Distanze in condominio e tubi dell'impianto di riscaldamento
08 Settembre 2017
Massima
In tema di condominio, le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione, rispetto alle singole unità immobiliari, solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la natura dei diritti e delle facoltà dei condomini, sicché il giudice deve accertare se la rigorosa osservanza di dette disposizioni non sia irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi della convivenza tra i condomini. Ne deriva che, anche con riferimento ai tubi dell'impianto di riscaldamento, l'art. 889 c.c. è derogabile solo ove la distanza prevista sia incompatibile con la struttura degli edifici condominiali. Il caso
Nella fattispecie in esame, un condomino aveva convenuto in giudizio altri due condomini per sentirli condannare alla riduzione in pristino e al risarcimento dei danni in relazione ad una serie di interventi lesivi dei suoi diritti in particolare con riferimento alla presenza di alcune tubazioni installate a distanza illegale dal confine delle rispettive proprietà. Il Tribunale di Padova ha accolto la domanda di arretramento delle tubazioni rigettando quella di risarcimento danni. La Corte d'Appello ha poi respinto l'appello dei condomini valorizzando, tra l'altro, che la consulenza tecnica esperita in prime cure aveva permesso di accertare l'esistenza di una serie di tubazioni idriche poste a distanza inferiore ad un metro rispetto alla confinante proprietà dell'appellato e che si trattava di muri interni e non di muri comuni, per cui non trovava applicazione la regola della inoperatività nel condominio della normativa sulle distanze legali, applicabile invece con riferimento alle opere eseguite sulle parti comuni. I ricorrenti in cassazione hanno quindi dedotto la violazione o falsa applicazione dell'art 889 c.c., richiamando il concetto di «indispensabilità» degli impianti lamentando come la Corte d'Appello di Venezia fosse giunta a risultati opposti ai principi giurisprudenziali. La questione
Viene in esame, nella fattispecie, il problema dell'accertamento della compatibilità della disciplina sulle distanze nell'ambito del condominio. Infatti, è controversa sia in dottrina che in giurisprudenza l'applicabilità dell'istituto delle distanze e ciò non solo tenuto conto delle caratteristiche strutturali del condominio, ove le proprietà esclusive vengono a trovarsi strettamente contigue o comunque limitrofe e partecipano del godimento necessario o comunque funzionale delle parti comuni, ma anche in considerazione del fatto che in materia condominiale, in virtù dell'art. 1139 c.c., è applicabile l'art. 1102 c.c. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale rammentando che secondo l'orientamento prevalente, dalla stessa ribadito nel caso di specie, in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell'art. 889 c.c., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali (tra le varie, Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2010, n. 12520; Cass. civ., sez. II, 25 luglio 2006, n. 16958; Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139). La Suprema Corte ha, quindi, ribadito che, anche con riferimento ai tubi dell'impianto di riscaldamento di edifici condominiali, l'applicabilità dell'art. 889 c.c. è derogabile solo per incompatibilità dell'osservanza della distanza ivi indicata con la struttura stessa di tali edifici (già Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2001, n. 13852). La Cassazione ha, altresì, sottolineato come, nel caso di specie, la Corte d'Appello abbia affermato che è possibile una diversa collocazione delle tubazioni nel rispetto dell'art. 889 c.c. anche se, come affermato dal CTU, ciò avrebbe comportato il rifacimento dell'impiantistica ed abbia osservato in proposito che il CTU aveva prospettato alcune ipotesi certamente fattibili, indicate a pagg. 7 e 8 del supplemento (pag. 7 sentenza impugnata). La Corte d'Appello aveva, poi, dato conto del fatto che in sede di ristrutturazione dell'immobile gli appellanti avrebbero potuto mettere a norma l'impiantistica rispettando sostanzialmente le distanze di cui all'art. 889 c.c. (pagg. 10 e 11). La Suprema Corte ha, quindi, condivisibilmente, concluso che quanto affermato dalla Corte d'appello costituiva un tipico accertamento in fatto da parte del giudice di merito, appare del tutto in linea coi principi sopra citati, perché spiega adeguatamente le ragioni per cui non è possibile derogare alla regola generale del rispetto delle distanze anche nei rapporti tra condomini (ragioni fondate sulla ritenuta compatibilità dell'obbligo di rispettare le distanze con la struttura dell'edificio, e sulla irrilevanza dell'onerosità dell'intervento). Conseguentemente, la critica dei ricorrenti al ragionamento della Corte territoriale si risolveva in un diverso apprezzamento delle suddette circostanze di fatto avanti al giudice di legittimità, valutazione questa preclusa al giudice nel giudizio di Cassazione. Osservazioni
L'orientamento della Suprema Corte sopra visto non ritiene applicabile sempre e comunque la disciplina delle distanze dalle costruzioni in ambito condominiale dovendosi effettuare un giudizio di compatibilità con la concreta struttura dell'edificio. In particolare, è demandato al giudicante di procedere ad una valutazione circa l'irragionevolezza dell'eventuale applicazione delle norme sulle distanze e ciò in considerazione del fatto che la coesistenza di più appartamenti in un unico edifico implica di per sé il contemperamento dei vari interessi ai fini dell'ordinato svolgersi della convivenza. Ebbene, il criterio indicato dalla Suprema Corte non appare particolarmente condivisibile in quanto reca un grado di incertezza eccessivo che non consente agli utenti di poter adeguare preventivamente il proprio comportamento ad una regola di azione chiara e precisa. Inoltre, esso pur considerando gli aspetti critici dell'applicazione di norme dettate per regolare le distanze tra edifici separati ad una fattispecie che ontologicamente implica l'esistenza di unità immobiliari contigue, non giunge ad affermare, come invece dovrebbe, che la normativa sulle distanze non può trovare applicazione in ambito condominiale. Come rilevato in dottrina, infatti, occorre tenere presente che le norme in tema di distanze legali sembrano presupporre l'esistenza di due «fondi»(intesi come appezzamenti di terreno o edifici) distinti. E' significativa in proposito l'intitolazione della sezione VI del capo II del libro III «Delle distanze nelle costruzioni piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi». |