Installazione dell'ascensore e abbattimento delle barriere architettoniche
06 Dicembre 2017
Massima
In tema di eliminazione delle barriere architettoniche, la l. n. 13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici, sicché la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi per una disposizione del regolamento condominiale che subordini l'esecuzione dell'opera all'autorizzazione del condominio, dovendo tributarsi ad una norma siffatta valore recessivo rispetto al compimento di lavori indispensabili per un'effettiva abitabilità dell'immobile, rendendosi, a tal fine, necessario solo verificare il rispetto dei limiti previsti dall'art. 1102 c.c., da intendersi, peraltro, alla luce del principio di solidarietà condominiale. Il caso
La decisione della Suprema Corte ha avuto origine da una vicenda in cui il Tribunale aveva confermato una ordinanza cautelare con cui gli attori erano stati autorizzati alla modifica dell'impianto di ascensore e la prosecuzione della scala condominiale fino al piano superattico, peraltro condannando gli stessi attori a risarcire al condominio il danno provocato dai lavori eseguiti, per la lesione del decoro architettonico dell'edificio e il pregiudizio derivante dal maggiore utilizzo e sfruttamento del nuovo impianto da parte degli ultimi appartamenti da esso serviti. Il condominio aveva impugnato la sentenza, riproponendo la domanda di rimessione in pristino o in subordine di condanna degli appellati al risarcimento dei danni derivanti dalla realizzazione delle opere e la Corte d'appello, dichiarando comunque inammissibile la domanda del condominio di risarcimento dei danni, aveva accolto l'appello, con condanna degli appellati alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi. I giudici di secondo grado avevano infatti ritenuto che non era stata fornita alcuna concreta dimostrazione che la principale attrice, intanto deceduta, avesse gravi difficoltà di deambulazione e quindi non poteva trovare applicazione la normativa sull'eliminazione delle barriere architettoniche; e inoltre che le opere in oggetto erano in contrasto con una disposizione del regolamento condominiale, giudicato assoluto, contenente il divieto di esecuzione di qualunque opera relativa alle strutture portanti che alterasse l'aspetto architettonico dell'edificio e di ogni modifica agli impianti di uso generale, senza l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini. Gli eredi degli attori del primo grado avevano allora proposto ricorso per cassazione e la Suprema Corte ha accolto il ricorso, riformando la sentenza di appello. La questione
La questione da risolvere riguardava quindi l'individuazione dei presupposti per la legittimità della installazione dell'ascensore e la rilevanza di un eventuale divieto, condizionato all'autorizzazione dell'assemblea, contenuto nel regolamento condominiale. Le soluzioni giuridiche
Come si è anticipato, la Suprema Corte ha riformato la sentenza di appello e, nel farlo, ha applicato il principio, già enunciato in precedenti occasioni, di solidarietà condominiale. I ricorrenti lamentavano l'omessa valutazione della legittimità delle opere in relazione alla normativa sull'eliminazione delle barriere architettoniche e all'art. 1102 c.c., l'operatività del divieto regolamentare al proprietario di realizzare, a proprie spese, un accesso agevole e dignitoso alla sua proprietà e la qualificazione delle opere eseguite, per tipologia, tra quelle vietate dal regolamento condominiale. La Suprema Corte ha dichiarato fondato il ricorso, rilevando che la decisione di appello aveva affermato che non era stata fornita la concreta dimostrazione che la persona interessata avesse gravi difficoltà di deambulazione e quindi non si poteva applicare la normativa sulle barriere architettoniche, facendo così prevalere sull'art. 1102 c.c. il divieto contenuto nel regolamento condominiale; ma che, al contrario, già la Corte costituzionale ha evidenziato, con la sentenza 10 maggio 1999, n. 167, come la legislazione relativa ai portatori di handicap abbia introdotto disposizioni generali per la costruzione di edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, dirette alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili. Inoltre, nella valutazione del legislatore, l'installazione dell'ascensore o di altri congegni, dotati delle caratteristiche richieste dalla normativa tecnica ad assicurare l'accessibilità, adattabilità e visitabilità degli edifici, costituisce elemento che deve essere necessariamente previsto nei progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici o alla ristrutturazione di interi edifici, con la conseguenza che l'ascensore e gli apparecchi similari costituiscono una dotazione imprescindibile per l'approvazione dei relativi progetti edilizi, in quanto l'esistenza dell'ascensore si può senz'altro ritenere funzionale ad assicurare la vivibilità dell'appartamento e pertanto assume un carattere di elemento essenziale. Anche se dette prescrizioni sono imposte dal legislatore per i nuovi edifici o per la ristrutturazione di interi edifici, l'assolutezza della previsione normativa costituisce un criterio di interpretazione anche per la soluzione dei potenziali conflitti relativi alla necessità di adattamento degli edifici esistenti alle prescrizioni dell'art. 2, della l. 9 gennaio 1989, n. 13, con la conseguenza che l'installazione di un ascensore si deve considerare indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento e che, pertanto, rientra nei poteri dei singoli condomini, ai sensi dell'art. 1102 c.c., nei soli limiti dettati da norma stessa (come già affermato dai giudici di legittimità, v. Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096; Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2014, n. 14809). La Corte ha poi aggiunto che la natura dei lavori, dichiaratamente rivolti alla eliminazione di barriere architettoniche e dunque relativi a diritti fondamentali dei disabili, prevale su eventuali divieti del regolamento condominiale che ampliano i limiti generali stabiliti dall'articolo 1102 c.c., dal momento che deve essere rispettata l'evoluzione delle esigenze generali dei condomini o di chi comunque utilizza il condominio ed il rispetto del benessere abitativo e di piena utilizzazione della propria abitazione, perché le disposizioni in materia di eliminazione di barriere architettoniche costituiscono norme imperative ed inderogabili, che danno diretta attuazione agli artt. 32 e 42 Cost. ed esprimono un principio di solidarietà sociale, perseguendo finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici; e che in tal senso opera anche il principio di solidarietà condominiale, secondo cui la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento di vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, a maggior ragione quando si riferiscono a diritti fondamentali di persone disabili e comunque anziane. La Suprema Corte ha, inoltre, precisato che il concetto di disabilità deve essere interpretato in senso ampio, anche alla luce della nuova dimensione che ha assunto il diritto alla salute, intesa non più come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, con la conseguenza che la normativa sulle barriere architettoniche è applicabile anche alle persone che, per l'età avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie. Osservazioni
La sentenza della Suprema Corte così conferma l'interpretazione, ormai prevalente (salvo sporadiche eccezioni, collegate spesso alla particolarità del caso o alla mancanza di sensibilità del giudice chiamato a esaminare la questione), diretta ad ampliare al massimo l'ambito di operatività della normativa sulle barriere architettoniche e sulla tutela dei portatori di handicap (l. 9 gennaio 1989, n. 13, e regolamento di attuazione d.m. 14 giugno 1989, n. 236; l. 5 febbraio 1992, n. 104; d.p.r.24 luglio 1996,n. 503; l. 22 giugno 2016, n. 112), impostazione che ha avuto inizio con la fondamentale decisione della Corte Costituzionale 10 maggio 1999, n. 167 -che in realtà si riferiva al diritto di servitù di passaggio coattivo che è stato riconosciuto a favore dei portatori di handicap facendo riferimento alla l. n. 13/1989- e che da allora si è consolidata, a poco a poco, sempre più. Nel periodo più recente la Corte di Cassazione, anche in questo seguita dalle corti di merito, ha richiamato in varie occasioni il principio di solidarietà condominiale - peraltro, enunciato non solo per le barriere architettoniche, ma in altre occasioni anche con riferimento all'uso delle parti comuni, v. Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2009, n. 21256; Cass. civ., sez. II, 24 giugno 2008, n. 17208; Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8808 - principio che, sebbene enunciato sempre in modo alquanto generico nelle decisioni, si presenta come una implicita articolazione e specificazione della funzione sociale della proprietà dettata dall'art. 42 Cost.
De Tilla, Installazione dell'ascensore e barriere architettoniche, in Arch. loc. e cond., 2016, 184; Celeste, Barriere causa di discriminazioni e procedimento per la rimozione, in Amministr. immob., 2010, fasc. 148, 535; Celeste, Barriere architettoniche e tutela dei portatori di handicap, Milano, 2008; Ditta - Terzago, Comunione e condominio, Milano, 2002, 60; Celeste, Il condominio alle soglie del 2000, in Riv. giur. edil., 2000, II, 39;
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