Regolamento di condominio e possesso di animali domestici
04 Settembre 2017
Massima
Non è possibile impedire ai condomini di tenere animali domestici, anche se tale divieto è previsto nel regolamento condominiale approvato all'unanimità.
Il caso
Un condomino adiva il Tribunale di Cagliari con ricorso ex art 702-bis c.p.c per chiedere l'annullamento dell'art. 7 del regolamento di condominio che impediva l'accesso e la detenzione di animali domestici nel proprio stabile e che, per l'effetto, venisse consentito al proprio cane l'accesso al condominio. La domanda era fondata sulla nullità sopravvenuta della predetta disposizione per contrasto con l'art. 1138 c.c. ultimo comma, introdotto dalla l. n. 220/2012 di riforma del condominio, in base al quale «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». Costituendosi in giudizio, il condominio contestava in toto le pretese del ricorrente sostenendo la legittimità della clausola, essendo contenuta in un regolamento condominiale di natura contrattuale in quanto predisposto dall'originario ed unico proprietario e successivamente accettato da tutti gli acquirenti al momento dei singoli atti di acquisto ed evidenziando come l'art. 1138 c.c. così come modificato dalla l. n. 220/2012 trovasse applicazione solo ed unicamente per i regolamenti di natura assembleare, approvati a maggioranza. Il Tribunale accoglieva integralmente il ricorso precisando che la nuova formulazione dell'art. 1138 c.c. trova applicazione per tutti i regolamenti condominiali, sia assembleari che contrattuali sin dal momento di redazione dei medesimi e condannava il condominio alle spese di giudizio. La questione
I problemi giuridici affrontati dal giudice sardo riguardano sostanzialmente l'àmbito di applicazione del divieto stabilito dal comma 5 dell'art. 1138 c.c. In particolare, controverso era se il divieto stabilito dall'art. 1138, comma 5, c.c. dovesse essere applicato solo ai regolamenti di natura assembleare ovvero anche a quelli di natura contrattuale e se soltanto ai regolamenti successivi all'entrata in vigore della norma o anche a quelli antecedenti. Le soluzioni giuridiche
La domanda attorea di dichiarazione di nullità dell'art. 7 del regolamento di condominio è stata ritenuta fondata, alla luce di principi contenuti nella normativa nazionale ed europea. In particolare, a detta del Giudice di primo grado, la norma contenuta nel regolamento condominiale risulta contraria non solo alla disciplina vigente in materia condominiale ma anche ai principi di ordine pubblico e del diritto europeo che tendono invece a valorizzare il rapporto uomo-animale. In primo luogo, il Tribunale ha evidenziato come tra i diritti riconosciuti e difesi a livello nazionale vi sia quello alla tutela degli animali di affezione, richiamando sul punto la legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo (l. 14 agosto 1991, n. 281), che, all'art. 1, afferma: «lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale», la L. 189/2004, che ha introdotto nel codice penale i nuovi delitti di «animalicidio» e di maltrattamento di animali, di cui agli artt. 544 bis ss. c.p. ed il nuovo Codice della strada (art. 31 l. n. 120/2010 e successivo d.m. attuativo 9 ottobre 2012, n. 217, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 12.12.2012), che ha fissato l'obbligo di fermarsi a soccorrere l'animale ferito in caso di incidente. Sempre a livello nazionale, anche molte pronunce giurisprudenziali - ricorda il Tribunale sardo - hanno riconosciuto il diritto di visita in carcere al cane del detenuto, in quanto membro della famiglia, o hanno ammesso il diritto di visita in ospedale al cane del paziente ricoverato, atteso che il rapporto uomo-animale realizza l'intera personalità umana. A livello europeo, il Tribunale fa riferimento alla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987, ratificata ed eseguita in Italia con la l. n. 201/2010 (in cui si prevede che «l'uomo ha l'obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi», e «in considerazione dei particolari vincoli esistenti tra l'uomo e gli animali da compagnia» si afferma «l'importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società»), ed al Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea ratificato dalla l. n. 130/2008 (che, all'art. 13, stabilisce che «l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti».) Alla luce delle leggi citate, il Tribunale conclude che il rapporto uomo-animale non solo abbia avuto riconoscimento normativo, ma anzi, in base all'evoluzione della coscienza sociale e dei costumi, esso costituisca oramai espressione di un diritto inviolabile tutelato all'art. 2 Cost. Secondo la sentenza in commento il nuovo comma 5 dell'art. 1138 c.c. non può dunque leggersi prescindendo dal rilievo costituzionale assunto dalla tutela del rapporto uomo-animale: per tale ragione, tale norma è stata ritenuta inderogabile. Riduttivo è stato giudicato far discendere dal mero inquadramento geografico della norma la conseguenza dell'applicazione di essa ai soli regolamenti assembleari. Benché le disposizioni contenute nei commi precedenti dell'art. 1138 c.c. dettino regole in ordine ai casi in cui l'adozione del regolamento diviene obbligatoria e al quorum necessario per la sua approvazione, riferendosi evidentemente al c.d. regolamento assembleare, il giudicante ha evidenziato che nessuna indicazione in merito alla natura del regolamento è contenuta nella rubrica della norma, denominata genericamente «regolamento di condominio», e neppure nello stesso ultimo comma, quello contenente il divieto, nel quale è citato il «regolamento» senza alcuna specificazione. Alla luce invece della sua stessa ratio e delle conseguenze della sua violazione, specificamente previste dall'art. 155 disp. att. c.c. (a mente del quale «cessano di avere effetto le disposizioni del regolamento di condominio che siano contrarie alle norme richiamate nell'ultimo comma dell'art. 1138 del codice»), il Tribunale ha ritenuto corretta della tesi della nullità del regolamento contrario al divieto, costituendo l'inefficacia mera conseguenza di un'invalidità e non invalidità essa stessa. Il Giudice cagliaritano, infine, chiarisce che solo quando si è in presenza di una lesione dei diritti degli altri condomini nel godimento delle aree di proprietà comune od esclusiva, sia possibile impedire e/o limitare all'animale domestico di accedere e godere di tali aree e che una siffatta indagine debba essere svolta solo successivamente e mai in via precauzionale. Osservazioni
La pronuncia oggetto di commento ha sollevato non poco scalpore poiché introduce novità nell'àmbito della consolidata distinzione tra regolamento contrattuale e assembleare che, a differenza del primo, è approvato e modificato a maggioranza e non può pregiudicare o limitare diritti che vengono attribuiti a ciascun condomino dagli atti di acquisto oppure da altre convenzioni. Il regolamento contrattuale essendo un contratto tra le parti può limitare o escludere i diritti e le facoltà spettanti ai singoli, ai quali possono essere imposti anche obblighi non spettanti dalla legge. Prima dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, la Corte di Cassazione, con la sentenza 15 febbraio 2011 n. 3705 aveva stabilito che il divieto di tenere animali nelle abitazioni private e nelle parti comuni costituisce una clausola di natura contrattuale del regolamento che pone una servitù reciproca tra i condomini e pertanto può essere modificata solo con l'unanimità dei consensi. Orbene, anche dopo l'entrata in vigore della legge di riforma del condominio ma prima della pronuncia in commento, la dottrina maggioritaria continuava a ritenere che il divieto di detenere di animali domestici all'interno del proprio appartamento, configurando una limitazione del diritto del condomino di disporre del proprio bene, potesse essere contenuta in un regolamento di condominio contrattuale. Il nuovo comma 5 dell'art. 1138 c.c. non era stato ritenuto una novità, in quanto veniva interpretato come la traduzione normativa di un consolidato indirizzo giurisprudenziale che, nel corso degli anni, ha negato validità al divieto di detenere o possedere animali domestici contenuti nei regolamenti di natura assembleare. Per quanto concerne poi l'àmbito applicativo dal punto di vista temporale della nuova norma, alcuni dei primi commentatori hanno delineato una tesi restrittiva, sostenendo che essa non potrebbe applicarsi che per l'avvenire, in virtù del principio generale di irretroattività delle leggi di cui all'art. 11, comma 1, disp. prel. c.c. Da ciò conseguirebbe che il vecchio regolamento, contrattuale e trascritto, che prevedesse ad esempio il divieto alla detenzione di cani di grossa taglia, manterrebbe la propria efficacia. Non solo, secondo questo orientamento, l'art.1138 c.c. sarebbe addirittura derogabile con un nuovo regolamento contrattuale, approvato all'unanimità dai condomini. L'ordinanza del Tribunale di Cagliari ha evidentemente ribaltato le convinzioni tradizionali. C'è chi plaude a quanto espresso nell'ordinanza in commento per una serie di ragioni. Secondo i sostenitori delle conclusioni cui essa perviene, di fronte all'emersione del nuovo interesse a copertura costituzionale avente ad oggetto il rapporto uomo-animale, la posizione giurisprudenziale già menzionata che ammetteva limitazioni alla detenzione di animali nei condomini, purché contenute in regolamenti contrattuali, risultava quanto meno inadeguata ed si rendeva necessario un intervento legislativo, volto ad esprimersi su quello che poteva già desumersi dai principi generali dell'ordinamento. Per tale corrente di pensiero, approvando il nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il Legislatore si è voluto adeguare all'evoluzione della coscienza sociale, riconoscendo l'esistenza del diritto alla tutela del rapporto uomo-animale, che si estrinseca anche nel diritto alla coabitazione. Ne consegue, allora, che la nuova norma vada ad incidere anche sui regolamenti condominiali vigenti, determinando l'immediata caducazione delle clausole che vietano o limitano la detenzione degli animali domestici. A sostegno di questa posizione interpretativa, si pone la tesi ammessa da una parte della dottrina e della giurisprudenza, della ammissibilità della c.d. nullità sopravvenuta, in base alla quale l'entrata in vigore della nuova normativa comporta la nullità delle clausole in contrasto con essa. Il risultato è dunque che la nuova norma di cui all'art. 1138, comma 5, c.c. è destinata ad operare non solo per i regolamenti futuri, ma anche per quelli attualmente in uso, facendo caducare tutti i divieti e le limitazioni vigenti. Del resto, secondo tale posizione dottrinaria, aderendo alla tesi contraria, la sua portata applicativa sarebbe estremamente ridotta e si tratterebbe dunque di una norma sostanzialmente priva di utilità. Infine, per tutte le considerazioni svolte, a parere di questo filone interpretativo, non sarebbe ammissibile la presunta derogabilità del divieto di cui all'art. 1138, ultimo comma c.c., da parte dell'assemblea dei condomini che decida con l'unanimità dei consensi. Chi invece critica l'impostazione adottata dal Tribunale di Cagliari, ritiene che la norma che vieta la detenzione di animali domestici sia stata inserita nell'art. 1138 c.c. che disciplina i regolamenti assembleari, perché si sarebbe voluto consacrare normativamente un principio assodato in giurisprudenza. Diverso è il caso del regolamento contrattuale predisposto dall'originario costruttore, richiamato negli atti di acquisto ed accettato dagli acquirenti, che può contenere divieti sui quali la riforma non può agire. Tale corrente di pensiero poggia anche sul fatto che la commissione Giustizia del Senato, in sede di approvazione della norma, aveva chiarito che il divieto non riguardava i regolamenti di natura contrattuale in coerenza con i principi dell'autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.) consentendo ai condòmini di deliberare limitazioni ai diritti dominicali loro spettanti. Per quanto riguarda la questione della irretroattività della legge, i sostenitori della tesi che restringe l'ambito di applicazione della norma de qua, ricordano che la legge non dispone che per l'avvenire, non dovendo dunque trovare applicazione per fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore. Vedremo quindi se la pronuncia in questione, che vale come tutte le pronunce solo per il caso deciso, reggerà al vaglio delle decisioni della Suprema Corte che certamente verrà adita per risolvere questa questione Quello che si può dire fin d'ora con certezza è che la pronuncia in commento vale solo ed esclusivamente per la fattispecie dedotta in giudizio, e cioè con specifico ed esclusivo riferimento all'eventuale clausola concernente il divieto di detenzione di animali domestici e art. 1138, ultimo comma, c.c., non certo per qualunque ipotesi di contrasto tra regolamenti contrattuali e qualsiasi norma della l. n. 220/2012. Cirla - Monegat, Il regolamento di condominio, in Compravendita, condominio, locazioni, 2017, 808; Gallucci, Il nuovo articolo 1138 c.c. e la controversa clausola sugli animali, in Il condominio negli edifici. La nuova disciplina dopo la riforma, Milano, 2013,470; Grasso, Il regolamento condominiale di natura contrattuale: limiti ed inderogabilità, in I Contratti, 2008, 794. |