Regime del margine per le cessioni di auto usate: onere della prova a carico del cessionario
13 Ottobre 2017
Massima
In tema di IVA, il c.d. regime del margine, previsto dall'art. 36 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (convertito dalla Legge 22 marzo 1995, n. 85) e dagli articoli da 311 a 325 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (e, già, dall'art. 26-bis della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977) per le cessioni, da parte di rivenditori, di beni d'occasione, di oggetti d'arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime d'imposizione speciale, facoltativo e derogatorio, in favore del contribuente, del sistema normale dell'IVA: ne consegue che la sua disciplina va interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi, nei limiti di quanto necessario al raggiungimento dello scopo dell'istituto.
Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, il cessionario, al quale l'Amministrazione finanziaria contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, tale fruizione, deve provare la propria buona fede, cioè di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Rientra in tale condotta anche l'individuazione, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l'IVA sia stata, o no, assolta a monte da altri, nell'ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione: in caso di esito positivo, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche qualora l'Amministrazione dimostri, attraverso indagini e controlli inesigibili dal contribuente, che in realtà l'imposta, per qualsiasi motivo, non era stata detratta. Nell'ipotesi, invece, in cui dalla verifica del contribuente emerga che i precedenti titolari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria, in base al criterio di normalità probabilistica) dell'avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA assolta a monte per l'acquisto dei veicoli stessi, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa, con conseguente negazione del diritto alla fruizione del trattamento fiscale più favorevole. Il caso
La questione prende avvio dalla notifica, ad opera dell'Agenzia delle Entrate di avvisi di accertamento ai fini IVA mediante i quali veniva contestata l'applicazione del regime del margine ad una società italiana rivenditrice di veicoli usati, con riferimento ad una pluralità di operazioni di rivendita di autoveicoli, acquistati da un'altra società italiana che, a sua volta, era cessionaria di società cedenti estere UE per i mezzi di trasporto in oggetto.
Secondo l'Amministrazione finanziaria la società rivenditrice italiana accertata avrebbe acquistato i veicoli usati da proprietari esercenti attività di leasing e di autonoleggio che, in quanto tali, avrebbero già detratto l'IVA pagata a monte, con definitiva impossibilità, per la società italiana rivenditrice, di avvalersi del regime del margine.
Ricorreva avverso gli avvisi di accertamento la società italiana rivenditrice, la quale faceva presente che l'applicazione del regime del margine alle precedenti cessioni risultasse sia dai libretti di circolazione che dalle fatture e che, pertanto, alla stessa non era imputabile alcuna responsabilità per negligenza, imprudenza o imperizia, data l'assenza di ulteriori obblighi investigativi a suo carico. I giudici di primo e secondo grado davano ragione alla società contribuente.
L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, al quale resisteva la società con controricorso e ricorso incidentale, con istanza di rimessione della questione all'esame delle Sezioni Unite attesa altresì la delicatezza della questione e l'ampiezza del contenzioso in materia. La questione
La questione giuridica sottesa al caso di specie attiene all'onere della prova e all'ampiezza dei doveri di diligenza che gravano sul soggetto passivo intenzionato ad applicare il regime del margine nella cessione dei beni mobili usati, tra cui rientra la compravendita dei veicoli usati, nonché per le cessioni di oggetti d'arte, di antiquariato e da collezione. Le soluzioni giuridiche
L'applicazione del regime del margine nelle cessioni dei beni di occasione, degli oggetti d'arte, di collezione o di antiquariato è disciplinata dall'art. 36 del D.L. n. 41/1995, il quale stabilisce che nei suddetti settori l'IVA relativa alla rivendita si applica sulla base imponibile determinata dalla differenza (“margine”) tra il prezzo di rivendita e il prezzo di acquisto del bene usato, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Premesso il dato normativo, la Corte ricorda che la finalità del regime del margine è quella di evitare la doppia imposizione e le distorsioni di concorrenza tra i soggetti passivi nei settori suddetti, essendo evidente che la doppia imposizione si verificherebbe nel caso in cui il prezzo di cessione dei beni incorporerebbe l'importo dell'Iva assolta a monte dal cedente che non è stata detratta né dal cedente né dal cessionario. Tale essendo la finalità del regime del margine, la Corte ritiene che la sua applicabilità sia limitata ai soli casi in cui il bene sia stato acquistato da un soggetto che non ha potuto detrarre l'imposta pagata a monte all'atto dell'acquisto del bene e che, dunque, ha sopportato interamente il carico impositivo, mentre si debba applicare il regime ordinario dell'Iva nel caso in cui il diritto alla detrazione sia stato esercitato, atteso che, in questa seconda ipotesi, non vi sarebbe nessuna doppia imposizione. Per tali ragioni la Corte ritiene che il regime del margine sia un “regime speciale facoltativo, derogatorio del sistema generale di cui alla Direttiva 2006/112 e rispetto a questo meno oneroso (contemplando una base imponibile ridotta) con la conseguenza che la disciplina concernente il suo ambito applicativo deve essere interpretata restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell'obiettivo dell'istituto”.
Gli orientamenti giurisprudenziali Tale essendo l'orientamento delle Sezioni Unite relativamente al regime del margine alle cessioni dei beni usati, ne derivano ovvie conseguenze anche in punto di onere della prova e del livello di diligenza che può essere legittimamente richiesto al contribuente che intende avvalersi di tale regime, fiscalmente più favorevole rispetto a quello ordinario. Mentre, a parere della società rivenditrice controricorrente, al fine di assolvere tale onere sarebbe sufficiente la verifica dell'indicazione, nei libretti di circolazione degli autoveicoli e nelle fatture emesse dalla cedente, della circostanza che i beni erano già stati assoggettati al regime del margine da parte della cedente comunitaria, secondo l'Agenzia delle Entrate, la diligenza richiesta al contribuente “può, anzi deve, andare oltre, in presenza di elementi significativi di “allarme”, idonei a far sospettare l'inattendibilità della detta annotazione e l'avvenuto esercizio del diritto alla detrazione, elementi nella fattispecie consistenti nel fatto che dagli stessi libretti di circolazione sarebbe risultato che i veicoli provenivano da società di autonoleggio o di leasing che li avevano utilizzati come beni dell'impresa”. La Corte ritiene, dunque, non sufficiente, la verifica della regolarità formale della fattura, ma impone una verifica sostanziale, che tenga conto della qualità professionale del cessionario (Cass., 20 aprile 2016, n. 7892).Nel caso in cui da detta verifica risulti che i precedenti titolari del veicolo svolgono tutti attività di rivendita, di noleggio o di leasing, scatterebbe la presunzione (relativa, essendo ammessa la prova contraria a carico del rivenditore) circa l'esercizio, da parte di tali soggetti, della detrazione dell'IVA a monte, con conseguente impossibilità di applicare il regime del margine. Le Sezioni Unite hanno, dunque, consolidato un principio sul quale si era già espressa l'Agenzia delle Entrate e sul quale ormai da tempo si era formato un pacifico orientamento nella giurisprudenza sia interna che nazionale.
Nel caso esaminato nella sentenza Litdana, presa dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento quale precedente per la propria decisione, l'Amministrazione finanziaria aveva negato ad una società lituana l'applicazione del regime del margine sulla rivendita di veicoli d'occasione acquistati da una società danese che aveva emesso fatture recanti l'indicazione del regime del margine, a seguito dell'accertamento che la società cedente, in realtà, non aveva applicato tale regime.
La Corte comunitaria, pur avendo affermato che, qualora sussistano indizi che fanno sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasione, “un operatore accorto potrebbe vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi” ha provato a cercare un equilibrio tra la buona fede e il dovere di diligenza che può essere legittimamente richiesto all'operatore economico, affermando che “l'amministrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto di applicare il regime del margine da un lato verifichi che l'emittente della fattura abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA o, dall'altro, che il detto soggetti passivo disponga di documenti a tale riguardo, spettando alle autorità tributarie effettuare i controlli necessari presso gli operatori al fine di rilevare irregolarità ed evasioni in materia di Iva nonché infliggere le eventuali sanzioni”.
Tale conclusione è parsa più che ragionevole nel caso di specie, atteso chela società lituana aveva avuto conferma, in più occasioni, dalle stesse autorità tributarie, del fatto che la dicitura apposta dalla cedente sulle fatture costituiva prova sufficiente a consentire l'applicazione del regime del margine, sicchè richiedere di verificare sistematicamente per ogni acquisto che il fornitore abbia effettivamente applicato tale regime sarebbe stato contrario al principio di proporzionalità, in assenza di ulteriori indizi che facessero sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasioni.
La rigidità dell'onere della prova richiesta all'operatore comunitario è pertanto stata stemperata dalla “buona fede” del medesimo, atteso che il diritto di utilizzare il regime del margine non può essere negato quanto il committente/cessionario, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni, non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad un illecito fiscale (cfr., nello stesso senso, sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a.).
Osservazioni
Conformemente all'orientamento della giurisprudenza interna e comunitaria sopra richiamato, le Sezioni Unite della Cassazione, nel caso esaminato dalla sentenza in commento, hanno concluso affermando che “con riferimento all'esistenza delle condizioni soggettive, il contribuente – cessionario deve dimostrare la propria buona fede, intesa come comprensiva sia dell'assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscriveva nel contesto di un'evasione dell'IVA, sia dell'uso della necessaria diligenza, ossia di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da parte di un operatore accorto, al fine di assicurarsi che una tale evenienza dovesse escludersi”. Nell'ambito delle precauzioni che si possono ragionevolmente richiedere al cessionario di veicoli d'occasione rientra “l'esame della “storia” del veicolo, per lo meno con riferimento ai precedenti intestatari del mezzo, risultanti dalla carta di circolazione [... al fine di] verificare se essi siano, o meno, legittimati ad esercitare, nel caso di specie, il diritto di detrazione dell'IVA: e, mentre nell'ipotesi negativa è evidente che il bene è pervenuto al consumo finale, con conseguente applicabilità del regime del margine, nel caso opposto è ragionevole presumere il contrario, quando risulti che il soggetto compie professionalmente operazioni nell'ambito del mercato dei veicoli, svolgendo attività di rivendita, di noleggio o di leasing, il quale, pertanto, in base al criterio di regolarità causale, detrae l'imposta pagata per l'acquisto del bene destinato all'esercizio dell'attività propria dell'impresa”.
La sentenza delle Sezioni Unite è positiva nella misura in cui, inserendosi in uno scenario giurisprudenziale pressoché pacifico, si auspica possa costituire un deterrente per l'avvio di ulteriori contenziosi in materia, in un contesto in cui la lotta alla frode è un obiettivo non solo del fisco, ma anche delle imprese, le cui operazioni economiche sono soggette al rischio di continue contestazioni. Al fine di garantire maggiore certezza del diritto, sarebbe probabilmente utile stilare una sorta di “lista” di adempimenti che gli operatori economici debbano porre in essere, affinchè possano verificare l'affidabilità dei loro partner commerciali. C'è da vedere se “l'esame della storia del veicolo”, espressamente richiamata dalle Sezioni Unite quale controllo che può essere legittimamente richiesto al cessionario dei veicoli usati, possa risultare a tal fine esauriente oppure se l'Amministrazione finanziaria riuscirà a trovare altri espedienti per continuare a contestare tali operazioni, anche quando la società abbia ottemperato positivamente a tale verifica.
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