Esenzione IMU riconosciuta per l'immobile concesso in comodato ad altro ente no profit
17 Gennaio 2018
Massima
L'esenzione IMU, prevista dall'art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992 per il caso di utilizzo dell'immobile da parte di enti non commerciali, è applicabile anche nel caso in cui l'utilizzo dell'immobile avvenga da parte di un ente diverso da quello che ne è possessore, purché il titolo in base al quale quest'ultimo utilizzi il bene non crei effetti “distorsivi” rispetto alla ratio della norma. L'esenzione, dunque, spetta all'ente non commerciale che conceda un immobile in comodato ad un altro ente non commerciale per svolgervi attività didattiche, poiché, anche in questo caso, è rispettata la condizione di utilizzo dell'immobile per finalità non commerciali.
Il caso
Un Ente Ecclesiastico civilmente riconosciuto ha presentato ricorso nei confronti del Comune di Reggio Emilia, avverso un diniego di rimborso IMU, di considerevole ammontare, per gli anni d'imposta dal 2012 al 2015. L'Ente possedeva alcuni fabbricati concessi in comodato gratuito ad un altro Ente Ecclesiastico, il quale li utilizzava per l'esclusivo svolgimento di attività didattiche con modalità non commerciali. Il ricorrente, per gli anni di cui trattasi, aveva cautelativamente versato l'IMU sui suddetti fabbricati, pur ritenendoli esenti dall'imposta ai sensi dell'art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2011. In seguito, l'Ente ha inoltrato un'istanza di rimborso al Comune di Reggio Emilia, che l'ha rigettata, motivando con un'interpretazione della norma secondo la quale l'esenzione in questione spetterebbe solo nei casi in cui ente possessore ed ente utilizzatore coincidano. L'Ente Ecclesiastico ha tuttavia trovato ragione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale adìta, la quale, nella sentenza in commento, ha enunciato il principio secondo il quale l'esenzione spetta anche se l'ente possessore e l'ente utilizzatore sono soggetti diversi, purché il titolo in base al quale quest'ultimo utilizzi il bene non crei effetti “distorsivi” rispetto alla ratio della norma. La questione
La questione giuridica verte sull'interpretazione della portata dell'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. i), del D. Lgs. n. 504/1992, espressamente richiamata ai fini dell'Imposta Municipale Propria (IMU) dall'art. 9, comma 8, del D.Lgs. n. 23/2011. La lettera del citato art. 7, comma 1, lett. i) prevede che sono esenti dall'imposta “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni (…) destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive” nonché delle attività di religione e di culto (n.d.r. grassetto aggiunto).In sostanza, l'agevolazione è subordinata sia ad un requisito soggettivo, sia ad uno oggettivo: il primo di tali requisiti prevede che gli immobili debbano essere posseduti da enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. Il secondo requisito (di natura oggettiva) richiede che l'immobile sia destinato esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività di interesse generale, tra le quali compaiono anche le attività didattiche.
La querelle interpretativa dalla quale origina la vicenda si fonda sulla corretta interpretazione del requisito soggettivo, letteralmente connesso allo svolgimento esclusivo, con modalità non commerciali, delle attività di interesse generale individuate dalla norma. Il Comune, nel proprio atto di rigetto, ha fatto proprio un principio espresso anche in diverse pronunce della Corte di Cassazione (specificamente, nell'atto impugnato, il Comune richiama la Cass. civ., sez. trib., 20 luglio 2016, n. 14913.), sostenendo che l'esenzione non spetta nel caso di utilizzazione indiretta dell'immobile, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse. Secondo tale tesi, in sostanza, un “utilizzo indiretto” del bene, attuato mediante un soggetto giuridico diverso dall'ente possessore, ancorché anch'esso ente non commerciale che agisce senza fine di lucro, non rientrerebbe nel perimetro normativo dell'esenzione fiscale.
L'Ente Ecclesiastico, nel proprio ricorso, ha sostenuto l'erroneità e l'illegittimità della suesposta lettura, in quanto la stessa non avrebbe considerato la peculiarità della fattispecie concreta, in cui non vi sarebbe stato alcun effetto “distorsivo” dell'agevolazione, posto che nessuno dei due enti potrebbe trarre ragionevolmente alcun “guadagno”. A supporto della propria tesi il ricorrente ha richiamato una recente pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ. sez. trib., 18 dicembre 2015, n. 25508), a suo dire in “contrasto” [i termini del contrasto, come meglio spiegato infra nel testo sarebbero in realtà solo apparenti; la pronuncia citata dal Comune, infatti, tiene conto del precedente citato dall'Ente Ecclesiastico, giungendo a soluzioni diverse solo in ragione (se ne può desumere) di una peculiarità della fattispecie concreta sottoposta alla Corte] con la pronuncia della medesima Corte enunciata nella tesi difensiva del Comune.
Le soluzioni giuridiche
La sentenza della CTP Reggio Emilia, nel sancire il diritto al rimborso dell'Ente, espone in motivazione una sintetica ma chiara analisi della norma, nonché della giurisprudenza pregressa della Corte di Cassazione in materia. In primo luogo, i giudici emiliani richiamano l'art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201 (convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214), che definisce il presupposto dell'IMU nel “possesso di immobili”. Dal combinato disposto della predetta norma e del citato art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1994, i giudici di Reggio Emilia ricostruiscono il sistema nel senso che non esista una condizione legislativamente espressa a che l'esenzione richiamata possa essere condizionata al fatto che ente possessore ed ente utilizzatore siano gli stessi. La norma agevolativa, si legge nella motivazione, richiede solo che l'immobile, per godere dell'esenzione, sia destinato “esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali” delle attività indicate dalla norma, non richiede che l'ente svolgente l'attività sia lo stesso ente possessore. Ciò posto, la motivazione prosegue analizzando in maniera critica il preponderante orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, che è (rectius, che parrebbe, solo a prima vista, essere) contrario all'orientamento dei giudici emiliani. Tale orientamento dei giudici di legittimità è infatti ancorato al concetto di “utilizzazione diretta del bene da parte dell'ente possessore” come condizione per godere dell'esenzione.
La Commissione emiliana ha, tuttavia, evidenziato come oggetto delle fattispecie decise dalle pronunce della Corte riferibili al suddetto “orientamento preponderante” sono state le ipotesi di locazione del bene ad altro ente (la motivazione richiama, tra le altre, Cass. civ. sez. trib., 20 maggio 2016, n. 10483; Cass. civ. sez. trib., 04 giugno 2014, n. 12495; Cass. civ. sez. trib., 11 giugno 2010, n. 14094.), o di concessione di beni demaniali (per tale fattispecie è richiamata Cass. civ. sez. trib., 17 luglio 2015, n. 15025).
Su tale premessa, i giudici emiliani, mutuando in parte le proprie argomentazioni dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 25508 del 18 dicembre 2015 – la stessa indicata dall'Ente Ecclesiastico nel proprio ricorso – opportunamente analizzano la necessità di distinguere le ipotesi in cui il bene immobile sia locato o concesso a titolo oneroso da quelle in cui invece sia concesso a titolo gratuito. In caso di locazione, concordano i giudici, è certamente individuabile un effetto distorsivo rispetto alle finalità tutelate dalla norma agevolativa (esercizio di attività “protette”), in quanto il possessore utilizza l'immobile per una propria finalità economica produttiva di reddito e non per lo svolgimento delle attività istituzionali di interesse generale L'esenzione, in tale caso, deve correttamente escludersi. Ma dal medesimo principio di diritto, a contrario, deve derivare che l'esenzione sia applicabile a tutte quelle fattispecie nelle quali, pur essendo l'utilizzatore un soggetto distinto dal possessore, il titolo in forza del quale il primo disponga del bene non crei tali effetti distorsivi.
Nel caso di specie, analizza la Commissione emiliana, si tratta di due enti non commerciali e gli immobili sono destinati esclusivamente allo svolgimento di attività didattiche, con modalità non commerciali, vale a dire non lucrative. Infatti, oggetto della pronuncia è stato un contratto di comodato immobiliare che, in quanto gratuito, non crea alcun effetto distorsivo rispetto alla ratio della norma. L'esenzione da IMU si rende, quindi, applicabile Ne consegue la condanna del Comune al rimborso delle imposte versate cautelativamente dall'Ente Ecclesiastico. Osservazioni
La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con un percorso logico-interpretativo lineare, evidenzia come l'applicabilità dell'esenzione ad ipotesi di utilizzo indiretto a titolo gratuito dell'immobile, non sia affatto escluso dalla norma, potendo ben adattarsi alla ratio della stessa, che intende agevolare alcune attività meritorie, di interesse generale, svolte da enti non commerciali. La sentenza in commento impone anche una rilettura più attenta della giurisprudenza di legittimità pregressa, valutando come il “principio giurisprudenziale” che esclude l'esenzione in presenza di effetti distorsivi della norma, imponga di operare una distinzione tra utilizzi indiretti in base a titoli “onerosi” ed utilizzi indiretti a titolo “gratuito”. A bene vedere, la sentenza in commento non espone una tesi del tutto nuova, rifacendosi al principio già espresso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25508 del 18 dicembre 2015. Tuttavia, considerati i dubbi interpretativi che la materia ha suscitato, è auspicabile che tale pronuncia trovi seguito, in direzione di una maggiore ragionevolezza nell'interpretazione della norma.
Per concludere, pare opportuno sottolineare che, ad una attenta lettura, anche la stessa sentenza della Corte di Cassazione, n. 14913 del 20 luglio 2017, fatta propria dal Comune resistente, non nega (come potrebbe sembrare) tout court l'esenzione in caso di utilizzi indiretti: in tale pronuncia la Corte aveva infatti escluso l'esenzione solo in ragione di una peculiarità della fattispecie, in ragione di una specifica norma del regolamento comunale IMU applicabile al caso. |