Le escavazioni nel sottosuolo da parte del singolo condomino costituiscono spoglio tutelabile

Alberto Celeste
07 Settembre 2017

Concreta spoglio la condotta del singolo il quale, procedendo a lavori di escavazioni nel sottosuolo dell'edificio, attragga...
Massima

Lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, va considerato di proprietà comune, per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c., sicché, ove il singolo condomino proceda, senza il consenso degli altri partecipanti, a scavi in profondità del sottosuolo, così attraendolo nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, si configura uno spoglio denunciabile dall'amministratore del condominio con l'azione di reintegrazione.

Il caso

La controversia prendeva le mosse da un'azione di reintegrazione promossa da un condominio, tramite il suo amministratore, nei confronti di due società, nelle rispettive qualità di utilizzatrice in forza di contratto di locazione finanziaria e di proprietaria di una porzione immobiliare sita al piano terreno dell'edificio condominiale, in quanto queste ultime avevano intrapreso opere di scavo nel sottosuolo senza alcuna autorizzazione da parte del medesimo condominio.

Il Tribunale - dapprima, risultando le denunciate opere ultimate, con ordinanza aveva rigettato l'istanza cautelare, ma poi - con sentenza aveva accolto il ricorso, reintegrando il condominio nel possesso del terreno su cui sorgeva il fabbricato, e del quale le suddette società convenute erano, rispettivamente, conduttrice in locazione finanziaria e proprietaria, ordinando loro il ripristino dello stato dei luoghi.

Il gravame proposto da queste ultime veniva rigettato dalla Corte d'Appello, la quale riteneva che il punto decisivo della causa fosse costituito dal regolamento condominiale, il quale aveva specificato che «costituiscono proprietà comune in modo inalienabile e indivisibile a tutti i condomini e devono essere mantenuti efficienti a spese comuni il terreno sul quale sorgono gli edifici, le foro fondazioni, il cortile».

Acclarata, quindi, l'opponibilità di tale regolamento alle parti in causa, in forza del richiamo nell'atto di compravendita dell'unità immobiliare, il giudice distrettuale aveva affermato che il suolo ed il sottosuolo su cui poggiava l'immobile condotto in locazione dalla società utilizzatrice, seppure parte di un edificio separato da quello diviso in più porzioni esclusive, rientravano tra i beni comuni proprio in forza delle richiamate clausole regolamentari (che si riferivano, appunto, al terreno su cui i fabbricati risultavano eretti).

La Corte territoriale aveva, poi, rigettato l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla società concedente, in quanto comunque proprietaria dell'unità immobiliare esclusiva detenuta dalla conduttrice.

La questione

Si trattava di verificare l'esistenza del possesso del condominio sul terreno di copertura del locale autorimessa, oggetto degli scavi denunciati, che le società ritenevano invece mancante di ogni prova al riguardo; in particolare, le ricorrenti contestavano, per un verso, che i giudici di appello si fossero soffermati solo sul titolo di proprietà del suolo e del sottosuolo, senza considerare la situazione di fatto, ed in particolare che tale terreno fungesse da sostegno per la sola autorimessa di proprietà esclusiva, in maniera da non dare, quindi, alcuna utilità al condominio, e, per altro verso, che difettassero, nella specie, i presupposti della tutela possessoria, quali l'animus spoliandi e la clandestinità, in quanto i restanti condomini ritenevano il capannone un bene a sé stante, escluso dalla situazione condominiale.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate le doglianze delle società ricorrenti riguardo alla carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi dell'azione di reintegrazione, che quindi l'amministratore del condominio era legittimato a proporre al fine di contrastare le sopra delineate iniziative edili.

Invero, dall'esame del regolamento di condominio e dalla destinazione funzionale del terreno in oggetto, posto in rapporto di strumentalità con il fabbricato principale, la Corte territoriale ha ricavato, ad colorandam possessionem, l'inclusione dello stesso fra le parti comuni dell'edificio ex art. 1117 c.c., così accertando che le denunciate condotte da parte della società utilizzatrice eccedessero i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei condomini compossessori.

In base all'art. 1117 c.c., l'estensione della proprietà condominiale ad un immobile - come quello oggetto della sentenza in commento - che appariva come corpo di fabbrica separato rispetto all'edificio in cui aveva sede il condominio, poteva essere giustificata soltanto in ragione di un «titolo» idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso (avendo i giudici di merito inteso come tale il regolamento di condominio richiamato nell'atto di acquisto dei danti causa delle ricorrenti), qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente.

D'altronde, la norma regolamentare che ricomprendeva nella proprietà comune «il terreno sul quale sorgono gli edifici» appare una mera riproduzione della regola attributiva dell'art. 1117 c.c., la quale abbraccia pure «il suolo su cui sorge l'edificio».

Oggetto di proprietà comune, agli effetti dell'art. 1117, n. 1), c.c., è non solo la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero fabbricato e, dunque, immediatamente pure la parte sottostante di esso; in quest'ottica, il termine «suolo», adoperato dall' art. 1117 cit., assume un significato diverso e più ampio di quello supposto dall'art. 840 c.c., dove esso indica soltanto la superficie esposta all'aria.

Piuttosto, l'art. 1117 c.c., letto sistematicamente con l'art. 840 c.c., implica che il «sottosuolo» - costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio (seppure non menzionato espressamente dall'elencazione esemplificativa fatta dalla prima norma - va considerato di proprietà condominiale in mancanza di un titolo, che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini.

Pertanto - concludono gli ermellini - nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all'escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell'edificio, privandoli dell'uso e del godimento ad essa pertinenti (v. Cass. civ., sez. II, 13 luglio 2011, n. 15383; Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2010, n. 4965, che qualifica tale condotta come «innovazione lesiva»; Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2006, n. 22835; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17141; Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2006, n. 5085, aggiungendo che il sedime del fabbricato costituisce il limite ultimo delle proprietà individuali, le quali non si espandono usque ad infera, neppure se sono ubicate nel piano più basso; Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8119: nella specie, si era confermata la sentenza che aveva considerato lesivo del diritto di comproprietà l'opera di escavazione di 40 cm., eseguita dalla proprietaria del piano terreno, in profondità del sottosuolo, per ingrandire il suo locale; Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1996, n. 2295; Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11138; Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1986, n. 6587).

Osservazioni

In quest'ordine di concetti, si è ritenuto che la condotta del condomino che, senza il consenso degli altri partecipanti, proceda a scavi in profondità del sottosuolo, acquisendone la proprietà, finirebbe, in pratica, con l'attrarre la cosa comune nell'àmbito della disponibilità esclusiva di quello, sicché, avendosi nella specie riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un fabbricato compreso nel condominio, la configurabilità di uno spoglio denunciabile con azione di reintegrazione dall'amministratore condominiale, al fine di conseguire il recupero del godimento della cosa, sottratto illecitamente, postula il riscontro di una situazione di compossesso del sottosuolo medesimo, nella specie desunta dalla destinazione funzionale del bene - la Corte territoriale aveva affermato, in proposito, di aver accertato un «rapporto imprescindibile di strumentalità con il fabbricato principale» - oltre che, ad colorandam possessionem, dalla sua verificata inclusione fra le parti comuni dell'edificio, nonché il riscontro ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda, appunto, i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2004, n. 23453: nella specie, si era cassata la sentenza che, circa due locali terranei dello stesso proprietario facenti parte di una costruzione ad «elle» includente due distinti condomini edificati l'uno in appoggio all'altro, aveva escluso la natura condominiale che li delimitava e separava, negandone il relativo compossesso in capo ai condomini).

Sul punto, appare opportuno segnalare una, sia pur non recente, pronuncia (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 432), ad avviso della quale, riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo condomino per l'installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua proprietà esclusiva, la configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da parte di questo altro condomino (corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipanti, oltre che, ad colorandam possessionem, dalla sua inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 c.c.), nonché l'accertamento ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore, traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di quest'ultimo.

Del resto, la prova dell'animus spoliandi - prosegue il massimo consesso decidente - può essere desunta, per via di logica astrazione, dallo stesso comportamento dell'agente, e tale consapevolezza di mutare lo stato di fatto preesistente contro la volontà del condominio, secondo l'incensurabile valutazione del giudice di merito, sarebbe stata implicita nella «situazione di fatto dei luoghi», come acclarato nella gravata sentenza.

La Corte di Cassazione ne approfitta, infine, per offrire interessanti puntualizzazioni sulla legittimazione passiva in ordine alla proposta azione di reintegrazione del condominio, in quanto, nella specie, si registrava la presenza anche della locatrice finanziaria, la quale aveva evidenziato come, in base al contratto di leasing intervenuto tra le parti, l'assunzione di ogni rischio e responsabilità fosse a carico della sola utilizzatrice dell'immobile.

Sul punto, si riconosce che l'art. 1168 c.c. configura la legittimazione passiva all'azione di reintegrazione secondo uno schema di tipo «personale», sicché la domanda è esperibile contro l'autore dello spoglio, ma si dà, al contempo, atto che sussistono fattispecie in cui il provvedimento di reintegrazione va eseguito nella sfera possessoria o proprietaria di un soggetto estraneo all'episodio lesivo, parimenti vincolato al bene da un unico ed inscindibile rapporto giuridico.

Ne consegue che, quando l'attuazione della richiesta tutela possessoria imponga la rimozione dello stato di fatto abusivamente creato, con l'abbattimento di opere appartenenti in proprietà anche a terzi non presenti in giudizio, si deve integrare nei loro confronti il contraddittorio; altrimenti, la sentenza resa nei confronti soltanto dell'autore dello spoglio, e non anche del proprietario dell'opera, sarebbe inutiliter data, giacché la demolizione della cosa pregiudizievoleinciderebbe sulla sua stessa esistenza e necessariamente quindi sulla proprietà di quel terzo pretermesso, a nulla rilevando, in contrario, che costui possa poi fare opposizione all'esecuzione nelle forme previste dall'art. 615 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 2010, n. 921).

Orbene, atteso che, nell'operazione di leasing finanziario, la proprietà del bene rimane in capo al concedente, attribuendosi all'utilizzatore una forma di «detenzione autonoma qualificata» fino al momento dell'eventuale esercizio della facoltà di riscatto, sussiste la necessaria legittimazione passiva dello stesso concedente nell'azione di reintegrazione proposta da un terzo se il ripristino della situazione anteriore allo spoglio debba avvenire con la demolizione di un'opera concernente il bene dato in godimento.

Guida all'approfondimento

Bertino, La responsabilità del proprietario per danni da attività di escavazione ex art. 840 c.c., in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 307;

Nachira, Riscossione dei contributi condominiali nel leasing immobiliare, in Il Civilista, 2008, fasc. 3, 70;

Pironti, Escavazione nel sottosuolo comune per ampliamento di un vano esclusivo, in Immob. & proprietà, 2005, 136;

Sagna, Poteri e limiti del singolo condomino alla costruzione di un vano nel sottosuolo del fabbricato condominiale, in Nuovo dir., 2001, 818;

Parmeggiani, Legittimazione passiva della società di leasing e dell'utilizzatore del bene in caso di presunta violazione del regolamento di condominio da parte dell'utilizzatore, in Arch. loc. e cond., 1992, 826;

Branca, Sottosuolo con vespaio e sbancamento, in Foro it., 1978, I, 1380.

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