Nel giudizio di revoca dell'amministratore di condominio non è richiesto il patrocinio del difensore
02 Gennaio 2018
Massima
Nel giudizio di revoca dell'amministratore di condominio non è richiesto il patrocinio di un difensore legalmente esercente, ex art. 82, comma 3, c.p.c., trattandosi di un procedimento camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o status; pertanto, ove si difenda personalmente e non rivesta anche la qualità di avvocato, il condomino che agisca per la revoca può richiedere, indicandole in apposita nota, unicamente il rimborso delle spese vive concretamente sopportate e non anche la liquidazione del compenso professionale, che spetta solo al difensore legalmente esercente. Il caso
Veniva impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., il decreto della Corte d'appello, che ha accolto il reclamo proposto avverso il provvedimento del Tribunale, con il quale era stata dichiarata «inammissibile» la domanda di un condomino di revoca giudiziale dell'amministratore, in quanto proposta personalmente dalla parte senza il ministero di difensore. In particolare, il giudice distrettuale aveva affermato che, nel procedimento di revoca dell'amministratore ex artt. 1129, comma 11, c.c. e 64 disp. att. c.c., il condomino è legittimato a difendersi personalmente e non deve perciò ricorrere all'assistenza di un legale, trattandosi di giudizio di volontaria giurisdizione privo di carattere decisorio e di incidenza con effetti di giudicato su posizioni soggettive. I giudici del reclamo, nel merito, avevano ravvisato la denunciata grave irregolarità imputabile all'amministratore, per non aver dato esecuzione a tre sentenze di annullamento di alcune delibere assembleari, sicché, conseguentemente, avevano disposto la revoca del resistente dall'incarico di amministratore del condominio, e avevano condannato quest'ultimo al pagamento di entrambe le fasi del procedimento, incluse quelle «a titolo di compenso professionale».
La questione
L'amministratore del condominio, soccombente, aveva dedotto, in primo luogo, la violazione dell'art. 82 c.p.c. atteso che, essendo il giudizio di revoca dell'amministratore contemplato nell'art. 1129, comma 11, c.c., un procedimento «sostanzialmente contenzioso» (benché «formalmente camerale» ed a parti contrapposte), il condomino istante non poteva difendersi personalmente. Si denunciava, altresì, la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. in relazione agli artt. 2229 e 2231 c.c., affermando l'erroneità della condanna alla rifusione delle spese della prima fase del giudizio, alla quale il condomino istante aveva preso parte di persona, senza avvalersi del patrocino di avvocato. Le soluzioni giuridiche
I magistrati di Piazza Cavour hanno ritenuto infondato il primo motivo e, invece, fondato il secondo. Riguardo alla prima doglianza, si è, preliminarmente, ricordato che va considerato inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la Corte d'appello provvede sul reclamo avverso il decreto del Tribunale in tema di revoca dell'amministratore di condominio, previsto dagli art. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (v., tra le altre, Cass. civ., sez. VI, 11 aprile 2017, n. 9348; Cass. civ., sez. VI/II, 30 marzo 2017, n. 8283; Cass. civ., sez. VI/II, 27 febbraio 2012, n. 2986). In quest'ordine di concetti, i giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile la censura che il ricorrente rivolgeva al decreto impugnato, sotto forma di vizio in procedendo, diretta a sindacare la decisione sulla questione della validità della difesa personale nel condomino del procedimento di revoca. Trattandosi, però, di profilo comune a quello oggetto del secondo motivo di ricorso, si è osservato che il procedimento di revoca giudiziale dell'amministratore di condominio, che può essere intrapreso su ricorso di ciascun condomino, riveste un carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare, ed è ispirato dall'esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell'amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell'amministratore. Non è, quindi, ammessa la partecipazione al giudizio del condominio o degli altri condomini: interessato e legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore, non sussistendo litisconsorzio degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2013, n. 23955); il giudizio è improntato a rapidità, informalità ed ufficiosità, potendo, peraltro, il provvedimento essere adottato «sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente» (art. 64, comma 1, disp. att. c.c., come modificato dalla l. n. 220/2012). Il decreto del Tribunale di revoca incide, pertanto, sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore al culmine di un procedimento camerale plurilaterale, nel quale, tuttavia, l'intervento giudiziale è pur sempre diretto all'attività di gestione di interessi, sicché il suddetto provvedimento non riveste alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena, pur non ponendosi questo come un riesame del decreto (Cass. civ., sez. un., 29 ottobre 2004, n. 20957; cui adde Cass. civ., sez. VI/II, 1 luglio 2011, n. 14524). Atteso che il giudizio di revoca dell'amministratore di condominio ex artt. 1129, comma 11, c.c. e 64 disp. att. c.c., dà luogo ad un «procedimento camerale plurilaterale tipico», nel quale l'intervento del giudice è diretto all'attività di gestione di interessi e non culmina in un provvedimento avente efficacia decisoria, in quanto non incide su situazioni sostanziali di diritti o di status, non è indispensabile il patrocinio di un difensore legalmente esercente, ai sensi dell'art. 82, comma 3, c.p.c. (argomentando da Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2011, n. 26365, nel giudizio di cessazione degli effetti civile del matrimonio; Cass. civ., sez. I, 29 maggio 1990, n. 5025, nel procedimento camerale per la delibazione delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario). I magistrati di Piazza Cavour hanno, al contempo, ritenuto fondata la seconda doglianza. Invero, la Corte d'appello aveva riconosciuto la legittimità della partecipazione personale del condomino ricorrente alla fase del procedimento di revoca svoltosi davanti al Tribunale, ma aveva poi liquidato in favore dello stesso per tale fase una data somma a titolo di «compenso professionale». Tale statuizione contrastava con l'interpretazione costantemente offerta dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, nei procedimenti in cui è consentita alla parte la difesa personale, la stessa, che non rivesta anche la qualità di avvocato, non può richiedere che il rimborso delle spese vive concretamente sopportate, da indicarsi in apposita nota, e non ha certo diritto alla liquidazione del compenso professionale spettante al difensore legalmente esercente (Cass. civ., sez. I, 9 luglio 2004, n. 12680; Cass. civ., sez. I, 2 settembre 2004, n. 17674). Osservazioni
Alla stregua del disposto dell'art. 91 c.p.c., l'opinione prevalente ritiene, in generale, che il decreto del giudice che definisce il procedimento di volontaria giurisdizione non possa contenere la condanna alle spese (e ai danni processuali), in quanto non è una “sentenza” e non c'è una “soccombenza”, mancando la contrapposizione di un diritto, tipica del giudizio contenzioso, ed essendo il predetto procedimento istituito per raggiungere finalità proprie del o dei ricorrenti, non contrastanti con quelli di altri soggetti. Invero, l'orientamento maggioritario dei giudici di legittimità - v. Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2005, n. 18730; Cass. civ., sez. II, 27 agosto 2002, n. 12543; Cass. civ.,sez. II, 11 aprile 2002, n. 5194; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2001, n. 4706, che addirittura ne esclude il rimborso delle spese anche in un separato giudizio - reputa che, in questi procedimenti di volontaria giurisdizione, non sussistano i presupposti richiesti per l'applicazione della norma di cui all'art. 91 cit., mancando, per definizione, un provvedimento conclusivo di un procedimento contenzioso, nel quale sia chiesto l'accertamento di un diritto da una parte nei confronti dell'altra, che giustifichi la condanna alle spese, le quali restano a carico del soggetto che le abbia anticipate assumendo l'iniziativa giudiziaria e interloquendo nel procedimento. A questo punto, si tratta di verificare la possibilità di condanna al pagamento delle spese di lite all'esito del procedimento ex art. 1129, comma 11, c.c. Orbene, il summenzionato orientamento richiama gli elementi caratterizzanti l'attività di volontaria giurisdizione, nel cui àmbito il magistrato deve emettere provvedimenti tesi alla soddisfazione di privati interessi senza contesa tra le parti, mentre non rientra nella sua competenza decidere su controversie sorte tra parti contrapposte per la tutela di diritti. In quest'ottica - sempre secondo i giudici di legittimità - si pone anche il provvedimento del giudice che revoca l'amministratore condominiale (sia esso di accoglimento o di rigetto dell'istanza di uno o più condomini), perché è inidoneo al giudicato e non risulta destinato ad incidere su posizioni di diritto soggettivo, essendo modificabile e revocabile in ogni tempo anche con efficacia ex tunc. Se, quindi, il suddetto provvedimento di revoca dell'amministratore si risolve in un intervento giudiziale di tipo sostanzialmente amministrativo, essendo finalizzato unicamente alla tutela dell'interesse generale e collettivo del condominio ad una sua corretta amministrazione, è sembrato coerente inferire che, nel relativo procedimento, non trovino applicazione le regole proprie degli artt. 91 ss. c.p.c., che postulano l'identificazione di una parte vittoriosa e soccombente in esito alla definizione di un giudizio di tipo, invece, contenzioso, che va escluso nel caso di specie, in quanto - lo si ripete - trattasi di un provvedimento totalmente privo dell'attitudine a produrre gli effetti di giudicato su posizioni soggettive di contrasto. Ne consegue che le spese del procedimento teso alla revoca di un amministratore scorretto, rimangono a carico di chi, proponendo il relativo ricorso, le ha anticipate o di chi ha resistito allo stesso. Al riguardo, si sostiene, altresì, che, nel predetto procedimento, di regola, non vi sono “parti” in contrasto, e l'attività giudiziaria, da svolgere in via di aiuto o di controllo, e la tutela da spiegare riguardano un solo soggetto, nel suo interesse e in quello della collettività (App. Napoli 10 novembre 1972; App. Firenze 15 marzo 1950, in termini generali). In senso conforme, anche una parte della dottrina (Jannuzzi - Lorefice), che muove perplessità in ordine all'applicazione dell'art. 91 c.p.c. al procedimento di revoca dell'amministratore sulla base della funzione e della natura del procedimento camerale scelto dal legislatore; si osserva, infatti, che tale scelta trova il proprio fondamento in una prospettiva essenzialmente rivolta a privilegiare gli aspetti amministrativi della questione rispetto a quelli contenziosi; più specificatamente, la finalità primaria del procedimento in oggetto non è l'accertamento del diritto di una parte o dell'altra, quanto piuttosto la definizione del contrasto in funzione dell'interesse generale del condominio; solo così si giustifica l'adozione di una struttura procedimentale ben più snella del giudizio contenzioso, ma anche meno funzionale ad una cognizione piena delle ragioni delle parti, perciò si deve ritenere che la regolamentazione delle spese di lite rappresenti una questione sostanzialmente estranea allo schema procedimentale delineato dal legislatore. A ciò si è obiettato che, una volta tenuto conto che l'obbligo del pagamento delle spese di lite non ha contenuto sanzionatorio, ma è solo una conseguenza obiettiva del risultato processuale contenuta nel provvedimento con il quale il giudice «chiude il processo davanti a lui» (art. 91 cit.), a prescindere dal fatto che il provvedimento sia destinato a passare in giudicato, la contrapposizione tra sentenza ed altro provvedimento conclusivo di sequenze procedimentali, destinate a risolvere contrapposte situazioni di diritto soggettivo, non ha significato alcuno; importa piuttosto che si tratti di una pronuncia che definisca il processo davanti al giudice che la emette, e che, in relazione al contenuto, consenta di individuare la parte che ha dato causa all'iniziativa processuale e che, per tale ragione, deve sopportarne l'onere economico (v. Trib. Milano, 21 febbraio 1988). In realtà, l'estensione, in tema di spese processuali, della nozione di sentenza a provvedimenti diversi che pure definiscono il giudizio, è stata ammessa dalla giurisprudenza in vari procedimenti, e la discriminante di solito utilizzata per dare ingresso all'art. 91 c.p.c. è che il provvedimento camerale, al termine di un procedimento dalla natura contenziosa, non si esaurisca in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo, ma, statuendo su posizioni soggettive di contrasto, abbia carattere decisorio (Cass. civ.,sez. I, 25 marzo 1987, n. 2896; Cass. civ., sez. I, 29 aprile 1982, n. 2687; Cass. civ., sez. I, 18 febbraio 1982, n. 1023). Nella volontaria giurisdizione, poi, sussistono ipotesi in cui altri soggetti contrastano la domanda del ricorrente, in quanto l'accoglimento di questa pregiudicherebbe i loro personali interessi, sicché deve riconoscersi al relativo procedimento le caratteristiche proprie del giudizio contenzioso; in altri termini, il provvedimento che lo conclude, pur avendo la forma del “decreto”, ha la sostanza della sentenza, e il dibattito instaurato tra le parti assume i connotati di un contraddittorio (sia pure non così pieno come quello dell'ordinario giudizio di cognizione) su contrapposte posizioni di diritto soggettivo. Questa struttura del procedimento litigioso implica, da parte del resistente, il dispendio di un'attività processuale che non può restare priva di quantificazione, ai fini del rimborso delle spese, senza ledere un diritto soggettivo, ovvero senza costringere la parte vittoriosa al recupero delle spese in separata sede, in contrasto, però, con il principio dell'economia dei giudizi, o addirittura rendendo inapplicabile il disposto previsto dall'art. 96 c.p.c. in ordine al risarcimento danni per responsabilità aggravata, con grave lesione dei diritti di uguaglianza e di tutela dei diritti del processo (Cass. civ., sez. un., 17 ottobre 1983, n. 6066). In particolare, relativamente all'ipotesi di cui all'art. 1129, comma 11, c.c., vi è un procedimento caratterizzato da un vero e proprio contraddittorio (a volte complesso ed estenuante), con la presenza di due parti portatrici di interessi personali che si riferiscono a situazioni di diritto soggettivo; stante che l'amministratore, resistendo all'accoglimento del ricorso proposto per la sua revoca, fa valere un diritto personale, secondo il regime ordinario della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., sarebbe iniquo che le spese processuali non dovessero essere poste a carico del condomino istante, salvo che ricorrano giusti motivi per compensarle ex art. 92 c.p.c. (Trib. Parma 12 marzo 1999; Trib. Velletri 10 agosto 1978). La richiesta revoca incide, infatti, sul diritto soggettivo dell'amministratore in carica allo svolgimento dell'incarico conferitogli dal condominio, onde il diritto di difesa del resistente deve ricevere compiuta salvaguardia anche attraverso la possibilità di ripetere le spese processuali sostenute; appare, pertanto, corretto ristorare la parte vittoriosa degli oneri inerenti al dispendio di attività processuale legata da nesso causale con l'iniziativa dell'avversario, anche se non sfociante in un giudizio a cognizione piena. Riguardo, poi, al concetto di soccombenza che figura nell'art. 91 c.p.c., appare corretto identificarlo nella situazione di chi è tenuto a subire le conseguenze dell'azione (di revoca), e cioè di colui che l'abbia esercitata (il condomino istante) e non l'abbia vista accogliere, oppure di colui (l'amministratore) nei confronti del quale è stata esercitata e, nonostante abbia contraddetto sulla stessa, l'abbia vista accolta; del resto, è la stessa legge (art. 64, comma 1, disp. att. c.c., nuovo testo) che prevede il contraddittorio, sia pure da svolgersi nella cornice modesta del rito camerale. Si conferma, quindi, la sussistenza di una vera e propria controversia di natura contenziosa che, però, trova la sua trattazione in via eccezionale in camera di consiglio per espressa previsione di legge, in considerazione del prevalente interesse del condominio ad una trattazione abbreviata e di rapida soluzione. Né osta la considerazione che il conseguente provvedimento è suscettibile di revoca o di modifica (per motivi sopravvenuti o per motivi già prospettati) e non dà luogo ad un giudicato, giacché quel che rileva è che, divenuta irrevocabile la destituzione, la revoca ha senz'altro efficacia costitutiva di risoluzione del rapporto di incarico, e con il relativo procedimento si attua in via definitiva la regolamentazione di posizioni di diritto soggettivo. Ragionando diversamente, si costringerebbe la parte vittoriosa, condomino o amministratore, ad esperire, in separata sede, un autonomo giudizio per far riconoscere la sua pretesa risarcitoria - in pratica, il rimborso delle spese sostenute per la propria difesa - in base al principio di responsabilità causale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., nei confronti di colui che l'ha ingiustamente provocata (Trib. Catania 23 luglio 2004), ma già si coglie l'incoerenza della soluzione secondo cui il legislatore opta per il rito camerale semplificato per la tutela di certi interessi giuridicamente rilevanti e, poi, obbliga i soggetti coinvolti ad adire le vie contenziose per la sola liquidazione delle spese di lite. A ben vedere, quella stessa ragione che si fa valere per sostenere l'interpretazione riduttiva dell'art. 91 c.p.c., cioè il non essere il procedimento di volontaria giurisdizione in tema di revoca ex art. 1129, comma 11, c.c. diretto a dirimere una controversia, porterebbe ad escludere l'antigiuridicità del comportamento dell'amministratore che resista al ricorso o del condomino che lo introduca e lo vede rigettato; senza contare che, essendo normalmente la condanna alle spese di lite un accessorio della decisione giudiziale, il soggetto vittorioso sarebbe, invece, costretto ad azionare un nuovo giudizio, davanti ad un giudice diverso da quello del procedimento al quale la pretesa di rimborso si riferisce, e con l'onere di provare la colpa del soggetto nei confronti del quale esercita tale pretesa. Riconoscere alla parte vittoriosa il diritto di conseguire, in separata sede, il rimborso delle spese legali sostenute nella procedura camerale è, inoltre, contrario al rispetto alle esigenze di economia processuale, tanto più sentite attualmente alla luce del principio della «ragionevole durata» del processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. (come modificato dalla l. cost. n. 2/1999), che milita in senso negativo alla proliferazione dei giudizi; infatti, ciò comporta l'onere di un successivo giudizio, nel quale occorrerà esaminare la vicenda che ha reso necessario il ricorso al procedimento di volontaria giurisdizione, e valutare con attenzione il contegno tenuto dalle parti prima e durante lo svolgimento dello stesso; ora, se si considera che tale indagine è stata già svolta dal giudice camerale, al fine di provvedere in senso favorevole al condomino ricorrente o all'amministratore resistente, risulta senz'altro antieconomico demandare ad altro giudice, in sede contenziosa, la decisione concernente le spese. Celeste, La difesa personale nel procedimento di revoca dell'amministratore, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 2, 37; Izzo, Sulla condanna alle spese giudiziali per il procedimento di revoca dell'amministratore, in Rass. loc. e cond., 2005, 215; Petrolati, La revoca giudiziale dell'amministratore ed il giusto processo, in Rass. loc. e cond., 2004, 661; Jannuzzi - Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2006, 67; Santarsiere, Giurisdizione volontaria, contrasti e spese di giustizia, in Giust. civ., 1989, I, 694; Pigari, Giurisdizione volontaria e disciplina delle spese, in Riv. dir. proc., 1980, 573. |