Nulla la clausola approvata a maggioranza che limita l’ utilizzo della proprietà esclusiva

07 Novembre 2017

Nella sentenza che si annota, la Cassazione interviene su una vicenda riguardante l'accertata nullità della delibera assembleare con la quale era stata approvata una clausola del regolamento di condominio che imponeva...
Massima

È nulla la delibera assembleare con la quale viene approvata una clausola del regolamento condominiale lesiva del diritto di proprietà dei singoli condomini, come quella volta a statuire il divieto ad esercitare l'attività turistico alberghiera.

Il caso

I proprietari di alcune unità facenti parte di un complesso immobiliare evocano in giudizio il condominio (in persona dell'amministratore pro-tempore) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dall'inutilizzabilità dei cespiti di loro proprietà derivante da una norma del regolamento condominiale, approvata dall'assemblea, con la quale era stato introdotto il divieto di destinare i locali di proprietà dei singoli condomini ad uso diverso da quello abitativo, ed in particolare, concederli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo. Al riguardo, veniva invocata dai medesimi istanti la risarcibilità del danno derivante dall'impossibilità di affittare anche per brevi periodi, i vani di loro proprietà ai clienti dello stabilimento balneare ubicato nelle immediate vicinanze del condominio e da essi gestito, nel periodo di vigenza della suddetta disposizione regolamentare fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la nullità della delibera assembleare con la quale era stata approvata.

La questione

La quaestio iuris devoluta all'attenzione dei giudici di legittimità attiene alla corretta individuazione del perimetro di operatività del divieto enunciato dalla disposizione regolamentare introdotta dalla delibera assembleare dichiarata nulla. Il divieto riguarda esclusivamente l'affitto degli immobili sotto forma di pensione od albergo, o tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, compresa la locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi in assenza di uno specifico ed espresso divieto della cessione di godimento delle singole unità per soggiorni a carattere saltuario?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione respinge il ricorso, riprendendo le motivazioni espresse dai giudici di merito, con le quali era stato stabilito che la nullità della delibera assembleare che aveva approvato la norma del regolamento condominiale che statuiva il divieto in parola, perché lesivo delle prerogative dei singoli condomini, essendo illegittimamente invasivo delle facoltà connesse al diritto di proprietà individuale, non precludeva la possibilità di locare i singoli cespiti ad uso abitativo per brevissimi periodi, stante il palese tenore complessivo della stessa clausola annullata che faceva divieto di destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell'immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto è fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo, con ciò mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorchè fossero stati destinati a pensione od albergo rispetto all'uso non abitativo in generale.

In definitiva, i giudici di legittimità hanno constatato che la clausola del regolamento condominiale di cui alla delibera assembleare annullata non si riferiva ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell'immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, era certamente consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato dal fatto che la suddetta clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi istanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall'esercizio della preclusa attività alberghiera.

In ordine alla prova del nesso di causalità tra la previsione regolamentare contestata e poi venuta meno con l'annullamento della delibera assembleare che l'aveva introdotta e la dedotta impossibilità di destinare le unità immobiliari possedute all'esercizio di un'attività alberghiera sulla cui scorta potere invocare l'effettiva sussistenza di un danno economico, la Cassazione precisa che nella fattispecie esaminata, dall'interpretazione della clausola del regolamento condominiale non poteva derivare nessun danno ai ricorrenti per il fatto che da un lato questi non avevano la licenza alberghiera e, che, dall'altro, potevano sfruttare economicamente gli immobili di loro proprietà attraverso la locazione stagionale che il regolamento condominiale non vietava.

Osservazioni

La sentenza in commento enuncia il principio giurisprudenziale che l'assemblea del condominio non può vietare la destinazione dei locali di proprietà esclusiva ad uso diverso di privata abitazione e, tanto meno, vietare di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo, nel senso che, se in astratto è illegittimo un regolamento condominiale che vieti una particolare destinazione agli immobili di proprietà esclusiva, in concreto tale illegittimità certamente ricomprende quella di vietare l'affitto sotto forma di pensione o di albergo.

Inoltre i giudici di legittimità confermano quanto già acclarato nei precedenti gradi di giudizio circa la mancanza del presupposto stesso del danno, in quanto l'unica attività che il regolamento vietava era l'esercizio dell'attività alberghiera che i ricorrenti comunque non potevano svolgere perchè non erano in possesso della licenza per esercitare tale attività.

Il caso affrontato nella sentenza in commento riguarda una clausola del regolamento approvato dall'assemblea con la prescritta maggioranza, non quello di natura contrattuale, predisposto, di regola, dall'unico originario proprietario dell'edificio condominiale.

L'importanza della distinzione tra le due ipotesi di regolamento emerge nel caso in cui la norma regolamentare imponga limiti all'uso od alla destinazione della proprietà esclusiva individuale.

La differenza tra le due tipologie di regolamento - contrattuale ed assembleare - è nel fatto che quest'ultimo non può imporre limitazioni alla proprietà individuale, salvo il caso in cui non si tratti di regolamento approvato dall'assemblea all'unanimità.

Le norme contenute nei regolamenti condominiali posti in essere per contratto possono dunque imporre limitazioni al godimento ed alla destinazione di uso degli immobili in proprietà esclusiva dei singoli condomini, ma le disposizioni contenute nello stesso regolamento condominiale contrattuale che si risolvano nella compressione delle facoltà e dei poteri inerenti al diritto di proprietà dei singoli partecipanti, devono essere espressamente e chiaramente manifestate dal testo o, comunque, devono risultare da una volontà desumibile in modo non equivoco da esso (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707; Cass. civ., sez. II, 28 dicembre 2009, n. 27392).

Pertanto, le disposizioni del regolamento condominiale e la relativa delibera assembleare, adottate non all'unanimità ma a maggioranza, le quali pregiudichino i diritti di un condominio risultanti dall'atto originario del suo acquisto sono radicalmente nulle (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2015, n. 5657).

Infatti nell'ambito dei regolamenti condominiali vanno distinte le clausole con contenuto tipicamente regolamentare dalle clausole contrattuali le quali devono essere approvate all'unanimità, essendo fuori discussione che una clausola, che limita ad un determinato uso un immobile escludendo gli altri possibili, costituisce una limitazione del diritto di proprietà.

Ciò premesso, nella fattispecie, la Cassazione si è limitata a confermare le conclusioni dei giudici di merito, rilevando l'inesistenza di un danno risarcibile in quanto la disposizione annullata dal giudice di prime cure, lesiva delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasiva delle facoltà connesse al diritto di proprietà individuale, tuttavia, non precludeva la possibilità di locare i vani ad uso abitativo anche per brevissimi periodi. Il divieto in parola riguardava infatti esclusivamente la concessione in locazione degli immobili sotto forma di pensione o albergo, mentre erano consentite tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, ivi comprese le locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi, che di fatto, rappresentavano la forma usuale di sfruttamento degli immobili degli stessi ricorrenti. Ciò, veniva acclarato per effetto dell'istruttoria nel corso della quale era emerso che i ricorrenti non avevano mai utilizzato i loro appartamenti per pensione od albergo stante l'ubicazione degli stessi cespiti che si adattavano a locazioni stagionali.

Conseguentemente, giustamente il ricorso è stato rigettato perché non risultava provato che la vigenza della disposizione avesse recato danno ai medesimi istanti, attesa, da un lato, la possibilità di mantenere le abituali forme di sfruttamento economico delle unità abitative di proprietà e, dall'altro, la mancata documentazione del possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività alberghiera.

Guida all'approfondimento

M. De Tilla, Il regolamento contrattuale di condominio e le limitazioni alla destinazione delle unità immobiliari, in Archivio delle locazioni e del condominio, 2010, pag. 284

M. Ceolin, Regolamenti di condominio e vincoli di destinazione, anche alla luce del nuovo art. 2645 ter c.c., in Rivista del notariato, 2009, pag. 873

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