Appropriazione indebita di somme da parte dell'amministratore di condominio
21 Settembre 2017
Massima
Il delitto di appropriazione indebita è un reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa e cioè nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini dell'individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione.
Fonte: ilpenalista.it
Il caso
La Corte d'appello aveva confermato la decisione del giudice di primo grado con la quale l'imputato era stato riconosciuto responsabile del delitto di appropriazione indebita, per essersi, nella qualità di amministratore di un condominio, appropriato di somme del predetto ente, di cui aveva la disponibilità in forza dell'incarico conferitogli, commettendo il fatto mediante periodici prelievi dal conto corrente del condominio stesso. Con il ricorso per Cassazione avverso la sentenza d'appello l'imputato, tra l'altro, aveva eccepito violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento alla mancata declaratoria di estinzione del reato, ritenendo già maturato, prima dell'emissione della sentenza di appello, il termine massimo di prescrizione. In sostanza, secondo l'imputato ricorrente, il reato doveva considerarsi consumato, con conseguente inizio della decorrenza del termine di prescrizione, non già nel momento del passaggio delle consegne e quindi anche del denaro dal vecchio al nuovo amministratore, bensì in precedenza in concomitanza dei singoli episodi di prelievo del denaro da parte dell'amministratore. La questione
La questione sottoposta all'esame della Corte di legittimità con il ricorso di cui alla sentenza in commento attiene all'individuazione del momento consumativo del reato di appropriazione indebita ai fini della decorrenza del termine di prescrizione. Con particolare riferimento alla fattispecie concreta si trattava di stabilire se il reato dovesse intendersi consumato in occasione di ogni prelievo dal conto corrente del condominio delle somme versate dai condomini da parte dell'amministratore con destinazione delle stesse a finalità diverse da quelle proprie dell'ente; o se, piuttosto, come ritenuto dai giudici di merito, il momento consumativo del reato dovesse essere fissato all'atto del passaggio delle consegne dal vecchio al nuovo amministratore. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione ha affermato che l'utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell'amministratore durante il mandato non integra l'introversione del possesso che costituisce l'elemento materiale del delitto di appropriazione indebita; viceversa, ha affermato il giudice di legittimità, l'interversione si manifesta e consuma soltanto quando, terminato il mandato, le giacenze di cassa non vengono trasferite al nuovo amministratore; solo da quel momento, quindi, inizierà a decorrere il termine di prescrizione. Ciò in quanto, avendo l'amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni di conto corrente, soltanto al momento della cessazione della carica il reato di appropriazione indebita può considerarsi consumato; difatti solo in questo momento si verifica l'interversione nel possesso delle suddette somme di pertinenza del condominio; dette somme, infatti, in precedenza erano possedute dall'imputato in virtù dell'incarico conferito e di esse, lo stesso, in costanza di mandato, poteva legittimamente disporre. Osservazioni
Le conclusioni alle quali è pervenuta, nel caso di specie, la Corte di Cassazione rappresentano la naturale evoluzione dell'indirizzo giurisprudenziale già fatto proprio dalla Corte di legittimità in base al quale il delitto di appropriazione indebita della documentazione relativa al condominio da parte di colui che ne era stato amministratore si perfeziona, non già nel momento della revoca dello stesso e della nomina del successore, bensì nel momento in cui l'agente, volontariamente negando la restituzione della contabilità ricevuta, si era comportato rispetto alla res uti dominus, ponendo in essere quell'interversione nel possesso che costituisce l'elemento materiale del delitto previsto dall'art. 646 c.p. (Cass. pen., Sez. II, n. 29451/2013). In questo caso, infatti, il momento della revoca dell'amministratore rappresenta soltanto il venir meno del titolo giuridico in forza del quale il soggetto era legittimato a detenere la documentazione, mentre per l'integrazione del reato era stato, correttamente, ritenuto necessario un quid pluris, consistente appunto nel rifiuto volontario da parte del soggetto di restituzione della documentazione, con la consapevolezza di non avere più alcun titolo per detenerla. |