Omesso versamento: la dichiarazione 770 basta per l'adozione delle misure cautelari

Francesco Brandi
21 Novembre 2017

In tema di omesso versamento di ritenute certificate è richiesta per un giudizio di colpevolezza la prova del rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, non essendo sufficiente la dichiarazione proveniente dal datore di lavoro.
Massima

In tema di omesso versamento di ritenute certificate, se per i fatti antecedenti alla modifica apportata dall'art. 7 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, all'art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è richiesta per un giudizio di colpevolezza la prova del rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, non essendo sufficiente la dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), la sussistenza del "fumus commissi delitti", ai fini dell'applicazione del sequestro preventivo per equivalente, può, tuttavia, essere desunta anche dalla indicata dichiarazione o da altri elementi, purché se ne fornisca motivazione adeguata.

Il caso

La vicenda riguarda un provvedimento di sequestro preventivo emesso, in relazione ai reati di omesso versamento di ritenute certificate ed IVA ex artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e confermato in sede di riesame

Col successivo ricorso in Cassazione l'imputato denunciava violazione dell'art. 10-bis, D.Lgs. n. 74/2000 in quanto l'assenza delle certificazioni attestanti l'avvenuta trattenuta in qualità di sostituto di imposta doveva far escludere l'esistenza del fumus del reato contestato.

Infatti il solo modello 770 non dimostra la sussistenza del reato e non ne costituisce neppure indizio, posto che lo stesso modello 770 non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni.

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda l'interpretazione dell'art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000, in particolare se sia sufficiente, in sede cautelare, desumere il fumus commissi delicti solamente dalla dichiarazione 770 in possesso dell'Amministrazione finanziaria o se sia invece necessario provare in modo specifico, anche in tale sede, il rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Sul punto si ricorda che, a seguito del D.Lgs. n. 158/2015 è stata modificata la struttura del reato de quo: con tale modifica la prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) può risultare anche dalla sola dichiarazione del sostituto.

Trattandosi di una norma più sfavorevole, la stessa comunque non si applica ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Le soluzioni giuridiche

Nel rigettare la specifica questione, la Cassazione richiama un proprio precedente (n. 48591/2016) secondo cui “in tema di omesso versamento di ritenute certificate, se per i fatti antecedenti alla modifica apportata dall'art. 7 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, all'art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è richiesta per un giudizio di colpevolezza la prova del rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore dì lavoro, non essendo sufficiente la dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), la sussistenza del "fumus commissi delicti", ai fini dell'applicazione del sequestro preventivo per equivalente, può, tuttavia, essere desunta anche dalla indicata dichiarazione o da altri elementi, purché se ne fornisca motivazione adeguata”.

Nel caso di specie l'omesso pagamento delle somme, indicate nel modello 770, è rilevabile dagli atti trasmessi dall'Agenzia delle Entrate: ciò non toglie che, in sede di giudizio l'accusa dovrà provare anche il rilascio delle certificazioni; ma in sede cautelare è sufficiente anche un giudizio probabilistico in ordine al rilascio delle certificazioni desumibile dalle comunicazioni dell'ufficio fiscale e motivato in maniera congrua dal provvedimento impugnato.

Osservazioni

La sostituzione d'imposta è lo strumento impositivo (sul punto cfr. Cass. pen., ss.uu. n. 37425/2013) con cui l'Amministrazione finanziaria invece di rivolgersi direttamente al percettore del reddito, nonché per evitare di doversi rivolgere ad una platea troppo estesa di contribuenti, incassa il tributo da un altro soggetto (sostituto di imposta) che eroga gli emolumenti in virtù della maggiore affidabilità dello stesso; il sostituto è il soggetto tenuto al pagamento del tributo in luogo di un altro (soggetto passivo e realizzatore del presupposto, c.d. sostituito) attraverso l'obbligatorio prelievo di una percentuale (c.d. ritenuta) della somma erogata al sostituito.

Tale meccanismo comporta l'assolvimento di alcuni obblighi strumentali a carico del sostituto che deve rilasciare ai propri dipendenti il Cud, previsto dall'art. 4 del d.P.R. n. 322/1998, che certifica l'ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate, in modo da permettere al soggetto passivo di documentare e di dimostrare il prelievo subìto, nonché presentare, annualmente, una dichiarazione unica di sostituto d'imposta, dalla quale risultano tutte le somme pagate e le ritenute operate nell'anno precedente (modello 770).

Per quanto concerne la struttura del reato di omesso versamento di ritenute certificate, si tratta di un reato omissivo, proprio, istantaneo, integrato dal mero mancato compimento di un'azione dovuta, ovvero dal mancato versamento, per un importo superiore a 50 mila euro, delle ritenute complessivamente operate nell'anno di imposta e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Infatti la fattispecie incriminatrice punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta.

Come già chiarito dai supremi giudici con la sentenza 40526 del 1° ottobre 2014, il reato in parola può dirsi integrato solo nel caso in cui il sostituto d'imposta rilasci le certificazioni ma non versi le somme trattenute a titolo di ritenuta entro i termini per la presentazione della dichiarazione annuale. La prevalente dottrina e le Sezioni Unite (sentenza n. 37425/2013) hanno infatti individuato l'elemento specializzante della fattispecie criminosa prevista dall'art. 10-bis nel rilascio della certificazione al sostituito, “con la conseguenza che la norma penale non può trovare applicazione non soltanto quando il sostituto non abbia operato le ritenute, ma anche quando questi non abbia rilasciato la certificazione, oltre che nel caso in cui abbia rilasciato la certificazione in un momento successivo alla scadenza del termine per effettuare il versamento. Gli elementi costitutivi della fattispecie, necessari per attribuire rilevanza penale alla condotta omissiva sono, quindi, costituiti dalle parti di condotta attiva comprendenti tanto l'effettuazione della ritenuta quanto la successiva emissione della certificazione”.

Venendo, infine, al tema dell'elemento soggettivo, il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico: sul punto la Cassazione ha evidenziato che “per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia dei cinquantamila euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto … che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi. Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il sostituto d'imposta effettua tali erogazioni, insorge, quindi, a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria” (Cass. pen. n. 37425/2013).

In questo contesto ha scarsa rilevanza pratica stabilire se il rilascio della certificazione sia elemento costitutivo del reato (che, come specificato, è di pura omissione) piuttosto che presupposto del fatto: si tratta comunque di un elemento che va dimostrato ai fini dell'integrazione del reato.

Il Rilascio della certificazione

Le maggiori contestazioni nei procedimenti penali relativi a tali reati attengono oltre che al riconoscimento, quale esimente, della c.d. crisi di liquidità, alla prova del rilascio delle certificazioni. La questione che si pone è se può ritenersi indizio sufficiente (grave, preciso e concordante) la sola presentazione, da parte del datore di lavoro, del modello 770.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità era fortemente divisa.

Infatti secondo una parte delle pronunce la prova del rilascio delle certificazioni può essere fornita in via presuntiva attraverso i dati della dichiarazione 770 presentata dallo stesso datore di lavoro. Secondo questo orientamento “nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, […] può essere fornita dal pubblico ministero anche mediante prove documentali, testimoniali o indiziarie” (cfr. Cass. n. 19454 e n. 20778/2014, n. 33187/2013 e n. 1443/2012). In altri termini questa giurisprudenza ammette la possibilità di provare anche in via indiretta il rilascio della certificazione, ricorrendo ad elementi “equipollenti”.

A tal proposito il modello 770 rappresenta un elemento “privilegiato” in quanto contiene le attestazioni, provenienti dallo stesso datore di lavoro, relative alle ritenute operate che si presume siano state inserite nelle certificazioni (CUD) rilasciate ai sostituiti. Come ben spiegato dalla pronuncia di legittimità n. 19454 del 12 maggio scorso “non è quindi necessario verificare, sostituito per sostituito, se questi ultimi abbiano ricevuto l'attestazione (Mod. CUD o altro) da parte del sostituto, poiché la presentazione della dichiarazione Mod. 770, con allegate le attestazioni nominative, è indice inequivocabile delle operate ritenute e delle rilasciate certificazioni”.

La questione si sposta quindi sulla ripartizione e sull'assolvimento dell'onere probatorio, spettando al pubblico ministero la prova dei fatti costitutivi del reato, tra cui il rilascio delle certificazioni (prova che può assolvere in via documentale, testimoniale o indiziaria); l'imputato deve provare i fatti modificativi o estintivi che paralizzino la pretesa punitiva, “con la conseguenza che la pura e semplice affermazione di non avere rilasciato le certificazioni ai sostituiti o di non aver retribuito i dipendenti, e di conseguenza neppure operato le ritenute, non è idonea all'assolvimento dell'onere probatorio a suo carico e dunque non lo esonera dalle responsabilità, al cospetto di prove documentali provenienti dallo stesso imputato o testimoniali, che a queste si riferiscano, che comprovino l'esatto contrario”.

L'altro filone giurisprudenziale (cfr. ex multis Cass. n. 40526/2014) prende le mosse dalla diversità ontologica e funzionale della dichiarazione 770 rispetto alle certificazioni. La certificazione delle ritenute è regolata dal d.P.R. n. 322/1998, art. 4, comma 6-ter, ed ha la funzione di attestare l'importo delle somme corrisposte dal sostituto di imposta e delle ritenute da lui operate. La dichiarazione mod. 770 è invece disciplinata dal d.P.R. n. 322/1998, art. 4, comma 1 e segg., ed è destinata ad informare l'Agenzia delle Entrate delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate sulle stesse e del loro versamento all'erario.

Di conseguenza sarebbe impossibile desumere, dai dati riportati nel modello 770, il concreto rilascio, ad uno o più sostituiti di imposta, del relativo certificato.

La presentazione del modello 770 può costituire indizio sufficiente o prova dell'avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate. Non può invece costituire altresì indizio sufficiente o prova di avere anche rilasciato le certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni. Di conseguenza non si può ritenere che tutto quello che è stato dichiarato, sarebbe stato per ciò stesso necessariamente anche certificato.

L'impossibilità di poter ritenere la presentazione del modello 770 come prova o indizio sufficiente dell'avvenuto rilascio delle certificazioni deriverebbe anche da altre ragioni.

Innanzitutto, come si evince dall'art. 192 c.p.p., perché un fatto possa ritenersi provato occorre che la sua esistenza sia desunta da più indizi, gravi, precisi e concordanti. Nel caso in esame, la prova dell'avvenuto rilascio delle certificazioni dovrebbe invece essere dedotta da un solo indizio, rappresentato appunto dalla presentazione del modello 770. Secondo la Cassazione penale, infatti, la prova indiziaria di cui all'art. 192 c.p.p., comma 2, deve essere costituita da più indizi, e non da uno solo di essi, e i molteplici indizi, nel loro insieme, devono essere univocamente concordanti rispetto al fatto da dimostrare, nonché storicamente certi e rappresentativi di una rilevante contiguità logica con il fatto ignoto; l'indizio è, di per sé, isolatamente considerato, inidoneo ad assicurare l'accertamento dei fatti. Esso acquista valore di prova solo se e quando ricorra l'eccezione espressa dal legislatore nella proposizione subordinata, vale a dire quando plurimi indizi, riferibili ciascuno in sé e separatamente considerato ad una molteplicità di cause o di effetti, possano essere tutti significativamente riferiti ad una sola causa e ad un solo effetto loro comune (cfr. Cass. n. 40061/2012, n. 702/2000, n. 736/1995). Applicando tale principio al caso di specie deve desumersi che la sola presentazione del modello 770 non è di per sé in grado di provare in maniera univoca il fatto che le certificazioni siano state consegnate ai dipendenti.

Anche un dato letterale oltre che empirico sorreggerebbe una tale conclusione: la valenza indiziaria della sola presentazione del modello 770, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni, non solo non è sorretta da alcuna massima di esperienza e dall'id quod plerumque accidit, ma è anche implicitamente, ma indiscutibilmente, esclusa dal legislatore, che altrimenti avrebbe molto più semplicemente punito con la sanzione penale l'omesso versamento (oltre una certa soglia) di ritenute risultanti dal modello 770 e non già di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti (cfr. Cass. n. 40526/2014).

Nell'ambito del D.Lgs. n. 158/2015 si segnalano le modifiche introdotte al sistema sanzionatorio previsto in materia di omesso versamento di ritenute dovute o certificate. Nel merito, il nuovo art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, in vigore dal 22 ottobre, prevede che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta”. Basterà, quindi, l'omesso versamento di ritenute dovute superiore alla nuova soglia, innalzata dai precedenti 50mila euro agli attuali 150mila euro per ciascun periodo d'imposta, per far scattare il reato, a prescindere dall'aver o meno certificato le ritenute stesse. La prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) può, quindi, anche risultare dalla sola dichiarazione del sostituto.

In applicazione del principio del favor rei, tale previsione sarà immediatamente applicabile anche per i reati commessi in precedenza che, nel caso non superino la soglia di punibilità (attualmente pari a 150mila euro), vengono ora depenalizzati.

In altri termini l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 158/2015 ha apportato alcune modifiche all'art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, che disciplina i reati tributari. In particolare, c'è stata un'estensione della portata della norma ed una contestuale riformulazione della rubrica ora titolata "omesso versamento di ritenute dovute o certificate". La prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) può ora prescindere dalla copia delle certificazioni rilasciate dal datore di lavoro al sostituito, ben potendo risultare dalla dichiarazione dei redditi.

La riforma dei reati tributari, inoltre, ha triplicato la soglia di punibilità che passa da 50 mila a 150 mila euro per ciascun periodo d'imposta. La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, si è quindi trovata a rispondere al quesito se la nuova riformulazione dell'art. 10-bis debba essere applicata anche a fatti che si sono verificati prima dell'entrata in vigore della riforma.

Il caso posto all'attenzione della Corte di Cassazione riguardava un imprenditore che era stato condannato sia in primo grado che in appello, per il reato di omesso versamento di ritenute, proprio perché non le aveva versate per il periodo d'imposta 2008, per un importo complessivo di oltre 300 mila euro. La Corte d'Appello ha rilevato come, in presenza della dichiarazione 770, dovesse ritenersi provato il presupposto dell'omissione penalmente sanzionata, e dunque l'elemento oggettivo, mentre quello soggettivo sarebbe stato dimostrato dalla mancata prova dell'impossibilità di adempiere al versamento da parte dell'imprenditore.

Egli ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sottolineando come la presentazione del modello 770, pur idonea a fornire la prova del mancato versamento delle ritenute operate, non sarebbe comunque stata in grado di escludere che le certificazioni non erano mai state rilasciate. La Corte Suprema, accogliendo il ricorso dell'imprenditore, ha precisato innanzitutto che la prova dell'elemento costitutivo del reato di omesse ritenute non può essere costituita dalle dichiarazioni contenute nel modello 770 del datore di lavoro. Ne consegue che tale modello può costituire solamente una prova dell'avvenuto versamento delle retribuzioni, ma non una prova di aver rilasciato le certificazioni ai sostituiti prima del termine stabilito per presentare la dichiarazione, così come aveva invece ritenuto la Corte d'Appello. Al contrario, le certificazioni devono essere emesse solo quando il datore ha provveduto a versare le ritenute.

A detta degli Ermellini è quindi evidente la differenza tra la dichiarazione modello 770 e la certificazione rilasciata ai sostituiti, perché sono disciplinati da diverse fonti e rispondono a finalità diverse. La Corte di Cassazione ha riconosciuto, quindi, l'esistenza di una successione di leggi penali nel tempo e ha concluso che, poiché il nuovo articolo 10-bis costituisce una norma più sfavorevole per l'imputato, essa è soggetta al principio del "tempus regit actum", e quindi non trova applicazione al caso di specie. I giudici di legittimità, con sentenza n. 7884 del 26 febbraio hanno quindi annullato la condanna dell'imprenditore, dato che il nuovo reato di omesso versamento di ritenute non può essere applicato retroattivamente.