Taricco-bis: la CGUE riconosce i principi fondamentali dell'Ordinamento costituzionale italiano

Stefano Loconte
31 Gennaio 2018

L'art. 325, paragrafo 1 e 2, TFUE che sancisce l'obbligo in capo agli Stati membri di adottare di concerto con l'Unione Europea misure di contrasto alla frode e alle altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa, non deve essere interpretato nel senso di riconoscere ai giudici nazionali un potere indiscriminato di disapplicazione della normativa interna in materia di prescrizione penale laddove, quest'ultima, ponga in pericolo l'inflizione di sanzioni penali effettive nei casi di gravi violazioni che mettano in pericolo gli interessi economici dell'Unione.
Massima

L'art. 325, paragrafo 1 e 2, TFUE che sancisce l'obbligo in capo agli Stati membri di adottare di concerto con l'Unione Europea misure di contrasto alla frode e alle altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa, non deve essere interpretato nel senso di riconoscere ai giudici nazionali un potere indiscriminato di disapplicazione della normativa interna in materia di prescrizione penale laddove, quest'ultima, ponga in pericolo l'inflizione di sanzioni penali effettive nei casi di gravi violazioni che mettano in pericolo gli interessi economici dell'Unione; il giudice nazionale, infatti, è tenuto a verificare che da siffatta disapplicazione non consegua un'evidente inosservanza dei principi costituzionalmente garantiti tra cui, in particolare, il principio di legalità che impone la determinatezza delle norme penali e la loro irretroattività.

Il caso

La fattispecie sottoposta all'attenzione della Corte di Giustizia Europea (CGUE) è strettamente connessa ad una precedente sentenza della medesima Corte dell'8 settembre 2015, nella causa C – 105/14, (cd. Sentenza “Taricco”) la quale, in ragione dei principi in essa contenuti, ha indotto la Corte Costituzionale, con l'ordinanza del 26 gennaio 2017 n. 24, a sottoporre in via pregiudiziale alla CGUE – per il tramite del procedimento di cui all'art. 267 TFUE – la questione sulla corretta interpretazione dell'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.

L'antefatto della questione pregiudiziale de qua – presentata nell'ambito di un procedimento penale a carico di M.A.S e M.B relativo a reati in materia IVA – è la soluzione giuridica contenuta nella suddetta sentenza “Taricco” a mente della quale, nel caso di violazioni gravi in materia di imposta sul valore aggiunto, l'istituto italiano della prescrizione – così come disciplinato dagli artt. 160 e 161 c.p. – sarebbe contrario al diritto “unionale” (i.e. in tutte quelle ipotesi in cui i termini prescrizionali impediscano allo Stato membro di rispettare gli obblighi impostigli dall'art. 325 del TFUE), di talché il giudice nazionale, nel rispetto dei diritti fondamentali degli interessati, sarebbe legittimato a disapplicare la normativa interna per un bene superiore: gli interessi finanziari dell'Unione Europea, rappresentati principalmente dalla corretta escussione dell'IVA.

È evidente come un'affermazione di tal genere che riconosce apertis verbis il primato degli interessi europei sul diritto nazionale, ha comportato non poche incertezze rispetto alla sua compatibilità con il principio di legalità dei reati e delle pene, neppure menzionato nella sentenza Taricco.

Come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella suindicata ordinanza, il riconoscimento di un generale potere del giudice nazionale di interpretare l'art. 325 TFUE nel senso di disapplicare la normativa interna sulla prescrizione nell'ipotesi in cui quest'ultima impedisca di infliggere “sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione”, può comportare un impatto notevole nelle pronunce nazionali. Per tale ragione, dunque, la Consulta ha chiesto alla Corte Europea di chiarire la portata della precedente sentenza Taricco, ponendo particolare attenzione al principio di legalità quale principio supremo dell'ordine costituzionale italiano.

La questione

Con l'ordinanza perentoria di cui sopra, pertanto, la Corte Costituzionale ha sottoposto alla competente Corte Europea tre questioni pregiudiziali fondamentali.

Le prime due questioni, trattate congiuntamente dalla CGUE e, la terza, di fatto assorbita dalle precedenti questioni, hanno ad oggetto, in particolare, la corretta interpretazione dell'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE alla luce della possibile violazione del principio di legalità dei reati e delle pene nonché dei suoi corollari della sufficiente determinatezza e irretroattività della legge penale, che discenderebbe dall'obbligo per il giudice nazionale, enunciato nella sentenza Taricco, di disapplicare le disposizioni del codice penale in materia di prescrizione.

La disciplina della prescrizione

La cattiva incidenza delle norme penali in materia di prescrizione sull'effettività della repressione dei reati commessi contro la persona o inerenti la criminalità finanziaria, costituisce una questione altamente dibattuta e per nulla assopita, specialmente quando ad essere lesi – come nel caso di specie – sono interessi sovranazionali.

Al riguardo si rammenta l'atteggiamento assunto dalla Corte EDU nelle sentenze Alikaj e altri c. Italia e Cestaro c. Italia, secondo cui l'applicazione della prescrizione rientra inevitabilmente nella categoria delle misure inammissibili per il diritto “unionale” poiché inadeguata ad assicurare una condanna effettiva.

È necessario precisare, tuttavia, che non è il principio della prescrizione in quanto tale ad essere incompatibile con il diritto dell'Unione, bensì il suo regime, previsto dagli artt. 157 a 161 c.p.

Più specificatamente, si evidenzia come il combinato disposto dell'art. 160, ultimo comma, e dell'art. 161 c.p., nella parte in cui tali norme prevedono che un atto interruttivo della prescrizione possa comportare il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata inziale, è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell'ipotesi in cui tali disposizioni nazionali impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave.

L'istituto della prescrizione riferito ai reati in materia di IVA, peraltro, al momento dei fatti di cui al procedimento principale, non era ancora stato armonizzato a livello di UE – armonizzazione avvenuta solo in un momento successivo con la Direttiva UE 2017/1371 - di talché tale istituto ben poteva (come di fatto è stato) rientrare nel diritto sostanziale così sottostando alle tutele che ne discendono in tema di principio di legalità e irretroattività.

Principio di legalità in materia penale

Il carattere sostanziale della prescrizione, ben evidenziato dalla Consulta nella domanda di pronuncia pregiudiziale, impone necessariamente alcune importanti riflessioni.

In particolare, la natura sostanziale dell'istituto de quo richiede un'attenta valutazione sotto il profilo del rispetto dei principi che governano la materia penale con particolare riferimento al principio di legalità sancito dall'art. 25 della Costituzione e, dei suoi corollari della determinatezza e irretroattività delle norme penali.

Suddetto principio, che sancisce la necessaria predeterminazione legislativa delle fattispecie criminose e delle pene, espressa dal brocardo latino “nullum crimen, nulla poena sine lege” valorizza i caratteri della accessibilità e della prevedibilità delle norme penali per i cittadini e, trova fondamento in ogni ordinamento giuridico nazionale nonchè, a livello europeo, non solo, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 49), ma anche nella Convenzione EDU (art. 7).

Il principio di legalità, dunque, si estende sino al punto di garantire che il cittadino sia in grado di prevedere, con un grado ragionevole di approssimazione in rapporto alle circostanze del caso, le conseguenze che possono derivare da un atto determinato.

Le conclusioni dell'Avvocato Generale

Nonostante il quadro delineato, l'Avvocato Generale alla Corte, Iyes Bot, nelle proprie conclusioni del 18 luglio 2017, ha assunto una posizione di estrema severità nei confronti dell'ordinamento italiano sostenendo, rigidamente, il primato del diritto dell'Unione.

Infatti, l'Avvocato Generale, in un'ottica di efficace repressione dei reati più gravi che ledono gli interessi generali dell'Unione Europea, ha ritenuto che l'art. 325 TFUE dovesse essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare il termine di prescrizione assoluto risultante dal combinato disposto dell'art. 160, ultimo comma, e dell'art. 161, comma 2, c.p. in tutte quelle ipotesi in cui, tale normativa impedisca di infliggere sanzioni effettive nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione Europea.

Appare evidente, dunque, l'atteggiamento di assoluta chiusura dell'Avvocato Bot rispetto alla possibilità che lo Stato, nel voler tutelare le proprie tradizioni costituzionalmente garantite, venga esonerato dagli obblighi imposti dall'ordinamento dell'Unione Europea dall'art. 325 TFUE per la salvaguardia degli interessi finanziari dell'Unione stessa.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Giustizia Europea, con la pronuncia in commento, disattendendo le conclusioni a cui era giunto l'Avvocato Generale, ha mostrato – rispetto a queste ultime e alla precedente sentenza Taricco – una sensibilità sicuramente maggiore nei confronti del diritto nazionale.

In particolare, la Corte ha fatto proprie le indicazioni della Consulta in merito alla natura sostanziale dell'istituto del regime della prescrizione in materia penale che, pertanto, rientra nell'ambito di applicazione del principio di legalità, previsto all'art. 25 della Costituzione italiana. Sulla base di tale presupposto, ha poi affermato che – seppur “spetta in prima battuta al legislatore nazionale” adottare misure di contrasto alle attività illegali lesive degli interessi finanziari dell'Unione Europea – sarà compito del giudice nazionale, nell'inerzia legislativa, valutare in ogni caso se la disapplicazione della normativa interna comporti una violazione dei principi fondamentali della legalità, della sufficiente determinatezza e irretroattività della legge penale.

Osservazioni

La pronuncia in oggetto, che in virtù dell'iter con cui è stata emessa è stata denominata “Taricco – bis”, ha il pregio di aver eseguito un accurato bilanciamento tra le istanze di tutela dei principi di matrice nazionale costituzionalmente garantiti e il primato del diritto dell'unione europea.

Invero, i giudici lussemburghesi nel voler chiarire espressamente che è compito del legislatore nazionale dare attuazione agli obblighi che discendono dall'ordinamento dell'Unione Europea e, quindi, approntare delle misure idonee a garantire la tutela degli interessi finanziari sovranazionali, hanno, da un lato, seguito la scia della sentenza Taricco nella parte in cui legittima il giudice nazionale a disapplicare la normativa interna che ostacola il raggiungimento degli interessi dell'Unione ma, dall'altro lato, ha frapposto un limite a tale disapplicazione da ritenersi possibile solo nei casi in cui dalla medesima non consegua una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa della insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell'applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.

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