È aiuto di Stato il credito d'imposta per incremento occupazionale in aree disagiate

25 Ottobre 2017

L'incentivo accordato per l'incremento occupazionale ha, senza alcun dubbio, significativi riflessi sul bilancio dell'impresa e, quindi...
Massima

L'incentivo accordato per l'incremento occupazionale ha, senza alcun dubbio, significativi riflessi sul bilancio dell'impresa e, quindi, non può negarsi la natura sostanziale di aiuto di Stato.

Il caso

Una società cooperativa a responsabilità limitata, impugnava il silenzio rifiuto dell'Agenzia delle Entrate, chiedendo il riconoscimento di un ulteriore credito d'imposta, ex art. 7 co. 10 L. n. 388/2000, per l'assunzione di lavoratori svantaggiati in Abruzzo e Campania.

Nello specifico il contribuente riteneva di non dover soggiacere alla cd. regola de minimis, che fissa in € 100.000,00, il tetto massimo del beneficio fruibile nel triennio.

La Commissione Provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che nel caso specifico, non erano applicabili le regole de minimis, in quanto le misure di carattere generale tese a salvaguardare l'occupazione, non si configuravano come aiuti di Stato.

Avverso la predetta decisione, l'Ufficio proponeva atto di appello presso la competente Commissione Regionale.

Il giudice del 2° grado accoglieva l'appello dell'Ufficio, osservando che il provvedimento di silenzio diniego serbato dall'Ufficio, non rientrava nel novero degli atti impugnabili di cui all'art. 19 D.Lgs n. 546/1992.

Sicché il diniego non era impugnabile e il ricorso introduttivo era inammissibile.

Stante quanto detto, il contribuente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Regionale.

Nello specifico, il ricorrente deduceva l'assoluta impugnabilità del silenzio diniego serbato dall'Agenzia, stante una lettura estensiva del su citato art. 19, nonché la spettanza di un ulteriore credito d'imposta per l'assunzione di lavoratori svantaggiati, in misura eccedente ai cd. minimi.

Si costituiva l'Ufficio, il quale chiedeva la conferma dell'impugnata decisione.

La Quinta Sezione della Suprema Corte, investita della controversia, riteneva errata la decisone del secondo giudice, in ordine all'impugnabilità dell'anzidetto diniego.

Difatti, a mente della lettera g) del citato art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, a fronte di una tempestiva istanza del contribuente, il diniego serbato dall'Ufficio, rientrava certamente nel novero dei provvedimenti impugnabili innanzi le Commissioni Provinciali.

Per ciò che attiene al credito d'imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate (v. art. 7, comma 10 L. n. 388/2000), invece, il Giudice di Legittimità sosteneva che trattasi di aiuto di Stato, destinato alle imprese e non ai lavoratori.

Stante quanto detto, per non incorrere nel divieto di cui all'art. 87 Trattato CE del 25 marzo 1957, è corretto il limite quantitativo istituito per il predetto credito, limite fissato nell'importo di € 100.000,00 nel triennio.

Le questioni

Le questioni giuridiche sottese nel caso in esame, sono essenzialmente due.

  • La prima verte sull'impugnabilità o meno del diniego, espresso o tacito, serbato dall'Ufficio, a fronte dell'istanza promossa dal contribuente, volta a conseguire un ulteriore credito d'imposta per incremento occupazionale in aree svantaggiate, oltre il limite previsto;
  • La seconda questione esaminata, invece, attiene alla natura giuridica del credito d'imposta di cui al comma 10 dell'art. 7 L. n. 388/2000 (incremento occupazionale in aree svantaggiate) e se, detto credito, rientri o meno nel novero degli aiuti di Stato ex art. 87 Trattato CE, con le consequenziali del caso (ossia limite quantitativo).
Le soluzioni giuridiche

Per la prima questione:

A fronte dell'istanza del contribuente volta a conseguire il credito ex art. 7 co. 10 L. n. 388/2000, in misura eccedente il limite quantitativo di € 100.000,00, l'Agenzia delle Entrate manifestava il proprio diniego.

Siffatto atto – trattasi di silenzio diniego – era oggetto di ricorso presso la competente Commissione Provinciale, ove era accolto il ricorso. All'opposto il Giudice di seconde cure accoglieva l'appello dell'Ufficio, ritenendo inammissibile il ricorso a suo tempo spiegato, poiché l'atto impugnato (diniego dell'Agenzia), non rientrava tra l'elencazione tassativa dell'art. 19 Decreto Legislativo n. 546/1992.

Come correttamente affermato dal Giudice di Legittimità nella sentenza oggi in commento, la mancata risposta dell'Ufficio all'istanza tesa ad ottenere un maggior credito di imposta per il triennio, rientra nel novero degli atti impugnabili, mente della lettera g) art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.

La giurisprudenza della Corte di Legittimità è, ormai, costantemente orientata nel senso che l'elencazione di detta norma processual tributaria, pur dovendosi ritenere tassativa, va interpretata in senso estensivo (v. Cass. civ., sez. trib. n. 17010/2012 e Cass. civ., n. 4513/2009).

Nella stessa direzione si è posta un'altra rilevante pronuncia di legittimità, ove si è ritenuto atto autonomamente impugnabile, anche la comunicazione di revoca del beneficio ex articolo 8 del Decreto 3 agosto 1998, n. 311 (v. Cass. civ., sez. trib. n. 3343/2013).

Per completezza di narrazione, si evidenzia che rimangono oggi esclusi dal sindacato del Giudice tributario, i soli atti a carattere interlocutorio o gli atti interni dell'Amministrazione (es. circolari).

Alla luce del citato indirizzo giurisprudenziale, deve propendersi per l'impugnabilità dell'atto di diniego emesso dall'Agenzia, a fronte dell'istanza intesa ad ottenere l'ulteriore credito d'imposta per l'incremento dell'occupazione, ai sensi della Legge n. 388/2010, art. 7.

Al fine di dare soluzione alla predette questione, occorre una breve disamina dell'art. 7 su citato.

Invero, l'art. 7 della L. 23 dicembre 2000, n. 388 – cosiddetta Legge Finanziaria 2001 – ha concesso un credito d'imposta ai datori di lavoro operanti nell'intero territorio italiano, che nel periodo compreso tra il 1° ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003, incrementano il numero dei dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia a tempo pieno sia part-time, purché i predetti lavoratori siano disoccupati da almeno 24 mesi.

In aggiunta al predetto credito, il comma 10, secondo periodo e seguenti, dell'art. 7 della L. n. 388/2000, ha concesso al datore di lavoro un ulteriore credito di imposta di 206,58 euro, per ciascun nuovo dipendente assunto nel periodo 1° gennaio 2001-31 dicembre 2003 e calcolato secondo le stesse regole dell'agevolazione principale, nel caso in cui il lavoratore sia destinato ad unità produttive situate in determinati territori, ossia cd. aziende ubicate in aree depresse del Paese.

Tale credito è stato poi prorogato dall'art. 63 L. n. 289/2002 (v. anche, Cass. civ., sez. trib., n. 15640/2013).

Trattasi delle aree svantaggiate, meglio individuate nell'art. 4 Legge n. 448/1998 e nelle aree di cui all'obiettivo 1 del regolamento (CE) n. 1260/1999, del Consiglio, del 21 giugno 1999, nonché in quelle delle regioni Abruzzo e Molise.

Detta agevolazione, è concessa nel rispetto delle disposizioni sugli aiuti de minimis, stabilite dalla Commissione della Comunità europea nella Comunicazione n. 96/C 68/06 e non può superare, per il periodo di imposta in cui è avvenuta l'assunzione e per i due successivi, l'importo di 180 milioni di vecchie lire nel triennio (poi portato ad Euro 100.000,00).

La predetta agevolazione, è stata dettata in conformità con l'art. 87, paragrafo 1 Trattato istitutivo delle Comunità europee del 25 marzo 1957 ed è volta a promuovere l'occupazione tramite la creazione di posti di lavoro.

Difatti, è principio consolidato nell'Unione Europea, caratterizzata dalla libera circolazione di merci e fattori della produzione, il divieto di aiuti di Stato alle imprese, che abbiano come effetto, quello di falsare la concorrenza.

Per la seconda questione:

Il contenzioso di cui sopra, origina dalla richiesta di una società, di beneficiare del credito d'imposta per incremento occupazionale in aree svantaggiate, in misura eccedente il limite quantitativo, previsto ex lege.

Il ricorrente giustificava la predetta richiesta, sulla base del fatto che il credito in parola, reca quali destinatari, i lavoratori (e non le imprese) e non rientra nel genus dei cd. aiuti di Stato di cui all'art. 87 Trattato CE.

Al fine di salvaguardare tale caposaldo del diritto comunitario, gli artt. 87 e 88 del Trattato CE, considerano illegittimi gli aiuti di Stato adottati in violazione della concorrenza e ne dispongono la restituzione.

Nel campo d'applicazione del citato art. 87, non rientrano i cd. aiuti “de minimis”, cioè quelli d'importo limitato che si ritiene non abbiano alcun potenziale effetto, sulla concorrenza e sugli scambi. Si tratta, in altre parole, d'incentivi pubblici erogati in favore di attività produttive con determinati massimali e in misura da non poter intaccare i principi comunitari della libera concorrenza. Destinatario di tali aiuti, è ogni entità, a prescindere della forma giuridica rivestita, che esercita un'attività economica (v. art. 1, Raccomandazione CE n. 361/2003).

Ciò detto e tornando al caso che ci occupa, occorre accertare se l'agevolazione prevista dal comma 10 dell'art. 7, rientri o meno nel novero degli aiuti di Stato.

Secondo un primo e minoritario indirizzo giurisprudenziale, il credito d'imposta previsto dall'art. 7 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, prorogato dall'art. 63 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, applicabile per il periodo 2000/2006, non è un aiuto di stato e non è quindi soggetto alla regola “de minimis (pari a Euro 100.000,00) di cui alla Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06 (v. Cass. civ., sez. trib. n. 2878/2013 e CTR L'Aquila – sez. Pescara 165/9/2010).

È bene evidenziare che tale ermeneutica, è oggi da considerarsi minoritaria e superata.

Difatti, è principio consolidato presso la Suprema Corte di Cassazione, che il credito d'imposta di cui al comma 10 dell'art. 7 L. n. 388/2000, soggiace al limite quantitativo dei 100.000,00 euro nel triennio (v. Cass. civ. n. 21145/2016), quale limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di Stato non incorrono nel divieto di cui all'art. 92 (poi, art. 87), paragrafo 1, del Trattato CE (v. Cass. civ., sez. trib., n. 15688/2017, Cass. civ. n. 21594/2015 e Cass. civ., n. 16734/2015).

Tale credito, infatti, come affermato anche dallo stesso Ente Impositore (v. Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11 /E del 13 febbraio 2003), rientra nell'ambito d'applicazione del criterio comunitario cd. de minimis, per il quale gli aiuti di Stato di esigua entità esulano dal campo di applicazione dell'art. 87, Paragrafo 1, del Trattato CE (v. Cass. Sez. Trib. 20245/2013 e Cass. Sez. Trib. 7361/2012) ed è cumulabile anche con altri benefici eventualmente concessi (v. Cass. Sez. Trib. 21605/2015).

Le conclusioni della Suprema Corte di Cassazione

In conformità con il citato indirizzo giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 27 settembre 2017, n. 22497, ha affermato che il bonus fiscale per incremento occupazionale ex comma 10, art. 7 L. n. 388/2000, è da considerarsi come aiuto di Stato e che a siffatto bonus, sono applicabili le regole del de minimis, in quanto le misure di carattere generale, tese a salvaguardare l'occupazione, non si configuravano come aiuti di Stato.

Osservazioni

Con la sentenza in commento, i Giudici della Sezione Tributaria prendono definitivamente posizione sul credito d'imposta per incremento occupazionale in aree svantaggiate.

Difatti i Giudici di legittimità affermano che il credito ex comma 10, art. 7, L. n. 388/2000 in parola, rientra nei cd. aiuti di Stato concessi alle imprese e che, posto che la predetta agevolazione fiscale soggiace alla regola dei cd. minimis (ossia una soglia quantitativa limite), non si pone in contrasto con la normativa comunitaria sovraordinata, ossia con l'art. 87 Trattato CE.

Talché i singoli Stati membri, nel legittimo esercizio dei propri poteri discrezionali, possono concedere alle imprese, singole agevolazioni fiscali a qualsiasi titolo (ad esempio, per investimenti, ricerca e sviluppo, formazione, promozione, incremento occupazionale, ecc..), purché in un bene delimitato arco temporale, non si superato un dato limite quantitativo.

Il più volte citato comma 10 dell'art. 7 L. n. 388/2000, infatti, non si pone in contrasto con il divieto di aiuti di Stato, atteso che detta normativa agevolativa, istituisce esclusivamente un credito d'imposta in misura limitata e non in rapporto al numero dei lavoratori effettivamente assunti.

Pertanto, a fronte di molteplici benefici occupazionali, detta misura non genera alcun effetto distorsivo al sistema della concorrenza.

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