L'applicazione temporale delle tabelle di Milano e di quelle normative (artt. 138 e 139 cod. ass.)

Giuseppe Chiriatti
11 Gennaio 2018

Deve ritenersi corretto l'operato del giudice di appello che ha quantificato il danno morale in misura proporzionale pari ad un quarto del danno biologico da invalidità permanente: tale modalità di calcolo è stata per lungo tempo inserita nei criteri tabellari uniformi di liquidazione del danno elaborati dal Tribunale di Milano.
Massima

L'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice del merito di liquidare il danno in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (nel caso di specie, deve ritenersi corretto l'operato del giudice di appello che ha quantificato il danno morale in misura proporzionale pari ad un quarto del danno biologico da invalidità permanente: tale modalità di calcolo, che è stata per lungo tempo inserita nei criteri tabellari uniformi di liquidazione del danno, elaborati dal Tribunale di Milano e diffusamente adottati dagli Uffici di merito, non può ritenersi violativa del principio giuridico di effettività del ristoro integrale del danno, laddove il danneggiato non adduca, come nel caso di specie, la omessa considerazione di elementi concreti di personalizzazione del danno morale allegati e provati in giudizio, che il Giudice di appello ha espressamente ritenuto indimostrati).

Il caso

Nella sua veste di ricorrente, la vittima di un sinistro stradale si doleva del fatto che la Corte d'appello - nel dichiarare inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di gravame con cui si richiedeva la rideterminazione dell'importo dovuto a titolo di danno morale - avesse confermato la pronuncia del giudice di prime cure che aveva liquidato quel pregiudizio in misura pari ad un quarto del danno biologico permanente, senza considerare come base di calcolo anche l'importo liquidato a titolo di inabilità temporanea.

Ebbene, la Corte di Cassazione – pur ritenendo sufficientemente specifica la doglianza svolta dal ricorrente nell'atto di appello e, dunque, infondata la declaratoria di inammissibilità del gravame – ha nondimeno rigettato il ricorso del danneggiato.

In particolare, la Corte tiene a segnalare come l'allegazione di una differente (e più favorevole) modalità di calcolo del danno non integri, di per sé, una violazione di legge e, nella specie, degli artt. 1226 c.c. e 2056 c.c.

Ricorda, infatti, il relatore che «l'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice del merito di liquidare il danno in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito … dovendo al riguardo tenere in considerazione il Giudice, ove allegati specificamente dal danneggiato, quelle circostanze rilevanti, attinenti alle condizioni soggettive della persona danneggiata e della gravità del fatto».

Pertanto, «una volta che il Giudice di merito ha esternato nella motivazione della sentenza il criterio di liquidazione applicato in concreto, rimane preclusa ogni critica alla scelta del metodo – salvo che la stessa non possa ritenersi del tutto illogica e manifestamente arbitraria –, atteso che in tal caso la censura non prospetta una violazione della norma attributiva del potere ex art. 2056 c.c. ma intende invadere in modo inammissibile l'ambito discrezionale ed insindacabile riservato al Giudice ex art. 2056 c.c.».

Nel caso concreto, continua il relatore, il Giudice di appello «da un lato, ha escluso che il danneggiato avesse allegato e dimostrato circostanze fattuali rilevanti non considerate dal primo giudice; dall'altro, ha dato atto del criterio di liquidazione applicato, ritenendo di determinare il danno morale in misura proporzionale pari ad un quarto del danno biologico da invalidità permanente; tale modalità di calcolo, che è stata per lungo tempo inserita nei criteri tabellari uniformi di liquidazione del danno, elaborati dal Tribunale di Milano e diffusamente adottati dagli Uffici di merito, non può ritenersi violativa del principio giuridico di effettività del ristoro integrale del danno (Cass. civ., Sez. III, Sent. del 19 gennaio 2010n. 702), laddove il danneggiato non adduca, come nel caso di specie, la omessa considerazione di elementi concreti di personalizzazione del danno morale allegati e provati in giudizio, che il Giudice di appello ha espressamente ritenuto indimostrati».

La questione

Ora, da un'attenta analisi della motivazione, potrebbe desumersi che la Corte si sia di fatto limitata a vagliare la doglianza espressamente svolta dal danneggiato in appello e riproposta nel ricorso per Cassazione, e cioè quella secondo cui il giudice del primo grado, liquidando il “danno morale” in misura pari ad un quarto del danno biologico permanente (senza considerare come base di calcolo anche l'importo liquidato a titolo di inabilità temporanea), sarebbe incorso in una violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c..

In altri termini, la Corte si sarebbe limitata a escludere che il giudice del merito fosse incorso nella violazione specificamente dedotta dal ricorrente, richiamando coerentemente il proprio orientamento - di portata generale - secondo cui la scelta del metodo di liquidazione equitativa operata dal giudice del merito ex art. 1226 c.c. non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che la stessa risulti del tutto illogica e manifestamente arbitraria.

D'altro canto, nel confermare – con una motivazione eccessivamente sintetica - il corretto operato del giudice di primo grado, la pronuncia in commento potrebbe ingenerare alcuni pericolosi “equivoci” sulla corretta liquidazione del danno non patrimoniale e, in particolare, di quello che – secondo una formula tralatizia – viene definito “danno morale”.

In particolare, la sentenza parrebbe riaccreditare – ad una prima lettura - un metodo di liquidazione del danno non patrimoniale (e cioè quello di quantificazione “percentuale” del pregiudizio morale in aggiunta al danno biologico) oramai desueto, in quanto superato, a far data dal 2008, dalle “nuove” tabelle redatte dall'Osservatorio per la Giustizia di Milano.

Ma non solo.

Dal testo della pronuncia non è dato comprendere se il ricorrente avesse patito un pregiudizio biologico di lieve o non lieve entità e, ancora, sulla base di quali tabelle tale danno fosse stato effettivamente liquidato dal giudice di primo grado.

Unica informazione rinvenibile nel testo è la data in cui è occorso il sinistro, e cioè il 29 giugno 2001, quando la tabella per il risarcimento dei danni di lieve entità di cui all'art. 5, commi 2 e ss. l. n. 57/2001 (poi confluito nell'art. 139 cod. ass.) non era stata ancora approvata e, addirittura, non era stata neppure introdotta la previsione di una tabella di legge per le lesioni di non lieve entità.

Pertanto, un'acritica lettura della sentenza in commento potrebbe ingenerare un ulteriore equivoco, e cioè che il richiamo a quel metodo di liquidazione “desueto” possa essere in qualche modo giustificato da ragioni temporali che impongono di applicare i criteri di liquidazione “vigenti” al momento dell'illecito.

Sia dunque consentito qui svolgere alcune considerazioni di ordine generale, al fine di fugare gli eventuali fraintendimenti che la sentenza in commento potrebbe ingenerare rispetto all'attuale contesto giurisprudenziale e normativo.

Ma procediamo con ordine.

Le soluzioni giuridiche

Un breve excursus: le tabelle di Milano, dalle Sezioni Unite del 2008 alla “sentenza Amatucci”

Come noto, a seguito dell'intervento nomofilattico della Cassazione del 11 novembre 2008 (Cass. civ., Sez. Un., nn. 26972, 26973, 26974, 26975), l'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano ritenne che la liquidazione, in via percentuale, di un'autonoma voce di danno “morale” in aggiunta al pregiudizio biologico (così come previsto dalle tabelle in uso fino a quel momento) non fosse più adeguata e, al fine di ossequiare la “nuova” definizione di danno non patrimoniale coniata dalle Sezioni Unite, decise di individuare nuovi criteri che consentissero di pervenire ad quantificazione unitaria e onnicomprensiva del danno biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione del diritto alla salute.

In particolare, l'Osservatorio ritenne di poter pervenire ad una liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato risarciti a titolo di danno biologico “standard”, di “personalizzazione del danno biologico” e di “danno morale”, mediante il ricorso ad una tabella di valori monetari “medi”(che tengono conto di quelle conseguenze ordinariamente ricorrenti sotto il profilo anatomo-funzionale, relazionale nonché in termini di sofferenza soggettiva) e con l'espressa previsione di una percentuale di aumento di tali valori, al fine di consentire una liquidazione adeguata rispetto alle caratteristiche del caso concreto (così la nota esplicativa delle tabelle).

L'Osservatorio decise altresì di procedere ad una “quantificazione” unitaria dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico e morale temporaneo, individuando un valore monetario “standard” (corrispondente ad un giorno di invalidità) e prevedendo, anche in questo caso, la possibilità di personalizzare l'importo base.

In altri termini, vuoi con riferimento al danno biologico permanente vuoi con riguardo a quello temporaneo, i valori monetari medi individuati dalle “nuove” tabelle di Milano devono ritenersi comprensivi di tutte quelle conseguenze non patrimoniali (ivi compresa la sofferenza soggettiva) ordinariamente connesse alla lesione del diritto alla salute, salva la possibilità di “personalizzare” l'importo ove il danneggiato alleghi e provi circostanze che esorbitino dalla comune eziologia del danno biologico.

Ebbene, la riforma delle tabelle Milanesi, ispirata dall'esigenza dichiarata di voler tradurre nella prassi i principi enucleati dalle Sezioni Unite, venne subito accolta da numerosi uffici giudiziari, tanto da assurgere, per effetto della nota “sentenza Amatucci” (Cass. civ., n. 11408/2011), a parametro uniforme di liquidazione per tutto il territorio nazionale.

Ciò almeno nei limiti in cui non sia la legge a prevedere specifici criteri di liquidazione, come nell'ambito della responsabilità da circolazione stradale (artt. 138 e 139 cod. ass.) e in quello sanitario (in forza del richiamo agli artt. 138 e 139 cod. ass. operato dapprima dall'art. 3, comma 3 d.l. n. 158/2012 e, successivamente, dall'art. 7 comma 4 l. n. 24/2017).

Ed infatti, in quei particolari ambiti di responsabilità (caratterizzati da una “sinistrosità diffusa”) il legislatore ha ritenuto di introdurre specifici criteri liquidativi volti a “calmierare” i valori risarcitori e ciò al fine di garantire a tutta la platea dei potenziali danneggiati un equo ristoro del pregiudizio patito.

Potremmo, dunque, affermare che, in ambito automobilistico e sanitario, il concetto di “equità” assume dei contorni specifici e che, pertanto, il meccanismo di liquidazione ex artt. 138 e 139 cod. ass. esprime dei valori risarcitori maggiormente aderenti a ciò che, in quelle specifiche aree di responsabilità civile, deve essere oggi ritenuto “equo”.

È noto, peraltro, come l'art. 138 cod. ass. (rubricato “Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità”) sia rimasto ancora inattuato (per una ricognizione dei criteri di liquidazione di cui all'art. 139 cod. ass. sia invece consentito rinviare a SPERA, Liquidazione danno non patrimoniale per lesioni micro permanenti, in Ridare.it, 28 agosto 2017).

Pertanto, nelle more dell'approvazione della tabella di cui all'art. 138 cod. ass., per la quantificazione dei pregiudizi di non lieve entità il giudice dovrà utilizzare le tabelle di Milano anche in ambito automobilistico e sanitario

L'applicazione temporale delle “tabelle milanesi” …

Ciò chiarito in termini generali, occorre rilevare come le tabelle di Milano, nei limiti in cui le stesse risultino concretamente applicabili secondo il riparto di cui sopra, ben possano essere impiegate anche nei giudizi aventi ad oggetto fatti avvenuti prima del 2008.

In tal senso si è espressa la Cassazione quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimazione del danneggiato ad impugnare la sentenza di primo grado per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio sulla base dei nuovi criteri tabellari approvati dall'Osservatorio di Milano nel 2008.

Ebbene, in quel caso (Cass. civ., n. 25485/2016) il Collegio ritenne che al quesito dovesse darsi risposta affermativa, atteso che «la variazione tabellare non incide sull'accertamento (an) dell'”eventum damni” (ossia sul diritto al risarcimento) ma soltanto su criteri logici orientativi ed esplicativi del potere discrezionale di liquidazione equitativa».

In particolare, precisava la Corte, «la modifica delle Tabelle milanesi è intervenuta a variare in modo determinante i criteri di valutazione del danno non patrimoniale» e ciò «rende immediatamente palese “ictu oculi” la inadeguatezza del risarcimento determinato dal primo Giudice alla stregua dei criteri tabellari divenuti desueti».

In termini non dissimili, del resto, si era espressa la Corte anche in un altro precedente (Cass. civ., n. 7272/2012).

Sulla scorta della giurisprudenza richiamata è dunque possibile affermare che i criteri tabellari elaborati dall'Osservatorio della Giustizia Civile di Milano non concorrono a definire la fattispecie costitutiva del diritto già consolidatosi in capo al danneggiato ma rilevano esclusivamente nella fase quantificazione del credito risarcitorio e, cioè, di un credito di valore, il cui ammontare, fino alla liquidazione definitiva, «varia in dipendenza delle oscillazioni del ‘prezzo' del bene della vita considerato» (così Cass. civ., n. 7697/2014).

Conseguentemente, il giudice che non tenga conto, al momento della liquidazione, delle intervenute variazioni tabellari (come quelle apportate nel 2008) perverrebbe ad una quantificazione definitiva del credito inadeguata e iniqua rispetto al valore attuale (o, quantomeno, ritenuto tale in via “convenzionale”) del pregiudizio patito dal danneggiato.

… e delle tabelle normative (artt. 138 e 139 cod. ass.)

Occorre verificare, a questo punto, se possa giungersi alle medesime conclusioni con riguardo alle tabelle di legge.

Ora, la Corte di Cassazione aveva già avuto modo di approcciare la questione quando fu chiamata a pronunciarsi sull'applicazione retroattiva della tabella per la liquidazione dei danni di lieve entità introdotta – in ambito RCA - dall'art. 5 l. n. 57/2001, che, come noto, trovò attuazione solo a distanza di due anni con l'approvazione del D.M. 3 luglio 2003.

Ebbene, in quel caso (Cass. civ., n. 11048/2009) la Corte di Cassazione ritenne che la tabella di legge non potesse essere applicata retroattivamente, dal momento che la l. n. 57/2001 non lo prevedeva espressamente. In altri termini, in difetto di una specifica deroga normativa, avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 11 delle preleggi. Negli stessi termini si era successivamente pronunciata Cass. civ., n. 11701/2009.

La questione è stata poi nuovamente affrontata da alcune recenti pronunce di merito, con specifico riguardo alla possibilità di applicare la tabella ex art. 139 cod. ass. - per effetto del richiamo operato dall'art. 3, comma 3, d.l. n. 158/2012 (c.d. “Legge Balduzzi”) - anche ai fatti di responsabilità sanitaria avvenuti anteriormente all'entrata in vigore di tale ultima norma. Ed anche con riferimento a quella disciplina, alcuni uffici giudiziari hanno optato per la soluzione contraria all'applicazione retroattiva della norma, in difetto di una specifica previsione in tal senso (tra cui Trib. Udine n. 1429/2015; Trib. Livorno n. 1190/2016)

Ora, la tesi secondo cui i meccanismi tabellari introdotti direttamente dal legislatore non possono trovare applicazione retroattiva non paiono cogliere nel segno.

Ed infatti, procedendo da quanto asserito dalla Cassazione (supra par. 3) con riguardo alle tabelle di Milano - e cioè che le stesse non concorrono a definire la fattispecie costitutiva del diritto risarcitorio già consolidatosi in capo al danneggiato, ma esprimono un mero criterio di “conversione” di quel diritto in valori monetari attuali e ritenuti convenzionalmente equi - non si comprende (in termini logici, prima ancora che giuridici) per quale ragione bisognerebbe attribuire una diversa natura e funzione alle tabelle previste direttamente dalla legge, sottoponendole all'ordinario regime temporale previsto dall'art. 11 delle preleggi.

A ben vedere, l'unica differenza intercorrente tra le tabelle milanesi e quelle normative risiederebbe nel fatto che, mentre le prime assumono una “precettività mediata” dall'intervento ermeneutico della Corte di Legittimità che le ha “elette” (nella loro attuale versione) a parametro uniforme per il corretto esercizio del potere ex art. 1226 c.c., le seconde trovano fonte, invece, in una norma – gli artt. 138 e 139 cod. ass. - immediatamente precettiva, che si pone in termini di specialità rispetto all'art. 1226 c.c., individuando direttamente i criteri di liquidazione equitativa del danno.

Pertanto, scontata questa differenza meramente formale, non si rinvengono ragioni per escludere che le tabelle normative possano trovare applicazione anche con riguardo a fatti avvenuti in data anteriore allo loro introduzione (in favore della medesima conclusione si sono pronunciati alcuni uffici giudiziari, tra cui Trib. Milano, n. 1453/2014 nonché, più di recente, Trib. Ancona, n. 1192/2017).

Il regime temporale del “nuovo” art. 138 cod. ass. (art. 1, comma 18 l. n. 124/2017)

Ora, si è già avuto modo di segnalare come ad oggi abbia avuto attuazione il solo art. 139 cod. ass. e che, conseguentemente, nel liquidare i danni di non lieve entità conseguenti a sinistri stradali e a fatti di responsabilità sanitaria, il giudice dovrà comunque uniformarsi ai criteri di cui alle tabelle di Milano. Ciò, almeno fino a quando non verrà definitivamente approvata la tabella ex art. 138 cod. ass..

Nondimeno, corre l'obbligo di rilevare come la l. n. 124/2017 abbia recentemente apportato alcune rilevanti modifiche alla precedente formulazione dell'inattuato art. 138 cod. ass., disponendo espressamente che la nuova tabella «si applica ai sinistri e agli eventi verificatisi successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto del Presidente della Repubblica» (comma 18).

Ebbene, l'espressa previsione di tale specifico regime temporale, parrebbe confermare quanto da noi sostenuto in precedenza e cioè che le tabelle di legge, al pari di quelle pretorie, hanno la mera funzione di individuare i criteri per la liquidazione equitativa di un credito risarcitorio e, conseguentemente, dovrebbero trovare applicazione anche nei giudizi aventi ad oggetto fatti occorsi in data anteriore alla loro introduzione: diversamente, la disposizione in questione risulterebbe priva di alcun pregio sotto il profilo sistematico.

In altri termini, il legislatore si sarebbe limitato a introdurre, con esclusivo riferimento alla tabella di cui all'art. 138 cod. ass., una specifica deroga ai principi che dovrebbero governare la corretta applicazione “temporale” delle tabelle di legge.

Pertanto, a far data dall'entrata in vigore della nuova tabella, verrebbero a “coesistere” due differenti meccanismi di liquidazione del danno non patrimoniale di non lieve entità (tabella di Milano e tabella ex art. 138 cod. ass.), alternativamente applicabili a seconda del momento in cui è occorso il fatto illecito che ha cagionato il danno.

Occorre tuttavia notare come la disposizione in questione finirebbe per ingenerare un'irragionevole discriminazione tra i soggetti tenuti al risarcimento del danno.

Ed infatti, procedendo dal presupposto secondo cui la tabella ha la mera funzione di tradurre in valori monetari il credito già precedentemente consolidatosi in capo al danneggiato, dovremmo ritenere che, rispetto a tale operazione di “attualizzazione” del credito risarcitorio, il momento in cui lo stesso è sorto dovrebbe essere del tutto indifferente.

Pertanto, una volta che la nuova tabella entrerà in vigore, colui il quale sia chiamato a rispondere di un illecito avvenuto in data anteriore, ben potrebbe avere interesse a denunciare l'illegittimità dell'art. 1 comma 18 l. n. 124/2017 nella parte in cui obbliga il giudice ad utilizzare un criterio di liquidazione del danno (le Tabelle di Milano) differente e più sfavorevole rispetto a quello che verrebbe applicato ove il fatto da cui è conseguito il danno sia avvenuto successivamente all'entrata in vigore della nuova tabella.

Osservazioni

Alla luce di quanto sopra, ben potrà rilevarsi come la pronuncia in commento – nella parte in cui “valida” l'utilizzo di un criterio liquidativo oramai desueto – si ponga in apparente e “pericoloso” contrasto con le regole che presidiano la corretta applicazione delle tabelle pretorie e di legge.

Ed infatti, anche nel giudizio da cui è originata la decisione (avente ad oggetto un sinistro stradale del 2001) avrebbero dovuto trovare applicazione la vigente tabella ex art. 139 cod. ass. o le tabelle di Milano nella loro più recente versione; ciò, lo si ripete, a seconda dell'entità - da noi ignorata - del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato (danno biologico di lieve o di non lieve entità).

D'altro canto, già in premessa si è avuto modo di rilevare come la Corte si sia di fatto limitata a verificare che il giudice del merito non fosse incorso nella violazione espressamente dedotta dal ricorrente. In altri termini, sarebbe stato onere dei contendenti, in ragione del proprio interesse, quello di dolersi ritualmente della mancata applicazione dei “vigenti” criteri tabellari di liquidazione del danno non patrimoniale.

Criteri che rilevano soltanto nella fase di liquidazione equitativa del danno (consentendo al giudice di pervenire ad una quantificazione “attuale” ed “equa” di un credito di valore quale appunto quello risarcitorio), e che, conseguentemente, dovrebbero trovare applicazione, nella loro più recente formulazione, a prescindere dal momento in cui è occorso il fatto da cui è originato il danno.

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