Prelevamenti bancari non giustificati: per i professionisti non vige la presunzione legale

Matteo Pillon Storti
30 Ottobre 2017

Riguardo l'attività di accertamento fiscale e, in particolare, la presunzione legale disposta dall'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, relativa ai versamenti effettuati su c/c bancari intestati a professionisti o lavoratori autonomi permane l'obbligo, da parte di quest'ultimo di provare in modo analitico l'estraneità dei versamenti suddetti alla formazione del proprio reddito imponibile.
Massima

Riguardo l'attività di accertamento fiscale e, in particolare, la presunzione legale disposta dall'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, relativa ai versamenti effettuati su c/c bancari intestati a professionisti o lavoratori autonomi permane l'obbligo, da parte di quest'ultimo di provare in modo analitico l'estraneità dei versamenti suddetti alla formazione del proprio reddito imponibile. Contemporaneamente, vista la pronuncia della Corte Costituzionale n. 228/2014, per i lavoratori autonomi sottoposti ad accertamento fiscale precedentemente la data della sentenza suddetta, è valida retroattivamente la non applicabilità della presunzione legale di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600/1973, limitatamente ai prelevamenti bancari non giustificati (salvo il giudicato).

Il caso

La Corte di Cassazione ha deciso in merito ad un caso riguardante un avviso d'accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate – relativo all'anno d'imposta 2005 – con cui venivano rideterminati in aumento il reddito ai fini IRPEF e i ricavi ai fini IVA imputati ad un libero professionista.

Tale contestazione emergeva a seguito di una serie di verifiche dei conti correnti bancari intestati al contribuente, dalle quali emergevano alcune movimentazioni (prelevamenti e versamenti) che non venivano adeguatamente “riconciliati” in sede di contraddittorio endoprocedimentale.

Nel caso concreto, l'Amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione non solamente i versamenti ma, anche, i prelevamenti risultanti dai documenti bancari, considerandoli "compensi" conseguiti dall'attività libero professionale. Tale impostazione era coerente con quanto previsto dall'art. 32 d.P.R n. 600/1973 che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni bancarie, stabiliva che "sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche/accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni".

Il contribuente proponeva ricorso, in prima battuta, in commissione tributaria provinciale competente e, in un secondo momento, alla commissione tributaria regionale. Entrambi i giudici però concordavano nel rigettare il ricorso. Tali decisioni erano fondate sul fatto che il contribuente non aveva fornito alcun elemento concreto di riscontro circa i versamenti e i prelevamenti, documentati nei c/c bancari e oggetto di contestazione.

La Corte di Cassazione ha deciso con la sentenza n. 19806 del 9 agosto 2017, cassando la sentenza e rinviando alla commissione tributaria competente, in diversa composizione.

La Cassazione, richiamando quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, ha riaffermato il principio che prevede l'efficacia retroattiva della sentenza di accoglimento della questione di legittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale che impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l'applicazione della disciplina risultate dalla decisione anzidetta.

La questione

La questione deriva da un avviso d'accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione non solo i versamenti documentati nel c/c del professionista e non adeguatamente giustificati, ma anche i prelevamenti. Tale impostazione era coerente con il dettato normativo – art. 32 d.P.R. n. 600/1973 – in vigore alla data dell'emissione dell'avviso d'accertamento, nonché di entrambe le sentenze dei giudici di merito. È noto tuttavia l'intervento, sul tema, della Corte Costituzionale (sentenza n. 228/2014). Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della presunzione legale sancita dall'articolo suddetto e dell'inversione dell'onere della prova che ne deriva (derivava), il giudice delle leggi ha sancito l'illegittimità costituzionale della disposizione in oggetto limitatamente alle parole "o compensi".

A seguito di questa pronuncia, si sono create due tesi giurisprudenziali, in parte contrastanti.

La prima ritiene che la pronuncia di incostituzionalità abolisca, relativamente ai lavoratori autonomi, sia la presunzione riguardo i prelevamenti sia quella riguardante i versamenti.

Un'altra tesi, invece sostiene che la pronuncia di incostituzionalità riguardi esclusivamente la presunzione legale prevista relativamente ai prelevamenti.

Tale discrasia deriva da una possibile lettura isolata della motivazione della sentenza della Corte Costituzionale e del suo dispositivo. Tale “lettura isolata” potrebbe indurre a ritenere che la pronuncia di incostituzionalità si riferisca, con riguardo ai lavoratori autonomi, ad entrambe le presunzioni, ovvero sia a quella relativa ai prelevamenti che ai versamenti.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la suprema Corte ha innanzitutto confermato il principio secondo il quale il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione presentati nel ricorso introduttivo, come previsto dagli art. 18 e del D.Lgs. n. 546/1992. Con questa motivazione la suprema corte ha rigettato il primo motivo del ricorso, in quanto il ricorrente prospettava tale motivo per la prima volta in sede di giudizio di legittimità.

In secondo luogo, e in misura più ampia e articolata, la suprema corte ha confermato la tesi giurisprudenziale secondo la quale, in tema di accertamento, la presunzione legale di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600/1973 è valida, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale richiamata in precedenza, solo per i versamenti e non anche per i prelevamenti.

Con la sentenza oggetto del commento, la suprema Corte, infatti, ha ricordato innanzitutto come il tema sia dibattuto e vi siano pronunce della Cassazione stessa che propendono per la non applicabilità della presunzione legale sia per i prelevamenti che per i versamenti nei c/c dei professionisti. Fra queste sentenze, la suprema corte ha richiamato la sentenza Cass. civ., n. 23041/2015 la quale ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600/1973, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti, nella propria attività, dal contribuente che non ne dimostri l'inclusione nella base imponibile oppure l'estraneità alla produzione del reddito, si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi o professionisti intellettuali. A seguito della pronuncia suddetta quindi “non è più sostenibile l'equiparazione, ai fini della presunzione, tra attività d'impresa e professionale per gli anni anteriori".

Dopo aver ricordato tali prese di posizione, la sentenza n. 19806/2017 ha chiarito però come debba essere seguito e ribadito il diverso orientamento secondo cui "in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal d.P.R. n. 600/1973, art. 32 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi e' onerato di provare in modo analitico l'estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, l'equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti".

La sentenza oggetto di commento giunge a tale decisione analizzando la motivazione della sentenza della Corte Costituzionale ove sostiene che "la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito". Così facendo la Cassazione, seppur riconoscendo una qualche discrasia fra la motivazione e il dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale, sostiene che tale discrasia non comporta un contrasto tra le parti della pronuncia e, contemporaneamente, il giudizio di incostituzionalità riguarda solo i versamenti bancari e non anche i prelevamenti.

Dopo aver chiarito questo aspetto, la Suprema Corte, analizzando il caso concreto e richiamandosi ad ampia giurisprudenza (Cass. n. 4349/1995, Cass. n. 12779/2016), ribadisce l'efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento della questione di legittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale che impone anche nella fase di Cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l'applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta, salvo il limite del giudicato.

Osservazioni

La sentenza oggetto del presente approfondimento chiarisce alcuni aspetti ben definiti:

  • l'oggetto del contenzioso tributario è strettamente definito dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali statuiscono la “causa petendi” rispetto all'invocato annullamento dell'atto.
  • la presunzione legale prevista dall'art. 32 d.P.R. n. 600/1973, a seguito della sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, riguarda i versamenti effettuati su un conto corrente di un professionista o lavoratore autonomo e, quindi, è venuta meno l'equiparazione fra l'attività imprenditoriale e professionale riguardo i prelevamenti sui conti correnti.
  • la retroattività dell'efficacia della sentenza di accoglimento della questione di legittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale è valida e indiscutibile, salvo il limite del giudicato.