Applicabilità degli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 anche ai contratti ad uso diverso dall'abitazione?
04 Dicembre 2017
Massima
Nel regime ordinario delle locazioni urbane, la disciplina di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera per i contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Nelle locazioni di immobili urbani, per quanto attiene alla predeterminazione della gravità dell'inadempimento del conduttore, ai fini della risoluzione del contratto, l'art. 5 non è direttamente applicabile alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione. Detto criterio legale - mancato pagamento del canone dopo venti giorni dalla scadenza - può tuttavia essere preso in considerazione come parametro di orientamento, per valutare in concreto, a norma dell'art. 1455 c.c. se l'inadempimento del conduttore sia stato o meno di scarsa importanza. Il caso
La fattispecie all'esame della Corte, riguardava un'intimazione di sfratto per morosità ad una società a responsabilità limitata, parte conduttrice di un immobile ad uso diverso dall'abitazione, cui il locatore addebitava il mancato pagamento dei canoni per tre mesi consecutivi, per un totale di € 37.500 oltre ad Iva. Il Tribunale in primo grado, e la Corte d'appello poi, avevano rigettato l'opposizione, dichiarando la risoluzione del contratto, ma la conduttrice presentò ricorso avanti la Cassazione per due ordini di motivi. Con il primo motivo, essa assumeva che, avendo sanato la morosità prima dell'udienza di convalida dello sfratto, il giudice avrebbe errato nel ritenere inapplicabile al contratto di locazione ad non uso abitativo, l'art. 55 della l. n. 392/1978, e quindi l'istituto della sanatoria. Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava che la Corte territoriale, nel ritenere la gravità dell'inadempimento, si era richiamata all'art. 5 della l. n. 392/1978, inapplicabile alla fattispecie. Le questioni
a) Inapplicabilità dell'istituto della sanatoria alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo. In verità, su questo punto, la giurisprudenza ha seguito un orientamento non univoco. In un primo tempo, infatti, aveva escluso che nei rapporti locatizi con destinazione non abitativa, fosse applicabile l'istituto della sanatoria, ma successivamente aveva mutato indirizzo. A comporre il dissidio, si pronunciò la Cassazione a Sezioni Unite che confermò l'orientamento che riteneva inapplicabile l'art. 55 della l. n. 392/1978, alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo b) Inapplicabilità dell'art. 5 della l. n. 392/1978, alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo. Su questo punto, l'orientamento giurisprudenziale ha avuto un percorso univoco sin dalle prime applicazioni della normativa di cui alla l. n. 392/1978, osservando, tuttavia, che il giudice del merito avrebbe potuto utilizzare a propria discrezione, ricorrendone i presupposti, l'art. 5 della l. n. 392/1978, quale criterio per la valutazione della gravità dell'inadempimento.
Le soluzioni giuridiche
Nella fattispecie considerata, la Cassazione ha avuto buon gioco a ritenere infondati i motivi addotti dalla ricorrente, potendo avvalersi di una giurisprudenza ormai consolidata, con motivazioni di base che sono divenute bagaglio culturale inattaccabile di ogni giurista. La questione della sanatoria, come quella relativa all'applicabilità dell'art. 5 ad entrambe le tipologie di locazione, strettamente collegata alla prima, ha seguito un iter complesso, contraddittorio, divergente, che ha visto contrapposte le due tesi, fino all'intervento delle Sezioni Unite che hanno messo la parola fine a questa divergenza di opinioni che sembrava insanabile. In un primo tempo, la Cassazione si era infatti posta la questione se il criterio per la determinazione della gravità dell'inadempimento, indicato dall'art. 5 della l. n. 392/1978, trovasse applicazione anche relativamente alle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. La questione sul collegamento tra l'art. 5, e l'art. 55 dellal. n. 392/1978, aveva dato luogo ad una interpretazione, seguita da gran parte della giurisprudenza di legittimità e di merito, che escludeva le locazioni ad uso diverso dall'abitazione dall'applicazione dell'art. 5, ma dava invece per implicita l'applicazione dell'art. 55 ad entrambi i tipi di contratto, ritenendo che questa norma, essendo inserita tra le disposizioni processuali, avrebbe avuto una portata generale. Di contro, altra corrente giurisprudenziale riteneva non privo di rilievo il richiamo, anche operativo, di cui all'art. 74 della l. 392/1978, della disciplina dell'art. 55, per l'istituto della sanatoria della morosità, che essendo ritenuto applicabile ad ambedue le categorie di locazioni, avrebbe comportato l'applicazione anche dell'art. 5. Nel senso dell'applicabilità a entrambi i tipi di contratto degli artt. 5 e 55, si è pronunciata: Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1984, n. 2594; Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1986, n. 4799; Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1987, n.8605; in senso contrario, v., invece, Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1985, n. 4057; Cass. civ., sez. III, 16 luglio 1986, n. 4600; Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1995 n. 2232). A dirimere il contrasto tra le diverse sezioni, intervenne la Suprema Corte a Sezioni Unite con la nota sentenza del 28 dicembre 1990, n. 12210, affermando il principio secondo cui l'art. 5 non era applicabile alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo, se non come criterio orientativo per la valutazione della gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1453 c.c. Quanto all'art. 55, le Sezioni Unite, senza addurre particolari motivazioni, davano per implicita l'applicazione dell'art. 55 della l. n. 392/1978 anche alle locazioni ad uso diverso dall'abitativo, e quindi, ritenevano rilevante il comportamento del conduttore che si avvalesse di tale disposizione al fine di escludere la gravità dell'inadempimento e quindi evitare la risoluzione del contratto. In sostanza, secondo la Suprema Corte, la risoluzione del contratto poteva essere dichiarata quando il giudice accertava che l'inadempimento, avuto riguardo all'interesse del locatore, non aveva scarsa importanza – con ciò escludendo l'applicazione dell'art. 5 della l. n. 392/1978 alle locazioni ad uso diverso - facendo tuttavia salva l'ipotesi che «il conduttore, avvalendosi della facoltà di purgare la mora nei termini stabiliti dall'art. 55, che è in ogni caso applicabile sia alle locazioni abitative che a quelle per uso diverso, non abbia escluso la possibilità della risoluzione impedendo, così, l'accoglimento della domanda» (così Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210; conf. Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1991, n. 13575). La tesi dell'applicabilità dell'art. 55 anche alle locazioni ad uso diverso, si prestava comunque a critiche di fondo. Il riferimento al «quadriennio» come periodo massimo entro il quale la morosità può essere sanata per non più di tre volte, induceva l'interprete, senza esitazioni, alla tesi restrittiva, che escludeva un'applicazione indifferenziata dell'art. 55 della l. n. 392/1978 a tutti i tipi di contratto. La contraria opinione era, in realtà, frutto di una impostazione interpretativa che, pur riconoscendo l'esistenza di un collegamento tra gli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978, affermava l'autonomia di entrambe dette norme, con la conseguenza che, escludere l'applicabilità dell'art. 5 alle locazioni non abitative, non precludeva l'applicazione dell'art. 55, e, inoltre, conferiva alla disposizione di cui all'art. 55 carattere processuale e non sostanziale (donde la valenza del richiamo alle disposizioni processuali contenuto nell'art. 74 della l. n. 392/1978). Il contrasto giurisprudenziale era però tutt'altro che risolto, ed infatti, con sentenza del 28 febbraio 1992, n. 2496, la sez. III della Suprema Corte riprendeva la questione per aderire alla tesi negativa, osservando che in mancanza di un onnicomprensivo richiamo, l'art. 55 della l. n. 392/1978, senza porsi in contrasto con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., consente al conduttore di sanare la morosità dei canoni soltanto con riguardo alle locazioni per uso abitativo indicati dall'art. 5 della stessa legge e non è, quindi, applicabile alle locazioni per uso non abitativo, che sono assoggettate ad una autonoma disciplina. Questo indirizzo era indirettamente confermato dalla Corte cost. che, con ordinanza 23 dicembre 1993, n. 461, riteneva manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della l. 392/1978, nella parte in cui escludeva che la sanatoria della morosità nel pagamento del canone, si applicasse anche alle locazioni di immobili urbani ad uso non abitativo stipulate dopo l'entrata in vigore della l. n. 392/1978. La tesi omnicomprensiva enunciata dalle Sezioni Unite con la sentenza 28 dicembre 1990, n. 12210, si andava peraltro consolidando. Per l'applicabilità a tutti i contratti, abitativi e non, della sanatoria di cui all'art. 55 della l. 392/1978, si pronunciavano ancora Cass. civ., sez. III. 27 febbraio 1995, n. 2232, e Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1995 n. 6023. Finalmente, tenuto conto delle pressoché unanimi critiche della dottrina, interveniva ancora una volta la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 28 aprile 1999, n. 272) che escludeva l'applicabilità dell'art. 55 della l. n. 392/78 alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, così ponendo fine definitivamente al contrasto giurisprudenziale e trovando risposta positiva nella giurisprudenza che ne è seguita con orientamento costante (Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11777; Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006 n. 12121; Cass. civ. sez. III, 31 maggio 2010, n. 13248).
Osservazioni
L'interpretazione degli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978, seguita dalla sentenza in commento, è da condividere senza esitazione. Diciamo che, di primo impatto, la differenza di trattamento nell'ipotesi di morosità, riservato alle locazioni ad uso diverso rispetto a quelle con destinazione abitativa, poteva in effetti instillare qualche dubbio di costituzionalità, di talché, ritenere l'applicazione delle norme sopra richiamate ad entrambe le tipologie locatizie, era comprensibile. Di poi, le controversie che si presentarono davanti ai giudici, evidenziarono che il differente trattamento aveva una sua ragione d'essere. Sul piano strettamente giuridico, la soluzione interpretativa seguita dalla sentenza in commento, merita piena adesione per le motivazioni delle quali abbiamo già fatto cenno. Un'attenta lettura dell'art. 55 della l. n. 392/1978, evidenziava, del resto, un ulteriore elemento di conferma qual è l'espresso riferimento al quadriennio, durata legale dei contratti abitativi e non invece al sessennio che contraddistingue la durata delle locazioni ad uso diverso. Ma non era solo l'argomento letterale che militava a favore della tesi contraria all'applicazione dell'art. 55 alle locazioni non abitative. Non si può, infatti, dimenticare, che la locazione «non abitativa» inerisce alla destinazione dell'immobile ad un'attività di tipo imprenditoriale, ragion per cui, le «gravi e comprovate condizioni di difficoltà», altro non sono che un chiaro sintomo di insolvenza: non vi sarebbe stato, quindi, alcun motivo per costringere il locatore a mantenere in essere un contratto senza corrispettivo, che sarebbe finito, in definitiva, a costituire un indebito finanziamento in favore di un'impresa in decozione, aggravandone il dissesto. Nel diverso caso delle locazioni abitative, invece, non solo la destinazione giustificava un livello di protezione particolare e più elevato, ma, in secondo luogo, un termine per sanare la morosità poteva consentire in casi estremi, l'intervento degli enti delegati all'assistenza a favore di soggetti che presentavano i necessari requisiti. Da ultimo, per quanto riguarda l'art. 5 della l. n. 392/1978, va segnalato che la giurisprudenza del Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III, del 4 agosto 2000, n. 10239), è andata di diverso avviso anche sull'interpretazione di questa norma, escludendone, non solo l'applicazione ai contratti ad uso non abitativo, ma anche l'utilizzazione come criterio di valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto di locazione. In sostanza, i giudici di legittimità sono pervenuta alla conclusione di una completa autonomia del disposto di cui all'art. 5, dettato esclusivamente per il tipo contrattuale della locazione ad uso abitazione e non dunque estensibile al tipo contrattuale della locazione per uso diverso dall'abitazione, rispetto al quale resta operante il criterio della non scarsa importanza dell'inadempimento stabilito dall'art. 1455 c.c. (Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2006, n. 5902; Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006, n. 12121). Riteniamo, comunque, ancora valido il principio per cui, se il conduttore di un immobile ad uso non abitativo, pur convenuto con intimazione di sfratto per morosità, comportante l'implicita domanda di risoluzione del contratto, provvede al pagamento dei canoni dopo la notifica dell'intimazione, nella valutazione della gravità dell'inadempimento il giudice debba tener conto, non solo dell'ammontare dei canoni corrisposti successivamente all'intimazione, ma anche di quelli maturati e non corrisposti nel corso dell'instaurato giudizio di merito, mediante una valutazione complessiva del comportamento del conduttore (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1983, n. 3328). |