Doppie imposizioni Italia-Russia: per la residenza prevalgono le relazioni personali

18 Gennaio 2018

Ai sensi della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Federazione russa il cittadino russo che dispone di un'abitazione permanente sia in Russia che in Italia deve considerarsi residente in Italia qualora ivi abbia le relazioni personali ed economiche più strette.
Massima

Ai sensi della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Federazione russa il cittadino russo che dispone di un'abitazione permanente sia in Russia che in Italia deve considerarsi residente in Italia qualora ivi abbia le relazioni personali ed economiche più strette: nel caso di specie il contribuente svolgeva attività di consulenza commerciale in Italia dove aveva anche una relazione sotto forma di convivenza di fatto a Milano.

Il caso

Un contribuente impugnava un avviso di irrogazione sanzioni con cui l'Agenzia delle Entrate contestava la mancata compilazione del quadro RW in relazione ad alcuni investimenti esteri.

Sia la CTP di Milano che la CTR accoglievano le doglianze del contribuente.

In particolare, secondo la CTR, l'art. 4 della Convenzione tra Italia e Russia contro le doppie imposizioni prevede come primo dei criteri risolutivi per risolvere il conflitto di residenza, quello dello Stato contraente in cui il contribuente ha un'abitazione permanente. Nel caso di specie il contribuente aveva dimostrato di essere proprietario di un'abitazione a Mosca dove, nel 2002, era stato presente per 183 giorni; di contro in Italia non possedeva ad alcun titolo una casa di abitazione.

Col successivo ricorso in Cassazione l'Agenzia delle Entrate denunciava violazione dell'art. 4, lett. a) della Convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni, ratificata con Legge n. 372/1997 in quanto la CTR aveva erroneamente ritenuto che l'abitazione permanente vada identificata in relazione alla proprietà o ad altro titolo giuridico di possesso dell'abitazione; in realtà la Convenzione, nel far riferimento al concetto di abitazione permanente, contempla una situazione di fatto e non di diritto, ovvero un luogo in cui il soggetto sia in grado di risiedere stabilmente, a prescindere dal titolo giuridico.

Nel caso di specie il contribuente risiedeva (anche anagraficamente) a Milano nell'abitazione di una signora con cui aveva una stabile relazione affettiva ed al cui mantenimento provvedeva con il versamento di una somma mensile.

Dato il possesso della residenza sia a Mosca che a Milano, ne conseguiva che si sarebbe dovuto fare applicazione della seconda parte della predetta lettera a) dell'art. 4, secondo cui, quando una persona dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti va considerata residente dello Stato nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Oltre ai legami sentimentali, il contribuente esercitava in Italia l'attività di consulente e deteneva anche una partecipazione societaria in una società italiana.

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda l'esatta individuazione del luogo di residenza ai fini della determinazione dello Stato titolare della potestà impositiva nei confronti di un soggetto che in base alla normativa interna era da considerarsi residente sia in Italia che in Russia.

Le soluzioni giuridiche

Gli Stati tendono a prevenire la doppia imposizione attraverso la stipulazione di trattati internazionali ai quali è affidato il compito di definire le regole e i criteri rivolti a ripartire la sovranità in materia fiscale propria degli ordinamenti contraenti sulle persone e sui fatti imponibili.


In merito, è radicata la propensione a uniformare il contenuto delle singole convenzioni a un modello messo a punto dall'Ocse nel 1977, che funge da archetipo per tutti i Paesi aderenti a tale organismo, anche se un'influenza rilevante sulla prassi internazionale è esercitata oggi dal modello elaborato autonomamente dal dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.

L'articolo 4 del modello di convenzione per evitare le doppie imposizioni elaborato dall'Ocse nel 1977 ha lo scopo, come si desume dal Commentario, di definire la locuzione "residente di uno Stato contraente" e di risolvere i casi di doppia residenza. Significativo è l'esempio formulato dallo stesso Commentario. Il caso è quello di in individuo che, pur avendo la sua abitazione permanente nello Stato A, dove vivono sua moglie e i suoi figli, ha abitato per più di sei mesi nello Stato B e, secondo la legislazione di quest'ultimo, è in conseguenza della durata del soggiorno tassato quale residente di tale Stato. Così, entrambi gli Stati pretendono che egli sia pienamente assoggettabile a imposta. In questo caso particolare, l'articolo 4 del modello di convenzione dà preferenza alla pretesa dello Stato A. Ciò non implica, tuttavia, che l'articolo determini speciali regole sulla "residenza" e che la legge interna dello Stato B sia ignorata perché incompatibile con tali regole. Viene semplicemente risolto il conflitto fra due ordinamenti, consentendo di operare una scelta comunemente accettata.

La soluzione del problema di doppia residenza fiscale per le persone fisiche è demandata al paragrafo 2 dell'articolo 4 e, in base al quale quando una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la situazione è determinata nel seguente modo:

  1. detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha un'abitazione permanente. Quando essa dispone di un'abitazione permanente in ciascuno degli Stati contraenti, è considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);
  2. se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente;
  3. se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità;
  4. se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati contraenti o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo.

Tali disposizioni, definite tie-breaker rules, prevedono una serie di criteri per determinare, in ipotesi di doppia residenza, quale dei due Stati contraenti dovrà avere prevalenza nel considerare residente il contribuente.

Il Commentario esamina ciascun criterio. In particolare, abitazione permanente: l'abitazione può essere posseduta a qualsiasi titolo purché il soggetto l'abbia a disposizione continuamente e non occasionalmente allo scopo di un soggiorno di breve durata; l'abitazione, quindi, deve essere stata sistemata e utilizzata per un uso permanente. Centro degli interessi vitali: è il luogo in cui le relazioni personali ed economiche dell'individuo sono più ristrette. Si avrà riguardo alle sue relazioni familiari e sociali, alla sua occupazione, alle sue attività politiche, culturali o di altro genere, alla sede d'affari o a quella dalla quale amministra le sue proprietà.

Nel caso di specie la Cassazione, con la sentenza n. 26638 del 10 novembre 2017, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate: ciò in virtù dell'interpretazione del concetto di abitazione permanente interpretato alla luce della Convenzione OCSE sulla cui base sono stati stipulati i trattati contro le doppie imposizioni.

Tale convenzione accoglie un concetto fattuale di abitazione permanente intesa come alloggio di cui il contribuente può disporre a qualsiasi titolo.

Nel caso di specie tale luogo era identificato a Milano ove il contribuente risiedeva anagraficamente presso l'abitazione della convivente di fatto, ora riconosciuta e disciplinata dalla Legge n. 76/2016.

A seguito dell'accoglimento del ricorso la controversia è stata rinviata ad altra sezione della CTR Lombardia.

Osservazioni

Nell'ordinamento italiano, in tema d'imposte sui redditi, il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 2, comma 2, richiede, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato (da cui consegue la sottoposizione a tassazione dei redditi “mondiali” dei soggetti considerati residenti), tre presupposti, indicati in via alternativa: il primo, formale, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi dell'art. 43 del c.c.; tali elementi devono sussistere per la maggior parte del periodo d'imposta. Ne consegue che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (sul punto cfr., ex multis Cass. civ., n. 29576/2011, n. 24246/2011, n. 14434/2010 e n. 13803/2001).

Sull'interpretazione del concetto di residenza “normale” possono essere di grande aiuto sia la normativa che la giurisprudenza comunitaria perchè, pure in riferimento ad un rapporto non caratterizzato dalla rilevanza delle relative norme e benché la materia delle imposte dirette non rientri nelle competenze dell'Unione, non può negarsi che l'esercizio di tale competenza da parte degli Stati membri non può prescindere dal diritto UE soprattutto per le implicazioni in tema di libertà di circolazione e di potestà impositiva.

In particolare secondo la Corte di Giustizia ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell'interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l'art. 7, n. 1, comma 2, della Direttiva n. 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali.

Di conseguenza, secondo la Corte, la suindicata direttiva deve essere interpretata nel senso che, nel caso in cui una valutazione globale di tutti gli elementi non consenta l'individuazione del centro permanente degli interessi, stante una diversa collocazione geografica dei legami personali e di quelli patrimoniali, i primi devono essere considerati prevalenti.

Ultima considerazione: la scelta del centro degli interessi economici e personali non può rimanere una scelta esclusivamente di tipo “soggettivo”ma deve prevalere, soprattutto per chi è chiamato a controllare, un criterio di effettività e verificabilità. Detto altrimenti il carattere soggettivo ed elettivo della "scelta" dell'interessato rileva principalmente quanto alla libertà di effettuazione della stessa (l'ordinamento deve riconoscere e garantire l'effettivo esercizio della libertà di stabilimento del centro principale dei propri interessi) ma, allorché si deve rilevare quale sia il risultato di quella scelta, la volontà individuale va contemperata con le esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi, di modo che il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato nel luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente, vale a dire in modo riconoscibile dai terzi (si veda

Cass. civ., n. 14434/2010

, e

n. 12285/2005

).

Presuzione di residenza in Italia: la posizione della prassi e della giurispudenza

La Legge n. 244/2007 ha introdotto un comma 2-bis al citato articolo 2, avente spiccata natura antielusiva, in quanto prevede una presunzione di residenza in Italia dei cittadini cancellati dall'anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati black-list: si tratta di una presunzione legale relativa con inversione dell'onere probatorio a carico del contribuente.

In tema di onere probatorio prima la Circolare n. 304/1997 del Ministero delle Finanze, poi la Circolare n. 140/E del 1999, hanno precisato che la norma di cui all'art. 2, comma 2-bis, del TUIR, lungi dall'introdurre un ulteriore status di residenza fiscale, ha previsto una presunzione legale relativa, consentendo al contribuente di dimostrare che al dato formale (della cancellazione dall'anagrafe dei residenti) corrisponda quello sostanziale dell'effettiva residenza in Paesi black-list.

In particolare, su quest'ultimo punto, la Circolare 140 precisa che i contribuenti possono fare ricorso (a contrario) alle medesime circostanze ed elementi probanti suggeriti agli uffici nella precedente Circolare n. 304, dimostrando l'insussistenza in Italia di rapporti ed interessi di tipo personale, professionale ed in genere economico. In pratica tali soggetti potranno utilizzare qualsiasi mezzo di prova atto a dimostrare:

  • la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell'eventuale nucleo familiare;
  • l'iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero;
  • lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l'esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
  • la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione;
  • fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel paese estero;
  • la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel paese estero e da e per l'Italia;
  • l'eventuale iscrizione nelle liste elettorali del paese d'immigrazione;
  • l'assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.;
  • la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.

La Circolare si limita poi a precisare poi che i predetti ed eventuali altri elementi di prova vanno considerati in maniera globale, in quanto il superamento della presunzione legale non può che passare da una considerazione della complessiva posizione del contribuente.

La sentenza n. 20285 del 4 settembre 2013, richiamando alcuni precedenti della giurisprudenza interna (Cass. civ., sent. n. 14434 e n. 12259/2010) e di quella comunitaria (Corte Giustizia UE sentenza 12 luglio 2001, causa C-262/99, ripresa da sentenza 7 giugno 2007, causa C-156/04), pur ribadendo la necessità di una valutazione globale, ha aggiunto un ulteriore elemento di valutazione, desumibile dall'art. 7, comma 2, della direttiva 83/182/CEE: infatti ha chiarito che “ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell'interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l'art. 7, n. 1, comma 2, della Direttiva 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali”.

In base a questa interpretazione, per stabilire il luogo di residenza di un soggetto che abbia legami con più Stati, è necessario operare una valutazione qualitativa (i legami personali prevalgono su quelli professionali) e quantitativa (è necessario che la persona torni regolarmente nel luogo in cui ha tali legami personali).

Nella fattispecie concreta veniva rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate proprio perché la CTR aveva fatto corretta applicazione di tali principi, avendo valutato correttamente gli elementi di fatto forniti dal contribuente (un tennista professionista che aveva trasferito la propria residenza nel Principato di Monaco), ovvero un contratto di locazione relativo ad un appartamento, la regolare corresponsione dei canoni, la congruità delle spese relative alle utenze ecc.

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