La rinnovazione del contratto di locazione di un immobile locato dalla P.A. a uso non abitativo
15 Dicembre 2017
Massima
A differenza dei rapporti di locazione sottratti alla disciplina vincolistica, disciplinati dall'art. 1597 c.c., i contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di locatori, sono sottoposti alla disciplina dettata dagli artt. 28 e 29 l. n. 392/1978 in tema di rinnovazione. Di conseguenza, la protrazione di un rapporto locatizio rientrante tra quelli previsti dall'art. 27 della l. n. 392/1978, successivamente alla sua prima scadenza di sei anni, per omessa comunicazione di una disdetta motivata da parte della locatrice P.A., non è l'effetto di una tacita manifestazione di volontà, ma deriva direttamente dalla legge. Il caso
Premettiamo che per un evidente lapsus, la sentenza della Cassazione indica come parte conduttrice, anziché locatrice, un ente territoriale, e richiama erroneamente l'art. 42 della l. n. 392/1978, non applicabile alla fattispecie, dove, al contrario, locatrice è la P.A. e conduttrice un'impresa privata, tant'è vero che poi la sentenza si corregge indicando come applicabili gli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978 e non l'art. 42 che disciplina il diverso caso in cui parte conduttrice è la P.A. Premesso questo, e passando all'esame della fattispecie, tra un ente pubblico territoriale e un'impresa commerciale, era in corso un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile ad uso non abitativo, quando la parte locatrice, approssimandosi la scadenza del primo sessennio, inviò disdetta adducendo, quale motivo, la realizzazione dei propri fini istituzionali. Dopo la scadenza, la conduttrice, che era rimasta nella detenzione dell'immobile, si era opposta al rilascio, sostenendo che il contratto si era rinnovato tacitamente adducendo l'irritualità della disdetta, per la genericità della motivazione addotta. La parte locatrice adiva pertanto la via giudiziaria, e il Tribunale in primo grado dichiarava risolto il contratto alla prima scadenza. La Corte d'Appello aveva confermato la sentenza sostenendo che, pur applicandosi integralmente al contratto di specie la l. n. 392/1978, poiché la Pubblica Amministrazione non poteva obbligarsi tacitamente dovendo manifestare la propria volontà in forma scritta, il rinnovo tacito della locazione poteva configurarsi solamente se questa ipotesi fosse stata prevista con apposita clausola scritta nel contratto di locazione. Di conseguenza, nella fattispecie, pur trattandosi di scadenza del primo sessennio, ed in assenza di disdetta motivata, il rinnovo del contratto non sarebbe stato possibile a causa del mancato inserimento della clausola di rinnovo tacito del contratto originario. Riteneva quindi il contratto di locazione cessato alla prima scadenza. La sentenza era impugnata in Cassazione dalla parte conduttrice.
La questione
In questa ipotesi si trattava di accertare, in linea di diritto, se era giustificata l'affermazione della Corte territoriale che non potendo la P.A. manifestare la propria volontà contrattuale se non in forma scritta, il rinnovo del contratto di locazione non era configurabile per la mancanza di disdetta o per una disdetta invalida perché non motivata, ma avrebbe potuto attuarsi solo in forza di una clausola scritta inserita nell'originario contratto di locazione.
Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha preliminarmente preso in esame il secondo motivo del ricorso, con il quale era denunziata la violazione dell'art. 29 della l. n. 392/1978, e lo ha ritenuto fondato sulla base di una consolidata corrente giurisprudenziale, secondo la quale, un rapporto locatizio ad uso non abitativo, ancorché stipulato dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali, è integralmente sottoposto alla normativa vincolistica di cui agli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978. Una volta ammesso che un contratto di locazione di immobile ad uso non locativo, stipulato dalla P.A. come locatrice, è interamente sottoposto alla disciplina della l. n. 392/1978, è irrilevante, secondo la Corte, che un ente pubblico territoriale possa manifestare la propria volontà solo con un atto scritto, e in ragione di ciò, la mancanza di una esplicita clausola nel contratto di locazione, che avesse previsto il tacito rinnovo, non poteva assumere l'effetto di una deroga agli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978, e pervenire alla conclusione che il contratto era cessato alla prima scadenza. Pertanto, in difetto di una rituale disdetta motivata, il contratto di locazione doveva ritenersi rinnovato per un eguale periodo di sei anni, non per effetto di una tacita manifestazione di volontà successiva alla stipulazione del contratto, totalmente inefficace in difetto di forma scritta, ma in forza della legge speciale, che rende irrilevante la disdetta del locatore quando la stessa non sia fondata su una delle giuste cause specificamente indicate dall'art. 29 della l. n. 392/1978, quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione.
Osservazioni
In mancanza di sufficienti elementi volti ad individuare le difese della parte ricorrente - la locataria non si era costituita in giudizio - non è affatto chiaro il ragionamento della Corte in forza del quale è stato ritenuto fondato il secondo motivo che è oggetto del nostro commento. Nulla vieta che una pubblica amministrazione dello Stato, o altro ente pubblico territoriale, assuma le vesti di locatore di un immobile facente parte del suo patrimonio, pur dovendo tenere distinta l'ipotesi di locazione di un immobile da utilizzare a meri fini privatistici, da quella di assegnazione di alloggi mediante atti amministrativi a favore delle categorie più disagiate di cittadini. Nel primo caso, è intervenuta la Cassazione con una sentenza risalente, ma che riteniamo tuttora valida, affermando che nel rapporto tra un ente pubblico ed il privato avente ad oggetto il godimento di un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'ente medesimo, non è ipotizzabile una concessione amministrativa, per la quale manca il presupposto oggettivo dell'esistenza di una potestà giuridica pubblica, dovendosi invece collocare il rapporto nell'ambito privatistico (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1981, n. 4450). Di conseguenza, nel caso che la Pubblica Amministrazione conceda in locazione un immobile ad uso abitativo o non abitativo, come soggetto privato, al rapporto così costituito si devono applicare tutte le disposizioni di cui alla l. nn. 431/1998 e 392/1978, quest'ultima per la parte rimasta in vigore. Sarebbe, d'altronde, iniquo che al conduttore di un immobile di proprietà dello Stato fossero negate le medesime tutele approntate per i conduttori di immobili di proprietà di privati. Nella fattispecie, fu probabilmente la parte conduttrice che sostenne, nei precedenti gradi del giudizio, che la locazione si sarebbe rinnovata tacitamente a seguito della sua protratta permanenza nella detenzione dell'immobile dopo la scadenza, e per l'inefficacia della disdetta inviata dall'ente pubblico. La Corte ebbe buon gioco ad affermare l'infondatezza di questa tesi, essendo pacifico il principio per cui, l'incapacità della P.A. di manifestare la propria volontà non altrimenti che in forma scritta, escludeva a priori che potesse intendersi come consenso tacito al rinnovo una volontà non manifestata in forma scritta e nemmeno orale. Quanto alla disdetta inviata dalla parte locatrice, adducendo la necessità di destinare l'immobile alle proprie attività istituzionali, non poteva esservi dubbio sulla sua inefficacia, e bene ha fatto la Corte a ritenerla tamquam non esset. In sostanza, dunque, va ribadito il principio per cui un ente pubblico, nel motivare la propria disdetta non può limitarsi ad un generico richiamo dei fini istituzionali dell'ente, ma deve specificare, ai sensi del penultimo comma dell'art. 29 cit., la concreta attività da svolgere nell'immobile, perché anche per le locazioni degli immobili della Pubblica Amministrazione il conduttore ed il giudice debbono essere posti in grado di verificare la serietà e l'attuabilità della intenzione indicata nonché, in sede contenziosa, di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del rinnovo, oltre che rendere possibile il successivo controllo sull'effettiva destinazione dell'immobile all'uso indicato, in caso di richiesta di applicazione delle misure sanzionatorie previste dall'art. 31 della l. n. 392/1978 (Cass. civ., sez. III, 4 maggio 1993, n. 5150). |