I mutevoli percorsi della rilevabilità d'ufficio della nullità delle delibere assembleari
09 Gennaio 2018
Massima
In tema di impugnazione delle delibere condominiali, trova applicazione il principio dettato in materia di contratti secondo cui la richiesta di accertamento, per la prima volta in appello, di un motivo di nullità diverso da quelli proposti in primo grado è inammissibile, a ciò ostando il divieto di nova di cui all'art. 345, comma 1, c.p.c., salva la possibilità per il giudice del gravame - obbligato comunque a rilevare d'ufficio ogni possibile causa di nullità - di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c. Il caso
Tizio impugna una delibera assunta nel corso del 1992 con cui l'assemblea di condominio aveva annullato in autotutela una precedente deliberazione del 1991, che lo autorizzava alla realizzazione di una tettoia nel cortile condominiale da utilizzare quale copertura del posto auto. Rigettata la domanda in prime cure, Tizio propone appello, deducendo l'illegittimità della condizione apposta alla originaria delibera - poi annullata - consistente nell'assenso alla realizzanda costruzione da parte di un condomino proprietario di oltre un terzo dell'edificio, nonché l'assenza di modifiche alla destinazione del cortile: il gravame viene dichiarato inammissibile per la novità di tali questioni. Tizio propone, dunque, ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. «per avere la Corte di merito concluso per l'inammissibilità del gravame stante la novità delle questioni sottoposte al suo esame rispetto a quelle dedotte in primo grado e ciò a fronte di un erronea lettura della norma de qua che si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso proprio e non a tutte le difese svolte dalle parti, peraltro strettamente connesse con la domanda introduttiva del giudizio».
La questione
La questione in esame è la seguente: può il giudice in sede di appello dichiarare la nullità di una delibera condominiale per motivi diversi da quelli originariamenteproposti dalla parte opponente? Le soluzioni giuridiche
La vexata quaestio ruota integralmente intorno all'oggetto del giudizio ex art. 1137 c.c. ed al suo carattere tipicamente impugnatorio. Al riguardo, va evidenziato come, nel recente passato, la Corte abbia costantemente affermato il principio di immodificabilità della causa petendi, sia in relazione ai vizi di annullabilità che per quelli di nullità delle deliberazioni, facendo applicazione, a tale ultimo proposito, delle soluzioni dettate in materia contrattualistica, secondo cui il potere attribuito al giudice dall'art. 1421 c.c. di rilevare d'ufficio la nullità deve necessariamente coordinarsi con il principio della domanda ex art. 112 c.p.c.: onde il giudice non avrebbe potuto dichiarare d'ufficio la nullità della delibera sulla base di ragioni diverse da quelle originariamente poste dalla parte a fondamento della relativa impugnazione, con conseguente inammissibilità, perché nuova, della domanda con cui, in appello, si fosse chiesto dichiararsi la nullità di una delibera assembleare per un motivo diverso da quello fatto valere in primo grado (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2005, n. 13732: Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2007, n. 4973). L'evoluzione giurisprudenziale in tema di nullità contrattuali e loro rilevabilità ex officio, tuttavia, ha portato ad un vero e proprio “ribaltamento” di tale impostazione: se già Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2015, n. 12582 - sulla scia di Cass. civ., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828 - aveva, infatti, chiarito che alle deliberazioni prese dall'assemblea condominiale si applica il principio dettato in materia di contratti dall'art. 1421 c.c., secondo cui è attribuito al giudice il potere di rilevarne d'ufficio la nullità (e, nella specie, la Corte aveva ritenuto corretta la decisione di merito che, a fronte dell'eccezione di decadenza degli attori dal potere di impugnare la delibera condominiale, ne aveva rilevato d'ufficio la nullità, così sottraendola ai termini di impugnazione previsti dall'art. 1137 c.c.), la decisione in commento “chiude” il cerchio - in linea con Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26243 - chiarendo che, se la richiesta di accertamento, per la prima volta in appello, di un motivo di nullità diverso da quelli proposti in primo grado è inammissibile, a ciò ostando il divieto di nova ex art. 345, comma 1, c.p.c., cionondimeno è fatta salva la possibilità per il giudice del gravame - obbligato comunque a rilevare d'ufficio ogni possibile causa di nullità - di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c. Principio tanto più valido se si considera che il divieto di nova in appello implica che è preclusa la facoltà di avanzare pretese che involgano la trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado, ma non quella di prospettare rilievi che importino una diversa qualificazione giuridica del rapporto e l'applicazione di una norma di diritto non invocata in primo grado, a maggior motivo allorché la nuova ragione giuridica dedotta in sede di gravame derivi da una norma di legge che il giudice è tenuto ad applicare (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2017, n. 6854).
Osservazioni
Sulla differenza tra cause di nullità e di annullabilità delle delibere condominiali, si rinvia a Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806. Quanto, invece, al tema della rilevabilità d'ufficio della nullità della delibera assembleare, esso è particolarmente “caldo” anche in materia di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto per la riscossione degli oneri condominiali, ex art. 63 disp. att. c.c. In proposito, Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26629 aveva affermato un principio particolarmente rigido, alla stregua del quale nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo questa riservata al giudice davanti al quale dette delibere siano state impugnate. Tale decisione, peraltro, si richiamava expressis verbis ad un autorevole precedente, rappresentato da Cass. civ., sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421 la quale, in motivazione, chiariva come il legislatore «nel riservare, con l'art. 1137 c.c., ad autonomo giudizio ogni controversia sull'invalidità delle deliberazioni assembleari, ha anche escluso che qualsivoglia questione al riguardo possa essere sollevata nell'ambito dell'eventuale opposizione al provvedimento monitorio, l'oggetto di tale giudizio rimanendo, in tal modo, circoscritto all'accertamento dell'idoneità formale (validità del verbale) e sostanziale (pertinenza della pretesa azionata alla deliberazione allegata) della documentazione posta a fondamento dell'ingiunzione e della persistenza o meno dell'obbligazione dedotta in giudizio (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2000, n. 10427; Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1994, n. 7569)». Il punto di rottura in questo peculiare àmbito è stato segnato da Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2016, n. 305 che - raccogliendo l'eredità di Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2014, n. 1439, la cui motivazione al riguardo non è stata, tuttavia, sufficientemente valorizzata - v. § 3 «sono impugnabili in ogni tempo, unitamente al decreto ingiuntivo emesso sulla base di una delibera assembleare, le delibere mille (recte, nulle). Sono invece inammissibili le impugnazioni avverso delibere annullabili» - ha concluso nel senso che il limite alla rilevabilità d'ufficio, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, dell'invalidità delle sottostanti delibere non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi dell'applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda. |