Morte dell'usufruttuario locatore e subentro del suo erede
28 Agosto 2017
Massima
Silente il proprietario, la morte dell'originario usufruttuario locatore determina la trasmissione della titolarità del rapporto di locazione agli eredi di questo, con conseguente possibilità, per essi, di esercitare i diritti e le azioni che derivano dalla locazione e senza che il conduttore possa contestarne la legittimazione per il solo fatto che sia venuto meno il diritto di usufrutto. Il caso
Siamo in presenza di una locazione conclusa dall'usufruttuaria del bene. Alla morte di questa l'erede intima sfratto per morosità al conduttore. L'intimato oppone che, essendosi estinto l'usufrutto, la controparte non poteva vantare alcun diritto sull'immobile, il rapporto dovendo intendersi proseguito con l'ente che, già titolare della nuda proprietà del bene, ne era divenuto pieno proprietario a seguito della morte dell'usufruttuaria. Il Tribunale rigetta la domanda attrice e la Corte di appello conferma la pronuncia. Sostiene il giudice del gravame che alla morte dell'usufruttuaria locatrice il rapporto di locazione era proseguito fra il conduttore e il nuovo soggetto avente diritto al godimento dell'immobile, ossia il nudo proprietario in capo al quale si era consolidato l'usufrutto; nega, pertanto, che l'erede dell'usufruttuaria fosse subentrata, nella qualità di locatrice, nel rapporto dedotto in lite.
La questione
Col ricorso per cassazione l'erede dell'usufruttuaria asserisce non essere nella sostanza decisivo il disposto dell'art. 999 c.c.: norma che prevede, per il caso di cessazione dell'usufrutto, l'opponibilità al proprietario dell'immobile del contratto di locazione stipulato dall'usufruttuario. Tale disposizione, a suo avviso, non comporterebbe che il conduttore possa sottrarsi al pagamento del canone in favore dell'originario locatore (o del suo erede) quando nessun terzo abbia avanzato pretese nei suoi confronti assumendo di essere il proprietario dell'immobile. In proposito, la ricorrente richiama i principi, consolidati nella giurisprudenza di legittimità, circa la natura personale del contratto di locazione: la valida stipula di questo non presuppone la titolarità, in capo al locatore, di un diritto reale, ma solo la lecita disponibilità del bene, onde poterne conferire il godimento al conduttore. In sintesi, dunque, essa ricorrente sarebbe subentrata nel rapporto giuridico di locazione contratto dalla madre con l'inquilino e non risulterebbero rilevanti, in proposito, le questioni inerenti alla proprietà dell'immobile: il conduttore non potrebbe così avvalersi di un'eccezione de iure tertii, allegando la mancanza del diritto reale sul bene in capo alla medesima istante ovvero il trasferimento a terzi della proprietà della res locata. Queste, per quanto qui interessa, le deduzioni svolte dall'erede dell'usufruttuaria dell'immobile, ricorrente per cassazione. Il giudizio di legittimità verte, dunque, sull'ammissibilità del subentro nella locazione da parte di un soggetto (l'erede dell'usufruttuario) che, in base alla regola generale, non avrebbe titolo a un tale subingresso; infatti, la locazione, alla cessazione dell'usufrutto, dovrebbe proseguire tra il proprietario (in precedenza soltanto «nudo») e il conduttore: sul punto si tornerà in seguito. La Corte regolatrice affronta il tema da un angolo visuale particolare, che la porta a ridimensionare, nella sua declinazione applicativa, quest'ultimo principio: tale ridimensionamento è operato attraverso la valorizzazione della condotta di inerzia tenuta dal proprietario del bene a seguito della morte dell'usufruttuario.
Le soluzioni giuridiche
La Cassazione richiama affermazioni di una sua consolidata giurisprudenza: evocando Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8411 e Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2010, n. 12976, viene così ricordato che il rapporto originatosi dal contratto di locazione ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, deve considerarsi valido e vincolante anche il contratto stipulato tra chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sulla scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato detto possesso (o la detenzione) dopo la scadenza di efficacia di esso; viene in conseguenza sottolineato che colui che sia convenuto in giudizio dal locatore per la restituzione dell'immobile locato non può, avvalendosi di un'eccezione de iure tertii, contestare la legittimazione dell'attore allegando la mancanza del diritto reale sul bene in capo al medesimo ovvero il trasferimento a terzi della proprietà del bene, o, ancora, la perdita da parte del medesimo della relativa disponibilità (così Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2004, n. 1940). Il precipitato di tali premesse è racchiuso in tre ordini di rilievi giuridici. Osserva la Corte che: a) l'estinzione del diritto di usufrutto, pur comportando l'opponibilità al proprietario dei contratti di locazione conclusi dall'usufruttuario, non determina il subentro nel rapporto di locazione del pieno proprietario ove questi rimanga del tutto silente ed estraneo alla locazione; b) per esercitare i diritti derivanti dal rapporto (compreso quello di farne dichiarare la risoluzione), il locatore non è dunque tenuto a dimostrare la persistente titolarità di un diritto reale sul bene, né il conduttore può pretendere la dimostrazione di tale diritto per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto locatizio e per contestare la legittimazione dell'attore, a meno che non risulti che il proprietario abbia manifestato la volontà di subentrare al locatore, privandolo della disponibilità del bene; c) fino a quando ciò non si verifichi, il rapporto di locazione prescinde dalle vicende che attengono alla titolarità dei diritti reali sul bene e la vicenda rimane «centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore» (come già osservato da Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 17030), in coerenza con la sua natura «personale». Di qui il principio di cui alla massima enunciata, che si è sopra riprodotta. Osservazioni
La soluzione al problema parrebbe sia stata animata, quantomeno in parte, dalla legittima preoccupazione di attestare la decisione su di una posizione di coerenza rispetto ad altra pronuncia che aveva riguardato un diverso contratto di locazione stipulato, sempre in veste di usufruttuaria, dalla madre della ricorrente. A quest'ultima sentenza (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 17030) si deve il principio per cui il rapporto contrattuale tra locatore e conduttore ha natura personale, sicché il primo non può opporre al locatore usufruttuario del bene (né ai suoi eredi) la mancata titolarità del diritto di proprietà per sottrarsi alle obbligazioni nascenti dal contratto, invocando, una volta deceduto l'usufruttuario, l'esistenza di un litisconsorzio necessario con il proprietario, ove questi non sia attivato per subentrare nel contratto dopo l'estinzione dell'usufrutto. Gli effetti di un tale, possibile, condizionamento, si sono però tradotti in una soluzione di cui è possibile certo apprezzare lo sforzo ricostruttivo, ma che sul piano dell'applicazione dei principi si espone a qualche perplessità. La Corte di legittimità, nella sentenza che qui si annota, si è occupata della successione nella locazione da parte dell'erede dell'usufruttuario: non sono spesi argomenti sul diverso piano - senz'altro stimolante, ma verosimilmente precluso dal perimetro delle censure - della conclusione di un nuovo contratto di locazione per fatti concludenti (fattispecie, questa, che, in caso di locazione abitativa, sarebbe comunque colpita da una nullità rilevabile d'ufficio, giacché l'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998 prescrive che le convenzioni locatizie aventi tale oggetto vadano stipulate per iscritto: sul punto, in termini generali, v. Cass. civ., sez. un., 17 settembre 2015, n. 18214). Ora, in ipotesi di cessazione dell'usufrutto, la locazione non cessa, in quanto l'art. 999 c.c. reca una disciplina che, al pari dell'art. 1599 c.c., fa salva l'opponibilità della locazione al terzo avente diritto: terzo che, nella fattispecie, si identifica nel nudo proprietario che, a seguito della estinzione dell'usufrutto, sia divenuto proprietario pieno. La modalità con cui opera l'opponibilità della locazione nella fattispecie di cui all'art. 999 c.c. è la stessa che è descritta, per l'ipotesi di trasferimento della cosa locata, dall'art. 1602 c.c.: il terzo subentra nella locazione. Per la verità, non esiste, in tema locazione della cosa ricevuta in usufrutto, una disposizione che, al pari dell'art. 1602 c.c., preveda il subingresso del terzo nel rapporto di locazione, ma se le locazioni munite di data certa concluse dall'usufruttuario, e in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto, «continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell'usufrutto», ciò significa che esse proseguono con il soggetto cui la locazione è opponibile (e cioè con colui che, vantando un diritto reale sulla res locata,potrebbe richiederne il rilascio ove non fosse per l'appunto operante la regola dell'opponibilità, che l'art. 999 c.c. pone). Di ciò la giurisprudenza è da tempo consapevole: si trova infatti affermato, nei repertori di giurisprudenza, che la continuazione del rapporto di locazione concluso dall'usufruttuario nel caso di cessazione dell'usufrutto, prevista, per la durata contrattualmente stabilita, dall'art. 999 c.c., comporta necessariamente (non diversamente da quanto stabilito, con riferimento alla compravendita del bene locato, dall'art. 1599 c.c.), che titolare del rapporto divenga il nuovo avente diritto al godimento, verificandosi un fenomeno di cessione ex lege del contratto, per l'operatività della quale non occorre il consenso e l'adesione del conduttore (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 1983, n. 2558). Vi è ragione di dissentire, allora, dalla prima affermazione - sub a) - della sentenza annotata: per un verso, se il subentro si attua de iure, deve escludersi che possano rilevare successive condotte di inerzia da parte del terzo; per altro verso, va considerato che, nell'architettura dell'art. 999 c.c. - che non è dissimile, per quanto detto, da quella di cui agli artt. 1599 e 1602 c.c. - il subentro integra la modalità stessa attraverso cui si attua l'opponibilità della locazione, sicché pare impossibile configurare la seconda in assenza della prima. Ma non convince fino in fondo nemmeno la proposizione sub b). Non è certo in discussione il principio, assai radicato, secondo cui nel giudizio pendente tra privati per il rilascio di un immobile oggetto di un contratto di locazione, il convenuto non è legittimato ad opporre la mancanza della titolarità del diritto reale sul bene, dal momento che una tale difesa integrerebbe una eccezione de iure tertii preclusa al conduttore (così, in materia di demanialità di area data in locazione, la recente Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8705). Se, tuttavia, nella fattispecie non viene in questione la stipula di un nuovo contratto di locazione tra erede dell'originaria usufruttuaria e conduttore, il principio non ha modo di operare. Quest'ultimo ha difatti riscontro applicativo ove si dibatta della legittimazione a locare del locatore, giacché, come è noto, chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, è titolato a concederlo validamente in locazione (in tal senso, ad esempio: Cass. civ., sez. III, 27 dicembre 2016, n. 27021; Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 20387). Altre sono le considerazioni da formulare quando sia controverso il diritto al subentro del terzo nel contratto (come nei casi di trasferimento a titolo particolare della cosa locata, ma anche di estinzione, retroattiva, o non retroattiva, del diritto dell'originario locatore: artt. 1604, 1606, 954 comma 2, 976 e, appunto, 999 c.c.). Così, secondo la Cassazione, il conduttore al quale sia stato chiesto il rilascio dell'immobile locato da colui che lo ha acquistato dall'originario locatore, può validamente opporre le eccezioni concernenti la titolarità del diritto di proprietà dell'attore, perché l'acquisto di quest'ultimo costituisce il titolo della surrogazione dello stesso nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2000, n. 9724; Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2000, n. 5699; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 1994, n. 5724). Identica conclusione si impone, evidentemente, ove si controverta del trasferimento della posizione contrattuale che è correlato alla cessazione dell'usufrutto. Se, quindi, il terzo (nella fattispecie, l'erede dell'usufruttuario) pretenda di esercitare i diritti propri del locatore, assumendo di essere subentrato nel rapporto, il conduttore ben potrà contestagli che tale subentro, regolato dall'art. 999 c.c., non si è attuato, in quanto non vi è stato acquisto della piena proprietà da parte del detto terzo. In caso di mancata dimostrazione della consolidazione dell'usufrutto alla nuda proprietà in capo a colui che agisce in giudizio quale locatore, dovrebbe ritenersi che la pretesa azionata in giudizio provenga da soggetto non legittimato: per quanto osservato, infatti, è problematico ammettere un concorrente diritto a succedere nella locazione che prescinda dall'automatismo che correla il subingresso nella locazione al dato dell'acquisto della piena proprietà della res. In tal senso, possono dunque esprimersi riserve anche sull'ultimo passaggio argomentativo della pronuncia, quello sub c).
Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005; Musolino, Poteri di disposizione dell'usufruttuario e locazione del bene concesso in usufrutto, in Riv. dir. civ., 2005, 2, 53; Piselli, Il conduttore non può contestare una carenza di poteri, in Guida al diritto, 2016, fasc. 37, 44; Tabet, La locazione-conduzione, Milano, 1972. |