euro 50.000,00

Idem

Le tutele dei lavoratori nell'ambito di un appalto e di un subappalto «genuini»: le responsabilità solidali dei committenti

Fin qui abbiamo esaminato i caratteri dell'appalto e del subappalto e le conseguenze per le parti in caso di vizi. Occorre ora esaminare le ulteriori tutele che l'ordinamento appresta in favore dei lavoratori coinvolti nell'esecuzione di un appalto genuino e che si aggiungono alle ordinarie tutele proprie del rapporto di lavoro.

Merita anzitutto attenzione il regime delle responsabilità solidali istituito dalla legge in favore dei prestatori di lavoro in appalto.

Il sistema risulta dalla stratificazione della tutela già offerta dall'art. 1676 Cod. civ. e della nuova tutela introdotta dall'art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003: i loro differenti requisiti hanno indotto gli interpreti a ritenerle entrambe in vigore. Per tale ragione, il lavoratore può invocare la tutela che risulti per lui più vantaggiosa o entrambe, anche nell'ambito del medesimo processo.

Soffermeremo pertanto il nostro esame su tali istituti, mettendone in evidenza punti di contatto e divergenze.

Nozione della responsabilità codicistica (art. 1676 c.c.)

L'art. 1676 Cod. civ. stabilisce che coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno reso la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.

In sostanza, quindi, i dipendenti dell'appaltatore hanno la possibilità di soddisfare loro pretese derivanti dal rapporto di lavoro, direttamente nei confronti del committente, aggredendo il corrispettivo che questi non abbia ancora versato all'appaltatore. Ciò perché il committente è costituito ex lege quale responsabile in solido con l'appaltatore (Cass. 14 maggio 1998, n. 4897).

Nozione della responsabilità istituita dalla «Riforma Biagi» (art. 29, D.Lgs. n. 276/2003)

Diversi sono i caratteri della tutela offerta dall'art. 29, comma 2 , D.Lgs. n. 276/2003, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido per le obbligazioni retributive e contributive assunte dall'appaltatore con l'appaltatore e da ciascuno degli eventuali subappaltatori.

Il referendum proposto dall CGIL e il D.L. n. 25/2017

Su questa norma è recentemente intervenuta una (ennesima) modifica, disposta in via d'urgenza dal Governo che ha in sostanza recepito il noto quesito referendario promosso dalla CGIL. Ciò è avvenuto per mezzo del D.L. 17 marzo 2017, n. 25. Al momento in cui queste note vengono stese non è ancora intervenuta la legge di conversione del decreto.

Il D.L. è intervenuto in particolare ad abrogare:

  • la previsione secondo cui qualificati contratti collettivi nazionali potevano individuare metodi di verifica della regolarità complessiva degli appalti e, in tal modo, escludere la responsabilità solidale prevista dalla medesima norma;
  • il litisconsorzio necessario tra committente e l'appaltatore/datore di lavoro nel giudizio in cui viene dedotta la responsabilità in solido del primo;
  • il beneficio della preventiva escussione dell'appaltatore e dei subappaltatori che il committente poteva opporre in tale giudizio (ossia, si imponeva al lavoratore di agire nei confronti del committente solo all'esito delle azioni infruttuose nei confronti degli altri responsabili in solido).

Ambito di applicazione

Anzitutto va rilevato che entrambi i regimi sono applicabili nel solo ambito del contratto di appalto (e subappalto) mentre non sono estensibili ad altre figure contrattuali tipiche, seppure affini, quali, ad esempio il contratto di trasporto (cfr. Ministero del Lavoro, Circolare 11 luglio 2012, n. 17; cfr. anche Ministero del Lavoro, Interpello 27 gennaio 2012, n. 2); in tema, cfr. Corte d'Appello di Torino, 23 marzo 2016, che ha riqualificato in appalto un contratto di trasporto, in GaL, 2016, 19, 38).

È stato altresì affermato che la responsabilità prevista dall'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 non possa essere applicata nell'ambito di contratti di subfornitura, seppure con dubbio di costituzionalità sollevato innanzi la Consulta e tuttora pendente (Corte d'Appello di Venezia, 14 luglio 2016, in G.U. 7 dicembre 2016, n. 49). Non mancano, sul punto, decisioni di segno contrario (Corte d'Appello di Brescia, 11 maggio 2016, n. 130, in GaL, 2016, 27, 75).

Il regime di responsabilità istituito dall'art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, già riconosciuta alla contrattazione collettiva nazionale, è stata soppressa dal D.L. n. 25/2017. Tale facoltà era già delimitata sul piano soggettivo. Il CCL legittimato a porre la deroga era quello applicato ai lavoratori dell'appaltatore, non quello del committente, se diverso (cfr. Ministero del Lavoro,

Interpello 17 aprile 2015, n. 9) e sul piano oggettivo poteva operare solo limitatamente alla responsabilità per le retribuzioni verso i lavoratori, non anche con riferimento alla responsabilità per gli oneri contributivi e assicurativi (art. 9, comma 1, D.L. 28 giugno 2013, n. 76; Ministero del Lavoro, Circolare 22 aprile 2013, n. 37).

La riforma, tuttavia, non ha intaccato il potere derogatorio generale della contrattazione collettiva di prossimità che tuttora, ricorrendone i requisiti (art. 8, D.L. 13 agosto 2011, n. 138), potrebbe derogare ad entrambi i regimi legali della responsabilità del committente (art. 1676 c.c. e art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003).

Legittimazione passiva

La responsabilità ex art. 29 interessa i soli committenti che rivestano la qualità di imprenditori o che comunque siano datori di lavoro. Ne sono invece esclusi i committenti persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività di impresa o professionale (art. 29, comma 3-ter , D.Lgs. n. 276/2003). Detto limite non è invece previsto per l'azione ex art. 1676 Cod. civ. che può dunque essere esercitata anche nei confronti di un committente che agisce quale privata persona fisica.

L'azione e  art. 1676 Cod. civ. è invece limitata nei confronti del solo committente immediato, mentre resta preclusa la possibilità di risalire lungo l'eventuale catena dei subappaltatori, oltre il primo (Cass. sez. lav., 22 giugno 2012, n. 10439; Cass. sez. lav., 9 agosto 2003, n. 12048). Viceversa, la responsabilità ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 può essere fatta valere nei confronti del committente e di tutti i subcommittenti (Cass. sez. lav., 7 marzo 2008, n. 6208).

È espressamente previsto, inoltre, che la responsabilità stabilita dall'art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 trovi applicazione anche nei confronti dell'appaltatore che impieghi nell'appalto il ramo d'azienda ceduto dal committente (art. 2112, comma 5, Cod. civ.).

Il committente escusso dal lavoratore ha naturalmente diritto di regresso nei confronti dell'appaltatore/subappaltatore coobbligato per quanto corrisposto in sua vece (art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003) ma non può surrogarsi nei diritti dei lavoratori nei confronti del Fondo di garanzia (Cass. sez. lav., 20 maggio 2016, n. 10543).

Legittimazione attiva

L'azione prevista dall'art. 1676 Cod. civ. può essere esperita dai lavoratori subordinati dell'appaltatore che abbiano prestato servizio nell'appalto. Ne restano pertanto esclusi gli altri dipendenti dell'appaltatore che non siano stati coinvolti (e i collaboratori autonomi).

L'azione ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 è invece concessa anche ai lavoratori autonomi (art. 9, comma 1, D.L. 28 giugno 2013 n. 76; cfr. anche Ministero del Lavoro, circolare 22 aprile 2013, n. 37; e, per quanto di sua competenza, anche INAIL, circolare 11 ottobre 2012, n. 54.

Si ritiene che gli enti previdenziali e assicurativi possano esercitare nei confronti del committente privato la sola azione ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003.

Oggetto e limiti della responsabilità: obbligazioni verso i lavoratori

Entrambe le due forme di responsabilità in esame recano diverse limitazioni. Esse sono, nei due istituti, assai eterogenee.

Occorre evidenziare che entrambe le azioni consentono al lavoratore di agire verso il committente per i soli crediti che siano sorti in relazione all'esecuzione dell'appalto (Cass. 14 ottobre 2015, n. 20687; Cass. 19 novembre 2010, n. 23489; Cass. 10 marzo 2001, n. 3559).

L'azione ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 consente ai lavoratori legittimati di agire verso i committenti per ottenere il pagamento della retribuzione. Sono comprese nell'ambito della solidarietà anche le quote del TFR maturate nei periodi di esecuzione dell'appalto (Cass. sez. lav., 23 maggio 2016, n. 10664). Diversamente, la responsabilità prevista dall'art. 1676 Cod. civ. consente ai lavoratori di agire per ottenere tutto «quanto loro dovuto» dal committente. Ciò significa che, mentre l'azione ex art. 29 consente al lavoratore di perseguire ogni importo che abbia (esclusivamente) natura retributiva, l'art. 1676 Cod. civ. consente di chiedere, ad esempio, anche il pagamento di crediti di natura risarcitoria.

Sotto un altro profilo, la responsabilità fissata dall'art. 1676 Cod. civ. incontra il proprio principale limite nell'esposizione che il committente ha verso l'appaltatore al momento in cui gli perviene la notifica della domanda giudiziale; da quell'istante, egli non può più pagare all'appaltatore e se ciò accade, il committente resta comunque obbligato verso i lavoratori.

Per il committente, dunque, la responsabilità posta dall'art. 1676 Cod. civ., rimane nei limiti delle obbligazioni già contratte: quanto egli versi ai lavoratori sarà imputato ad estinzione della sua residua obbligazione verso l'appaltatore.

L'azione ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, invece, non incontra alcun limite nelle obbligazioni assunte contrattualmente dal committente. Questi, infatti, potrebbe essere chiamato a soddisfare i lavoratori per somme anche eccedenti il corrispettivo dovuto all'appaltatore e anche dopo aver già versato l'intero corrispettivo dell'appalto. Senza contare che il committente potrebbe essere chiamato a rispondere per inadempimenti imputabili a subappaltatori che si trovino in fondo alla catena degli appalti e con i quali egli non abbia avuto alcun rapporto. Naturalmente, il committente che effettui dei pagamenti potrà esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali (

art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003; artt. 1292 e segg. Cod. civ.).

Occorre aggiungere, infine, che il committente rimane altresì responsabile per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o da (uno qualunque dei) subappaltatori, non risulti indennizzato dall'INAIL o dall'IPSEMA (con la sola eccezione dei danni derivanti da rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici) (cfr.

art. 26, comma 4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81; cfr. anche Cass., III Sez. Pen., 24 marzo 2015, n. 12228).

Oggetto e limiti della responsabilità: obbligazioni verso gli enti

Il committente è altresì responsabile in solido con l'appaltatore e con ciascuno dei subappaltatori per i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo dell'appalto.

Il committente rimane invece esente dalle eventuali sanzioni civili, che restano in capo al solo obbligato principale (art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003; cfr. anche Corte Cost., 13 novembre 2014, n. 254).

In materia di obbligazioni tributarie, il committente che esegue il pagamento in favore dei lavoratori è tenuto ad effettuare le ritenute previste (art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003; cfr. anche Agenzia Entrate, risoluzione 19 dicembre 2008, n. 481/E; Agenzia Entrate, circolare 30 dicembre 2014, n. 31/E. In precedenza, la materia era disciplinata dall'art. 35, commi da 28 a 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, cd. «Decreto Bersani», modificati più volte e, da ultimo, dall'art. 28, D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175. Per una ricostruzione dei regimi intertemporali, cfr. Ministero del Lavoro interpello 15 dicembre 2015, n. 29).

Pertanto, il committente che versi al lavoratore somme dovutegli in qualità di responsabile solidale, dovrà effettuare e versare le ritenute quale sostituto di imposta. La nuova disciplina ha voluto semplificare, rispetto al passato, gli adempimenti posti a carico del committente. Tuttavia, non si è tenuto conto del fatto che difficilmente un soggetto del tutto estraneo al rapporto con i lavoratori avrà a disposizione le informazioni necessarie ad un'esatta liquidazione delle ritenute.

Limiti temporali

La norma codicistica non pone alcun limite temporale (fermi gli ordinari termini di prescrizione). Mentre, invece, la responsabilità ex art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 deve essere esercitata entro due anni dalla cessazione dell'appalto.

Ad avviso del Ministero del Lavoro, peraltro, il termine biennale decorre dalla cessazione del rapporto contrattuale di riferimento. In altri termini, laddove il lavoratore abbia lavorato alle dipendenze di un subappaltatore il dies a quo decorre dalla cessazione del subappalto (e non dalla diversa cessazione dell'appalto principale) (cfr. Ministero del Lavoro, Nota 13 aprile 2012, n. 7140).

Secondo un orientamento, il termine di due anni previsto dall'art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 non è tuttavia applicabile all'azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione, in analogia all'orientamento formatosi nel vigore della L. n. 1369/1960 (Cass. 17 gennaio 2007, n. 996).

Aspetti procedurali

Come si è detto, a seguito delle modifiche disposte dal D.L. n. 25/2017, è venuto meno il litisconsorzio necessario tra gli obbligati in solido, già previsto dall'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003. Ciò significa che il lavoratore potrà agire anche solo nei confronti del committente per ottenerne la condanna.

Questi non potrà ora neppure eccepire il beneficio di escussione e cosi resterà esposto all'azione esecutiva del lavoratore, restando a suo carico l'onere di agire in via di regresso nei confronti dell'obbligato principale e degli eventuali altri coobbligati.

Al contrario, l'azione ex art. 1676 Cod. civ. è diretta nei confronti del committente e non è soggetta alla preventiva escussione dell'obbligato principale.

IN SINTESI

Responsabilità solidali negli appalti genuini

Responsabilità ex

art. 1676 Cod. civ.

Responsabilità ex

art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003

Art. 26, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008

Ambito di applicazione

Limitato al contratto di appalto e subappalto

Idem

Idem

Derogabilità

Può essere derogata ad opera di un CCL di prossimità ex art. 8, D.L. 13 agosto 2011, n. 138

Idem

Idem

Legittimazione attiva

• Lavoratori subordinati dell'appaltatore che abbiano prestato servizio nell'appalto

• Enti previdenziali e assicurativi

• Lavoratori subordinati dell'appaltatore

• e di ogni subappaltatore

• che abbiano prestato servizio nell'appalto; nonché:

• i collaboratori autonomi dell'appaltatore

• e di ogni subappaltatore

• gli enti previdenziali e assicurativi

• Lavoratori subordinati dell'appaltatore

• e di ogni subappaltatore

• che abbiano prestato servizio nell'appalto

Legittimazione passiva

• Committenti professionali e persone fisiche non professionali

• Committente immediato

• Committente pubblico

• Solo committenti privati che rivestano la qualità di imprenditori o che comunque siano datori di lavoro

• Committenti e subcommittenti privati del datore di lavoro

• Committenti privati, anche se in mano pubblica

• Committente imprenditore

• L'appaltatore

• Ogni subappaltatore

Oggetto e limiti della responsabilità verso i lavoratori

• Soli crediti sorti in relazione all'esecuzione dell'appalto

ex art. 2120 Cod. civ. • tutto «quanto dovuto» al lavoratore, anche a titolo risarcitorio

• limite nel debito del committente verso l'appaltatore al momento della domanda

• il pagamento estingue, pro quota, il debito del committente verso l'appaltatore

•tutti i danni per i quali il lavoratore non risulti indennizzato dall'INAIL o dall'IPSEMA

• Soli crediti sorti in relazione all'esecuzione dell'appalto

• Solo crediti di natura retributiva, comprese le quote del trattamento di fine rapporto

• nessun limite economico

• il committente ha diritto di rivalsa verso il coobbligato

•tutti i danni per i quali il lavoratore non risulti indennizzato dall'INAIL o dall'IPSEMA

• Tutti i danni per i quali il lavoratore non risulti indennizzato dall'INAIL o dall'IPSEMA;

• Fatta eccezione per i soli danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici

Oggetto e limiti della responsabilità verso gli enti

• Il committente che esegue il pagamento è tenuto ad effettuare le ritenute previste dalla legge per il sostituto di imposta

• contributi previdenziali

• premi assicurativi

• dovuti in relazione al periodo dell'appalto

• Il committente rimane esente dalle eventuali sanzioni civili

• Il committente che esegue il pagamento è tenuto ad effettuare le ritenute previste dalla legge per il sostituto di imposta

n.d.

Limiti temporali

• Ordinari termini di prescrizione

• L'azione deve essere esercitata entro due anni dalla cessazione dell'appalto

• Ordinari termini di prescrizione

Aspetti procedurali

• Nessun vincolo: il committente è responsabile diretto

• Idem

• Il committente escusso potrà esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato

Idem

Altri diritti dei lavoratori nell'appalto e nel subappalto «genuini»

I lavoratori dipendenti da imprese appaltatrici o subappaltatrici esercitano, in generale, tutti i diritti loro attribuiti dalla legge e dai contratti collettivi applicabili nei confronti dei rispettivi datori di lavoro, secondo le norme ordinarie. L'ordinamento contempla altresì delle disposizioni specifiche, ulteriori rispetto a quanto già esaminato.

In materia di sicurezza, ad esempio, è previsto l'obbligo per il committente che affidi l'esecuzione di lavori in appalto in luoghi dei quali abbia la disponibilità (anche solo) giuridica di verificare l'idoneità tecnica e professionale delle imprese appaltatrici; fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; ecc. (art. 26, D.Lgs. n. 81/2008). Nei contratti di appalto e subappalto devono essere specificamente indicati a pena di nullità i costi delle misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro (

art. 26, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008). Il personale dell'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento allorché operi presso il committente (

art. 20, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008).

È stato ritenuto che l'ampia posizione di garanzia attribuita al committente e al responsabile dei lavori comprende l'esecuzione dei controlli, non solo formali ma soprattutto sostanziali, in materia di sicurezza per cui, ad esempio, spetta al committente verificare che i coordinatori per la progettazione e l'esecuzione dell'opera adempiano agli obblighi loro incombenti (Cass., III Sez. Pen., 8 settembre 2016, n. 37229). Tale responsabilità, tuttavia, almeno sul piano penale, non è automatica e il controllo richiesto al committente non può spingersi fino ad essere pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori (Cass., III Sez. Pen., 22 agosto 2016, n. 35185).

Alcuni contratti collettivi (e, sovente, i bandi di gara per appalti pubblici) contengono l'obbligo per l'appaltatore subentrate di assumere il personale addetto dall'appaltatore uscente (cd. «clausole sociali»): si noti che ciò dà luogo, non ad una cessione contrattuale, bensì ad un obbligo di contrarre che conduce all'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro. Tale costume tuttavia è stato oggetto di recenti critiche da parte dell'Autorità «Antitrust», poiché ritenute potenzialmente distorsive delle dinamiche di mercato (Autorità garante della concorrenza e del mercato, parere 11 dicembre 2015, prot. n. 72361).

Altre norme di tutela sono invece state soppresse nel susseguirsi delle riforme. Nel vigore della L. n. 1369/1960, oggi abrogata, infatti, era previsto un obbligo di equiparazione salariale in favore dei lavoratori che eseguivano appalti all'interno dell'azienda committente (art. 3, L. n. 1369/1960; il principio è invece tuttora previsto nell'ambito della somministrazione di lavoro:

art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015). Inoltre, nel passaggio di consegne tra la previgente disciplina della somministrazione di lavoro e quella introdotta dal «Jobs act», è andato perduto il riferimento ai lavoratori degli appaltatori quali destinatari dei diritti sindacali previsti dalla L. 20 maggio 1970, n. 300 (cd. «Statuto dei Lavoratori») (cfr. art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003

art. 36, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015). Peraltro, resta tuttora indubbio il diritto di tali lavoratori di esercitare i diritti sanciti dallo Statuto.

Infine, alcune norme sembrano viceversa voler sottrarre i lavoratori in appalto all'applicazione di alcune discipline di tutela.

Nella materia dei licenziamenti collettivi ad esempio si registrano diversi interventi volti a sottrarre, nel caso di cambio d'appalto, le cessazioni dei rapporti di lavoro alla procedura prevista dalla L. 23 luglio 1991, n. 223. Il Ministero del Lavoro ha sostenuto, ad esempio, che le riduzioni di personale operate alla scadenza degli appalti determinano licenziamenti individuali plurimi e non collettivi (cfr. Ministero del Lavoro, circolare 28 maggio 2001, n. 5/26514/70/APT; Ministero del Lavoro, interpello 1 agosto 2012, n. 22). Tale tesi, tuttavia, è rimasta priva di riscontro in giurisprudenza (ex multisCass. 24 febbraio 2006, n. 4166Cass. 22 aprile 2002, n. 5828). È stata finanche emanata una specifica norma di legge volta allo scopo (art. 7, comma 4-bis

, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248). Non risulta tuttavia che la norma abbia avuto vasta applicazione, forse anche a causa delle molteplici e non sempre chiare restrizioni che la caratterizzavano.

I diritti dei lavoratori nei cambi di appalto e la modifica operata dalla cd. «Legge Europea 2016»

Come noto, nei casi in cui si trasferisca da un soggetto ad un altro un'azienda (o ramo d'azienda) che comprenda dei contratti di lavoro, trovano applicazione delle speciali norme di tutela dei lavoratori, sia di natura individuale-sostanziale (art. 2112 Cod. civ.), sia di natura procedurale-collettivo (art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428).

Tali disposizioni riflettono le norme europee concernenti il mantenimento dei diritti dei lavoratori nella circolazione delle imprese (Direttiva 2001/23/CE).

Il nostro ordinamento, tuttavia, contempla da tempo un'ipotesi sottratta a tale regime: ciò si verifica allorché l'appaltatore che subentri ad un altro nella gestione di un appalto ne acquisisca, per effetto di un'obbligazione, legale o contrattuale, il personale già impiegato nell'appalto stesso. Per espressa disposizione di legge, tale ipotesi non costituiva trasferimento d'azienda (art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003). L'esclusione aveva l'effetto, tra l'altro, di sottrarre l'appaltatore subentrante dalle responsabilità solidali sancite dall'art. 2112 Cod. civ. e dall'applicazione della procedura prevista dall'art. 47, L. n. 428/1990.

La norma si proponeva di favorire un fenomeno molto diffuso nel nostro Paese che poteva risultare scoraggiato, vuoi dalla necessità di esperire le procedure sindacali, vuoi, soprattutto, dalle responsabilità solidali concernenti anche la gestione precedente.

Come rilevato da più parti, tale disposizione tuttavia rischiava di risultare in contrasto con l'ordinamento europeo (cfr. anche Tribunale Roma, 9 giugno 2005; Ministero del Lavoro, interpello 22 agosto 2012, n. 22).

Anche la giurisprudenza ha in più occasioni ravvisato in un cambio di appalto i caratteri del trasferimento d'azienda, disapplicando pertanto la norma nazionale in favore di quella comunitaria, laddove si verifichi insieme al passaggio dei lavoratori anche un passaggio di beni di non trascurabile entità e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (Cass. 12 aprile 2016, n. 7121; Cass. 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. 13 aprile 2011, n. 8460; Cass. 15 ottobre 2010, n. 21278; Cass. 10 marzo 2009, n. 5708; Cass. 8 ottobre 2007, n. 21023; Cass. 7 dicembre 2006, n. 26215; Cass. 13 gennaio 2005, n. 493; Cass. 27 aprile 2004, n. 8054; Cass. 29 settembre 2003, n. 13949).

Da ultimo, la Commissione europea ha segnalato al Governo italiano il conflitto tra la citata disposizione nazionale e la Direttiva 2001/23/CE, in materia di diritti dei lavoratori nella circolazione delle imprese (procedura di pre-infrazione, «EU Pilot» 7622/15/EMPL). Lo Stato Italiano vi ha dato seguito con la L. 7 luglio 2016, n. 122 (cd. «Legge Europea 2016»), entrata in vigore il 23 luglio 2016, con lo scopo di riportare la norma nell'alveo della disciplina comunitaria. Superato un iniziale progetto di abrogazione tout court, dell'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003, sono stati pertanto ridisegnati, restringendoli, i confini del cambio d'appalto sottratto all'art. 2112 Cod. civ.

Il nuovo testo dell'art. 29, comma 3, novellato dalla Legge Europea, specifica infatti che l'esclusione dalla disciplina del trasferimento d'azienda (o di parte d'azienda) opera alle seguenti condizioni: i) (nuovo requisito) il nuovo appaltatore che subentra nell'appalto acquisendone il personale, deve essere munito di una propria struttura organizzativa e operativa; ii) (vecchio requisito) l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto dal predecessore deve avvenire in forza di obbligo posto dalla legge, dal contratto collettivo (nazionale) di lavoro o dalla contratto d'appalto; iii) (nuovo requisito) siano presenti elementi di discontinuità tali da determinare una specifica identità di impresa.

Pertanto, mentre la precedente formulazione mirava ad escludere dalla disciplina dell'art. 2112 Cod. civ. (e da quella dell'art. 47, L. n. 428/1990) tutti i casi di successione nell'appalto, la nuova disciplina limita l'esclusione ai soli casi in cui il successore sia già munito di una propria struttura aziendale (nella quale, dunque, i nuovi assunti vengono confusi) e che la nuova gestione si presenti, dunque, con una propria caratterizzazione idonea a distinguerla dalla precedente.

L'obiettivo della riforma appare condivisibile e necessario alla luce della normativa europea. Infatti, la circostanza che la successione tra imprese avvenga in occasione dell'avvicendamento in un appalto non può escludere di per sé che l'oggetto del trasferimento sia costituito da un compendio produttivo idoneo ad una determinata produzione, integrando cosi la fattispecie comunitaria. L'attuazione operata dal Legislatore nazionale presta tuttavia il fianco a qualche rilievo critico.

Anzitutto, la Direttiva 2001/23/CE, definisce «transfer of undertaking» la cessione di un'entità economica, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria, che conserva nel trasferimento la propria identità (art. 1). In termini metodologici, la fattispecie comunitaria è pertanto identificata con riferimento all'oggetto della cessione, non alle parti che vi partecipano (le quali possono essere rappresentate da qualsiasi persona, fisica o giuridica, che assuma la veste di imprenditore) (art. 2).

Il primo dei nuovi requisiti fissati dal novellato art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003, invece, si appunta sulle caratteristiche del cessionario al quale viene richiesta una propria preesistente struttura organizzativa e produttiva. Mentre il secondo (nuovo) requisito concerne la presenza di elementi di discontinuità del nuovo appalto rispetto alla precedente gestione. Si pone quindi l'attenzione sulle (preesistenti) caratteristiche imprenditoriali del cessionario, da un lato, e sui caratteri assunti dalla nuova gestione (dopo) la successione, dall'altro. Ne consegue che la novellata norma nazionale potrebbe risultare una coperta troppo corta, lasciando aperta la strada a nuove disapplicazioni: ad esempio, si potrà ravvisare un trasferimento d'azienda laddove l'appaltatore subentrante acquisisca un compendio di risorse (umane, materiali, ecc.) di per sé capace della produzione del bene o servizio. E ciò anche se il cessionario sia un'impresa molto più grande e strutturata di quella che viene sostituita e se, dopo il subentro, imporrà un assetto significativamente diverso alla conduzione dell'impresa ceduta.

Non solo. Seguendo gli insegnamenti della giurisprudenza in materia, l'art. 2112 Cod. civ. potrebbe essere ritenuto applicabile anche in casi in cui oggetto del trasferimento sia soltanto un gruppo di lavoratori, purché tale da rappresentare la conservazione del complesso produttivo (Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C-340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32; Cass., Sez. Lav., 7 settembre 2016, n. 17736; Cass., Sez. Lav., 12 aprile 2016, n. 7121; Cass. 17 gennaio 2013, n. 1102).

Sotto un altro profilo, occorre rilevare che i nuovi requisiti appaiono senz'altro più «scivolosi» della precedente disposizione.

È lecito prevedere che vi sarà senz'altro un trasferimento d'azienda nel caso in cui il nuovo aggiudicatario dell'appalto si presenti come una scatola vuota, che assuma la gestione usando in tutto e per tutto l'apparato lasciato dal predecessore; al contrario, sarà escluso un nuovo appaltatore che, pur costretto ad acquisire i soli lavoratori del predecessore, introduca nella gestione la propria specifica impronta e struttura.

Per situazioni più sfumate occorrerà invece attendere che la giurisprudenza tratteggi il requisito della «discontinuità» e precisi l'entità della struttura organizzativa sufficiente a soddisfare il requisito del nuovo appaltatore.

***

Occorre aggiungere che nei rapporti di lavoro regolati secondo le cd. «tutele crescenti», l'anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa subentrante nell'appalto si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata (art. 7, D.Lgs. n. 23/2015). La norma sembra del tutto pleonastica laddove il «passaggio» consegua ad una cessione del contratto (vuoi ex art. 2112 Cod. civ., vuoi ex art. 1406 Cod. civ.) che, in quanto tale, determina una novazione soggettiva del rapporto (sul lato datoriale) mantenendo ferma ogni altra sua caratteristica individuale. La previsione potrebbe invece avere rilievo anche nei casi in cui il «passaggio» sia operato mediante cessazione del primo rapporto (per dimissioni o licenziamento) e nuova assunzione presso il nuovo appaltatore.

Le principali norme in materia di lavoro nell'ambito di appalti pubblici

In materia di opere pubbliche è previsto che i capitolati di appalto debbano contenere la clausola esplicita determinante l'obbligo per l'appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona (art. 36 Statuto; cfr. anche Corte di Giustizia, 17 novembre 2015, n. C-115/14).

Tali contratti, è stato precisato, devono essere quelli stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione, svolta dall'impresa aggiudicataria in misura anche solo prevalente (cd. «contratto leader»)(art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016). La determinazione del costo del lavoro, infatti, ai fini ella verifica di congruità dell'offerta avviene sulla base di questi contratti (art. 23, comma 16, e art. 97, D.Lgs. n. 50/2016).

Negli appalti per lavori ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara possono prevedere le cd. «clausole sociali» volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato (art. 50, D.Lgs. n. 50/2016). Negli appalti pubblici, il subappalto è consentito a determinate condizioni (art. 105, D.Lgs. n. 50/2016).

L'affidatario è tenuto ad osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi, nazionale e territoriale, in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni ed è altresì responsabile in solido della loro osservanza da parte dei subappaltatori per le prestazioni rese nell'ambito del subappalto (art. 105, comma 9, D.Lgs. n. 50/2016).

Peraltro, è previsto che, qualora rilevi un inadempimento retributivo da parte dell'appaltatore o dei subappaltatori, la stazione appaltante, previa diffida, può corrispondere direttamente ai lavoratori quanto dovuto, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all'appaltatore; ove l'inadempimento sia contributivo, la stazione appaltante tratterrà dal corrispettivo l'importo corrispondente all'inadempimento e li riversa agli enti competenti (art. 30, comma 5 e 6, D.Lgs. n. 50/2016; cfr. anche artt. 4 e 5, D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207).

L'aggiudicatario è responsabile in solido con il subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 (art. 105, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016; nel regime previgente, la giurisprudenza era comunque pervenuta al medesimo risultato: cfr. Cass. 24 maggio 2016, n. 10731). L'appaltatore è tuttavia liberato dalla responsabilità solidale nei casi in cui la stazione appaltante versi direttamente il corrispettivo al subappaltatore (art. 105, comma 8 e 13, lett. ‘a' e ‘c', D.Lgs. n. 50/2016).

La medesima responsabilità non è invece applicabile alla stazione appaltante (art. 9, comma 1, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, comma 1, D.L. 28 giugno 2013, n. 76; cfr. anche Ministero del Lavoro, circolare 22 aprile 2013, n. 37; Ministero del Lavoro, interpello 15 maggio 2009, n. 35; Cass. sez. lav., 10 ottobre 2016, n. 20327). Occorre tuttavia notare che non possono essere considerati enti pubblici (al fine di sottrarsi alla responsabilità in esame) le società a capitale pubblico (cfr. Corte d'Appello Firenze, 6 ottobre 2015 che ha dichiarato la responsabilità solidale di Trenitalia S.p.A.). Va evidenziato che, secondo il Ministero del Lavoro, la responsabilità solidale può essere esercitata con riferimento alle obbligazioni scaturenti dai cd. «contratti leader» (Ministero del Lavoro, Nota 26 luglio 2016, n. 14775).

La responsabilità prevista dall'art. 1676 Cod. civ. in favore dei lavoratori dell'appaltatore è invece applicabile anche al committente ente pubblico (Cass. 7 luglio 2014, n. 15432; Cass. 10 marzo 2001, n. 3559; Ministero del Lavoro, circolare 16 febbraio 2012, n. 3), ma con le medesime limitazioni generali già esaminate sopra (Ministero del Lavoro, interpello 15 maggio 2009, n. 35).

In materia di sicurezza, il nuovo Codice degli appalti prevede che l'affidatario (ossia il primo appaltatore) corrisponda al subappaltatore i costi della sicurezza e della manodopera senza alcun ribasso (art. 105, comma 14, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

Conclusioni

Superate le tradizionali diffidenze o radicali chiusure, l'ordinamento giuridico guarda tuttora con cautela alle forme di decentramento produttivo o di vera e propria interposizione di manodopera.

Quest'ultimo fenomeno è oggi pienamente lecito purché rimanga nell'alveo di un valido contratto di somministrazione di lavoro, restando soggetti a severe sanzioni, eventuali abusi e irregolarità.

L'appalto «genuino» rimane anch'esso valido. L'ordinamento tuttavia accolla, a chi decida per ragioni professionali di esternalizzare parte del processo produttivo, il «rischio sociale» connaturato a questa scelta. In tal modo si induce il committente ad una attenta scelta sulla serietà dei propri appaltatori, a vantaggio dei lavoratori e del sistema nel suo complesso. Ciò non toglie che la responsabilità oggettiva che viene imposta al committente, specie dall'art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 è estremamente impegnativa. È pertanto evidente l'importanza per il committente di cautelarsi in modo adeguato, oltre che con la selezione dei propri appaltatori, con un'attenta stipulazione del contratto d'appalto.

Riferimenti

Giurisprudenza:

Per i recenti orientamenti sul tema, v.  Cass. Civ. sez. lav., 28 settembre 2023, n. 27567, con commento di F. Meiffret, Appalto di servizi: chiarimenti della Cassazione sui criteri che definiscono la genuinità del contratto.

Normativa :

artt. 1655 e segg. Cod. civ.

art. 2127 Cod. civ.

artt. 30 e segg., D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81

art. 9, comma 1, D.L. 28 giugno 2013, n. 76

art. 8, D.L. 13 agosto 2011, n. 138

art. 26, comma 4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81

art. 7, comma 4-bis , D.L. 31 dicembre 2007, n. 248

artt. 27 e 118, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163

artt. 18, 19, 29, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276

L. 23 ottobre 1960, n. 1369  art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003

Giurisprudenza :

Cass. 13 settembre 2016, n. 17969

Corte di Giustizia, 17 novembre 2015, n. C-115/14

Cass. 28 aprile 2011, n. 9459

Cass. 19 novembre 2010, n. 23489

Cass. 7 marzo 2008, n. 6208

Cass. 14 febbraio 2008, n. 3629

Cass. 24 febbraio 2006, n. 4166

Prassi :

Ministero del Lavoro, interpello 15 dicembre 2015, n. 29

Ministero del Lavoro, interpello 17 aprile 2015, n. 9

INAIL, circolare 11 ottobre 2012, n. 54

Ministero del Lavoro, interpello 1 agosto 2012, n. 22

Ministero del Lavoro, circolare 11 luglio 2012, n. 17

Ministero del Lavoro, circolare 16 febbraio 2012, n. 3

Ministero del Lavoro, interpello 27 gennaio 2012, n. 2

Ministero del Lavoro, interpello 15 maggio 2009, n. 35

Ministero del Lavoro, circolare 28 maggio 2001, n. 5/26514/70/APT

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