Accertamento nullo prima dei 60 giorni dall'ispezione eseguita dalla Guardia di Finanza

Enzo Di Giacomo
10 Gennaio 2018

L'accertamento emesso dall'Ufficio prima del termine di sessanta giorni dall'ispezione eseguita dalla Guardia di Finanza, al fine di verificare il rilascio dello scontrino/ricevuta, è illegittimo.Il termine di cui sopra decorre solo dal rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni in caso di accesso o ispezione dei locali dell'impresa.
Massima

L'accertamento emesso dall'Ufficio prima del termine di sessanta giorni dall'ispezione eseguita dalla Guardia di Finanza, al fine di verificare il rilascio dello scontrino/ricevuta, è illegittimo.

Il termine di cui sopra decorre solo dal rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni in caso di accesso o ispezione dei locali dell'impresa (Cass. n. 28312, dep 27/11/2017).

Sul tema sovviene l'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, che stabilisce il diritto del contribuente sottoposto a verifica fiscale a presentare all'ufficio, entro 60 giorni, osservazioni e richieste, che dovranno essere valutate dallo stesso ufficio impositore.

In virtù, quindi, della garanzie contenute nello Statuto del contribuente, l'accertamento non può essere emesso prima della scadenza di tale termine, fatta eccezione per situazioni di particolare urgenza da motivare; la norma in esame non contempla alcuna sanzione in caso di violazione, prevedendo una forma di contraddittorio differito rispetto alla verifica ovvero un contraddittorio preventivo da svolgere subito dopo il processo verbale e prima dell'emissione dell'accertamento.

Il caso

La Guardia di Finanza ha eseguito una verifica fiscale accertando la mancata emissione di alcuni scontrini. Sulla base dei dati raccolti l'Agenzia delle entrate ha eseguito una accertamento induttivo societario cd “a tavolino”, ossia senza accesso presso i locali della società sottoposta a verifica. I soci hanno impugnato la sentenza della CTR eccependo la violazione dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, atteso che i giudici di merito hanno ritenuto l'inapplicabilità di tale norma al caso concreto.

La questione

L'Ordinanza affronta il tema della validità dell'accertamento c.d. a tavolino (ossia senza accesso nei locali della società) emesso prima del termine di cui all'art.12 Legge n. 212/2000.

La Corte, allineandosi a precedenti della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto preliminarmente che la garanza di cui all'art. 12, comma 7, della legle n. 212/2000 si applica a qualsiasi atto di accertamento con accesso nei locali dell'impresa, ivi compresi gli atti di accesso diretti all'acquisizione di documentazione, essendo comunque necessario redigere un verbale di chiusura della operazioni, come previsto dall'art. 52 , sesto comma, del Dpr n. 633/1972 (Cass. n. 15624/2014).

La Cassazione ha ribadito che in tema di garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale, il citato art. 52, in tema di IVA, prevede la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni acceso o ispezione dei locali dell'impresa, e solo dal rilascio di copia del verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l'accertamento (Cass. n. 7843/2015).

I giudici hanno ritenuto che la sentenza della CTR non avesse tenuto conto di tali principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, qualificando la procedura posta in essere come verifica “a tavolino”, trattandosi, invece, di un accesso presso la sede della società contribuente e finalizzato alla verifica della regolare emissione dello scontrino fiscale. Viceversa l'ufficio non ha atto corretta applicazione di quanto sopra, tant'è che non è mai stato redatto e rilasciato il verbale di chiusura delle operazioni di verifica ed, in particolare, non è stato concretamente attuato il contraddittorio “obbligatorio” con il contribuente.

La Corte, accogliendo il ricorso della società, ha ritenuto l'atto impositivo illegittimo per il vizio procedimentale denunciato.

Soluzioni giuridiche

Il tema oggetto del caso di specie è stato affrontato più volte dalla Suprema Corte con pronunciamenti di diversa natura, emergendo che sussiste un generalizzato obbligo del contraddittorio da parte dell'ufficio solo per i “tributi armonizzati” (Irpef, Iva), in quanto vi è la diretta applicazione del diritto dell'Unione europea; il diritto nazionale non prevede tale obbligo.

L'emissione dell'atto impositivo, quindi, deve avvenire nel rispetto del principio del contraddittorio di cui all'art. 24 Cost. L'art. 12 (Statuto del contribuente) costituisce concreta attuazione dei principi di collaborazione e buona fede legati alla diretta applicazione dei principi costituzionali (buon andamento ed imparzialità) e di quelli comunitari (cfr. Corte di Giustzia , causa C-276/12), per cui il mancato rispetto del termine de quo determina la sanzione di invalidità dell'atto.

Tali principi sono stati ribaditi di recente nella Circolare n. 1/2018 emanata dalla Guardia di Finanza, la quale recepisce il mutato panorama della giurisprudenza di legittimità e della prassi amministrativa sul tema. In sede di verifica il contraddittorio preventivo con il contribuente non solo si rende opportuno ma anche doveroso; un'attività di controllo basata sistematicamente sul contraddittorio preventivo con il contribuente da un lato rende la pretesa tributaria più credibile e sostenibile, dall'altro scongiura l'esecuzione di recuperi che spesso non risultano supportati e motivati in quanto non preceduti da un reale ed effettivo confronto.

Per quanto precede, continua la Circolare, i verificatori devono porre in essere ogni misura, anche di natura organizzativa, che metta il contribuente nelle migliori condizioni per rispondere alle richieste avanzate e di fornire elementi di prova a suo discarico, evitando di formalizzare le irregolarità riscontrate.

Osservazioni

Le garanzie di cui all'art. 12 L. n. 212/2000 valgono solo “in relazione bagli accertamenti conseguenti ad accessi. Ispezioni e e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente” Pertanto sussiste un obbligo generale di contraddittorio dell'ufficio finanziario solo per i tributi “armonizzati”, in quanto vi è la diretta applicazione del diritto dell'Unione, che comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa; mentre per i contributi “c.d. non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cfr. Cass. SU n. 24823/2015).

L'art. 12 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio previsto, determina l'illegittimità dell'atto impositivo emesso prima della scadenza “in quanto tale termine è posto a garanzia del contraddittorio che è espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede tra fisco e contribuente”. Spetta, quindi, all'ufficio finanziario provare che l'inosservanza del termine è dovuto non tanto all'enunciazione dei motivi di urgenza che hanno determinato l'emissione anticipata dell'accertamento ma all'effettiva assenza di tale requisito (esonerativo dall'osservanza del termine) (Cass, SU, n. 18184/2013).

L'avviso di accertamento emesso prima del termine di 60 giorni dalla data di consegna del verbale è nullo anche nel caso in cui l'ufficio contesta un abuso del diritto; l'ufficio deve chiedere preventivamente chiarimenti al contribuente ed osservare il termine dilatorio di cui all'art. 37-bis, co 1, Dpr 600/73 prima di emettere l'accertamento (Cass. n. 406/2015; 23050/2015).

L'avviso di accertamento emesso prima del termine di sessanta giorni decorrenti dal rilascio del verbale di chiusura della verifica fiscale è nullo, salvo casi di particolare e motivata urgenza; detto termine è posto a garanzia del contradittorio e costituisce espressione dei principi di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente (Cass n. 11613/2017)

Anche la Corte di Giustizia ha ritenuto il contraddittorio quale principio generale di diritto comunitario, riconoscendone la doverosa applicazione ogni volta che l'amministrazione si proponga di adottare un atto lesivo o modificativo della sfera giuridica del destinatario (Corte Ue cause C-192/13 e C-413/13).