Trattenute sui trattamenti di quiescenza: salvati dalla Corte Costituzionale

Marilena Masciadri
04 Dicembre 2017

Dopo il contributo di solidarietà sulle “pensioni d'oro”, la Corte costituzionale salva anche le trattenute sui trattamenti di quiescenza degli ex dipendenti della Camera dei deputati.
Massima

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 486 e 487, L. n. 147/2013, sollevata dalla Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei deputati in riferimento, in particolare, agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto il comma 487 non impone agli organi costituzionali l'applicazione del contributo di solidarietà disciplinato dal comma 486 del medesimo articolo al proprio personale in quiescenza, ma demanda alla loro autonomia di provvedere a un risparmio di spesa, anche tramite interventi sui trattamenti pensionistici, in base «ai principi di cui al comma 486» e non alle regole da esso dettate.

Ciò in una logica di partecipazione al sacrificio imposto ai pensionati delle gestioni previdenziali obbligatorie e mediante un'operazione, di durata limitata nel tempo ed eccezionale, incidente sugli importi più elevati secondo un criterio di progressività e in base ad aliquote ragionevoli.

Il caso

La Commissione giurisdizionale per il personale della Camera dei deputati – adita da alcuni ex dipendenti per ottenere l'annullamento della delibera con la quale l'Ufficio di Presidenza di quella Camera aveva disposto la decurtazione delle loro pensioni e il versamento del risparmio così realizzato all'entrata del bilancio dello Stato – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 486 e 487, L. n. 147/2013 in riferimento, tra l'altro, agli artt. 3 e 53 Cost. Il rimettente sostiene che il «contributo di solidarietà» introdotto dalle due disposizioni censurate, in combinato disposto, incide ingiustificatamente solo su una ristretta platea di destinatari, per di più con caratteri tali da farne presumere la natura tributaria, provvedendo a una decurtazione definitiva del trattamento pensionistico – con acquisizione del relativo ammontare al bilancio dello Stato – lesiva del fondamentale principio di uguaglianza “a parità di reddito”, violato anche in ragione dell'entità del prelievo, consistentemente maggiore rispetto al distinto «contributo di solidarietà» richiesto a tutti i percettori di reddito dal comma 590 del medesimo articolo.

La questione

Il tema che si agita sullo sfondo della pronuncia in commento è rappresentato dalla natura giuridica delle trattenute sui trattamenti pensionistici, variamente previsti dalla Legge di Stabilità 2014.

In particolare, due sono le disposizioni che vengono in rilievo (il comma 590 è richiamato solo a fini comparatistici): il comma 486 – che, a decorrere dal 2014, e per un periodo di tre anni, prevede un prelievo progressivo sulle pensioni superiori a certi multipli del trattamento minimo INPS, il cui provento è mantenuto all'interno del sistema previdenziale – e il comma 487, secondo cui gli organi costituzionali, nell'esercizio della propria autonomia, possono prevedere misure di contenimento della spesa «sulla base dei principi di cui al comma 486», con destinazione di quanto risparmiato al bilancio dello Stato.

Nelle precedenti occasioni in cui è stata chiamata a occuparsi delle norme in considerazione, la Corte costituzionale non ha riconosciuto la natura tributaria delle misure da esse contemplate.

Infatti, scrutinando il comma 486, ha ritenuto che la trattenuta ivi prevista costituisse una prestazione patrimoniale imposta per legge ma non tributaria, in quanto volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale, con il fine di contribuire agli oneri finanziari dello stesso (sentenza n. 173/2016); valutando il comma 487 – impugnato in via principale da alcune autonomie speciali, che reclamavano la spettanza del provento delle misure di risparmio in ragione dell'autonomia finanziaria garantita dagli Statuti e dalla normativa di attuazione, attributiva della compartecipazione al gettito dei tributi erariali – ha affermato che la natura tributaria non era stata “dimostrata” (sentenza n. 254/2015).

Le soluzioni giuridiche

Chiamata nuovamente – stavolta in via incidentale – a occuparsi delle menzionate disposizioni, la Corte costituzionale – dopo aver riconosciuto alla Commissione rimettente la legittimazione a sollevare l'incidente di costituzionalità, in quanto organo di autodichia chiamato a svolgere, in posizione di imparzialità, funzioni giurisdizionali per la decisioni di controversie per l'obiettiva applicazione della legge – ha dichiarato non fondata la questione in ragione dell'erroneo presupposto interpretativo da cui ha preso le mosse il rimettente. Questi, in particolare, ha erroneamente ritenuto che il comma 487 imponesse l'applicazione del «contributo di solidarietà» come disciplinato dal precedente comma 486 e, dunque, la trattenuta da esso prevista. La norma, viceversa, si è limitata a rimettere all'autonomia degli organi costituzionali – senza che sia ravvisabile un obbligo in tal senso – di provvedere a un risparmio di spesa, anche tramite interventi sui trattamenti di quiescenza del proprio personale, purché nel rispetto dei principi di cui al comma precedente. Ne deriva che l'operazione doveva avere durata limitata nel tempo e carattere di eccezionalità, nonché incidere sugli importi pensionistici più elevati, in base a un criterio di progressività e ad aliquote ragionevoli.

A tali principi, secondo la Corte, si è attenuta la delibera dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, impugnata nel giudizio a quo.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento la Corte Costituzionale trascura nuovamente l'orientamento consolidatosi nella sua stessa giurisprudenza in ordine agli elementi identificativi del tributo.

Al riguardo, si rammenta che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono sostanzialmente tre:

  1. la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo;
  2. la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico;
  3. le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire pubbliche spese (tra le tante, sentenza n. 70/2015).

Come si è già sostenuto – si veda M. Masciadri, Il mimetismo criptico del contributo di solidarietà sulle “pensioni d'oro” e la sua vera natura tributaria (commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016), in questa rivista, Focus del 12 dicembre 2016 – la trattenuta prevista dall'art. 1, comma 486, L. n. 147/2013 integra i requisiti necessari perché le fosse riconosciuta natura tributaria, viceversa negata dalla Corte costituzionale in ragione della destinazione del provento all'interno del sistema previdenziale.

Chiamata ora a scrutinare in via incidentale il comma 487, che ai principi espressi da quello immediatamente precedente rinvia, la Corte non ribadisce l'atteggiamento agnostico della sentenza n. 254/2015 – in cui aveva ritenuto indimostrata la natura tributaria delle misure di risparmio ivi previste – e si rifugia nell'erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, ritenendo coincidente il contenuto delle due norme.

Eppure la decurtazione dei trattamenti pensionistici degli ex dipendenti della Camera dei deputati coincide strutturalmente con il contributo di solidarietà – anche per l'ossequio, che la Corte si premura di rilevare, ai principi del comma 486 – e non può non trovare fondamento nel comma 487, tra le «misure di contenimento di spesa» ivi contemplate, se non altro perché occorre rinvenire una «base» legislativa, ai sensi dell'art. 23 Cost., della delibera che l'ha introdotta. In questo caso, tuttavia, diversamente dal «contributo di solidarietà», non può soccorrere il preteso discrimine rappresentato dal mantenimento del prelievo all'interno del sistema previdenziale, visto che, nella fattispecie, il risparmio è destinato a essere acquisito al bilancio dello Stato e quindi, senza dubbio alcuno, a sovvenire pubbliche spese. Dunque, alla prestazione, imposta in base al censurato comma 487 dall'Ufficio della Presidenza della Camera dei deputati, si sarebbe dovuta riconoscere natura tributaria, scrutinando la norma a suo fondamento alla stregua dei parametri conferenti, puntualmente evocati dal rimettente.

Diversamente, la Corte sembra aver individuato, nell'erroneità del presupposto interpretativo della necessaria applicazione del «contributo di solidarietà» da parte degli organi costituzionali, un commodus discessus per evitare un ostacolo altrimenti difficilmente sormontabile e, al contempo, liberarsi dalla preoccupazione che la trattenuta possa essere altrimenti messa in discussione, sancendone la conformità ai principi di cui al comma 486, seppur ribadendo che deve trattarsi di un'operazione «limitata nel tempo ed eccezionale». Bontà sua.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.