Notifica tramite PEC: il formato.doc non ne comporta la nullità quando la procedura abbia raggiunto lo scopo
01 Febbraio 2018
Massima
L'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata (nel caso di specie, del ricorso per cassazione) non ne comporta la nullità se la consegna telematica (ad esempio in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf”) ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo. Inoltre è valido l'accertamento basato sulla verifica della direzione regionale delle Entrate. Anche tali uffici periferici, infatti, hanno poteri di verifica nei confronti dei contribuenti. Il caso
Con una sentenza del 2014 la CTR Sicilia, in accoglimento dell'appello incidentale presentato da una Srl, dichiarava l'illegittimità derivata dell'avviso di accertamento impugnato a causa della incompetenza della Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate nella conduzione della verifica da cui era scaturito l'atto impugnato. Nel decidere la controversia la Cassazione ha in via preliminare rigettato l'eccezione, presentata dalla società controricorrente, di nullità del ricorso in quanto notificato tramite Pec presso il difensore domiciliatario della società contribuente.
Secondo la Corte anche per le notifiche a mezzo PEC si applica il condiviso e consolidato orientamento giurisprudenza della stessa Corte, secondo cui il principio, sancito in via generale dall'art. 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto – la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario. Nel caso di specie la consegna telematica era avvenuta con formato .doc anziché nel formato .pdf (cfr. Cass. civ., SS.UU. n. 7665/2016). Tale scopo era stato raggiunto nella fattispecie concreta visto che la contro ricorrente si era ampiamente difesa con il controricorso.
Nel merito i giudici hanno accolto il ricorso sulla base del principio per cui in tema di accertamenti tributari, il D.L. del 29 novembre 2008, n. 185, convertito in Legge 28 gennaio 2009, n. 2, non ha attribuito alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma ha inteso fondare su norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all'attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertalo, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi (cfr. Cass. civ. nn. 20856/2016 e 20915/2014).
La sentenza della CTR dichiarativa dell'illegittimità dell'avviso di accertamento per incompetenza della Direzione regionale all'effettuazione dell'attività di verifica si è chiaramente discostata da tali principi: di qui la cassazione della stessa con rinvio ad altra sezione per un nuovo esame. Sul punto si ricorda che l'art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 300/1999 assegna all'Agenzia delle Entrate tutte le funzioni “concernenti le entrate tributarie erariali che non sono assegnate alla competenza di altre agenzie,…con il compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l'assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l'evasione fiscale”.
Per lo svolgimento di tali attribuzioni, il legislatore ha riconosciuto all'Agenzia delle Entrate piena autonomia regolamentare, amministrativa e organizzativa. Con riferimento alle direzioni regionali, lo stesso articolo 4, comma 3, del Regolamento di amministrazione, a cui è demandata la disciplina dell'organizzazione e del funzionamento degli uffici, attribuisce alle stesse un potere “operativo” proprio, ulteriore e distinto rispetto a quello, tipico delle strutture di vertice, rappresentato dalle funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo. Nel citato articolo si legge, infatti, che le Dr “svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell'accertamento, della riscossione e del contenzioso”. Le disposizioni del D.L. n. 185/2008, che trovano applicazione soltanto dall'1 gennaio 2009, non hanno attribuito alle strutture di vertice, ossia le direzioni regionali, una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma hanno inteso fondare su norma di fonte primaria (dunque sottratta tanto a eventuali modifiche statutarie quanto a successive modifiche attuate mediante esercizio della potestà regolamentare od organizzativa dell'ente pubblico “Agenzia”) il riparto tra le strutture di vertice di livello periferico (direzioni regionali; direzioni provinciali e uffici dipendenti) delle competenze relative all'attività di verifica fiscale, “istituendo una riserva esclusiva di competenza a favore della Direzione Regionale, in relazione alla rilevanza economico-fiscale del soggetto accertato”. Legittimo quindi l'avviso di accertamento conseguente a un'attività di verifica espletata dalla direzione regionale. Le questioni
La questione che si vuole trattare attiene alla notifica degli atti processuali e sostanziali tramite PEC e la sanatoria per raggiungimento dello scopo. Le soluzioni giuridiche
Il principio, sancito in via generale dall'art. 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni via PEC: il risultato dell'effettiva conoscenza dell'atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l'indirizzo di PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte, determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 15984 del 27 giugno 2017 con cui ha accolto il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, rigettando la pregiudiziale di rito presentata dal contribuente in relazione ad un presunto vizio di notifica del ricorso per Cassazione. Sul punto si ricorda che il terzo comma dell'art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto, per inosservanza di forme, non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato.
Trattasi del principio cosiddetto di “strumentalità” delle forme, in applicazione del quale la nullità (dell'atto o, per quanto d'interesse, della notifica) non discende di per sé dalla violazione della forma, ma dalle conseguenze che il vizio di forma comporta sull'idoneità dell'atto (della notifica) a raggiungere lo scopo cui è preordinato. Poiché lo scopo della notificazione consiste nel portare a conoscenza del destinatario l'atto che lo riguarda, laddove, anche a fronte di un vizio dell'iter notificatorio, detto scopo sia stato comunque raggiunto (perché, ad esempio, l'interessato ha proposto ricorso avverso l'atto la cui notifica si assume viziata), il vizio stesso si considera sanato e non vi è motivo di ripetere la notifica, né tantomeno di annullare l'atto.
Sul punto, costituisce oramai orientamento di legittimità consolidato, quello secondo il quale la validità dell'atto tributario dipende dall'esistenza dei requisiti stabiliti dalle singole leggi d'imposta e non dalla ritualità della sua notificazione. Secondo la Cassazione, infatti, la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo dell'atto amministrativo tributario, “cosicché il vizio di nullità ovvero di inesistenza della stessa è irrilevante ove l'atto abbia raggiunto lo scopo, ad esempio per essere stato impugnato dal destinatario in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l'esercizio del potere impositivo” (tra le più recenti, cfr. Cass. civ., nn. 5057, 9036 e 9358, tutte del 2015).
La Cassazione richiama inoltre il principio del raggiungimento dello scopo affermato, in relazione a tale tipologia di notifica, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7665/2016, secondo cui l'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata (nel caso di specie, del ricorso per cassazione) non ne comporta la nullità se la consegna telematica (ad esempio in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf”) ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. Nel caso risolto dalle Sezioni Unite, i giudici hanno avuto modo di affrontare la questione in relazione all'eccezione sollevata dal ricorrente a cui era stato notificato via PEC il controricorso in formato .DOC, anziché nel formato .PDF previsto dall'art. 12 delle specifiche tecniche. Il ricorrente si era limitato a eccepire la non conformità del formato dell'atto, ma non si era doluto di non aver potuto conoscere il contenuto dello stesso, né aveva contestato la non corrispondenza tra l'atto notificatogli e quello depositato. Secondo la Corte l'eccezione era dunque irrilevante, dato che l'irregolarità non aveva impedito al ricorrente di svolgere le sue difese. Tale autorevole interpretazione consolida l'ormai prevalente orientamento sostanzialista della giurisprudenza di merito, che qualifica come mera irregolarità il mancato rispetto delle forme previste dalle regole del processo telematico, sempreché tali irregolarità non arrechino effettivo pregiudizio al diritto di difesa. Peraltro la Corte evidenzia che, non trovando tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, la denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme di rito ha rilievo solo in ragione del pregiudizio al diritto di difesa che la denunciata violazione può arrecare.
La regola della sanatoria della nullità della notifica per raggiungimento dello scopo, normativamente prevista in relazione agli atti processuali, è costantemente considerata applicabile anche ai vizi della notifica degli atti “sostanziali”, compresi gli atti tributari (tra le più recenti, cfr. Cass. civ. 416, 1301, 2197, 8674 e 14536, tutte del 2015). Osservazioni
Per quanto concerne il processo tributario telematico con decreto 4 agosto 2015 il Ministero dell'Economia e delle finanze – in attuazione dell'art. 3, comma 3, D.M. n. 163/2013 contenente il regolamento che disciplina del processo tributario telematico – ha adottato le prime regole tecniche relative alla costituzione in giudizio nel processo tributario con modalità telematiche, previa notifica del ricorso a mezzo posta elettronica certificata.
Il decreto stabilisce le regole tecnico-operative della fase introduttiva del processo tributario, con riguardo alle seguenti operazioni: a) registrazione e accesso al S.I.Gi.T.; b) notificazioni e comunicazioni; c) costituzione in giudizio; d) formazione e consultazione del fascicolo informatico; e) deposito degli atti e documenti informatici successivi alla costituzione in giudizio; f) pagamento del contributo unificato tributario.
Tuttavia, in una prima fase, che avrà la data di inizio del 1° dicembre 2015, il processo telematico sarà avviato soltanto presso le commissioni tributarie provinciali e regionali della Toscana e dell'Umbria.
Si ricorda che l'art. 3, co. 3, del D.M. n. 163/2013 demandava a uno o più decreti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, sentiti l'Agenzia per l'Italia Digitale e, limitatamente ai profili inerenti alla protezione dei dati personali, il Garante per la protezione dei dati personali, l'individuazione le regole tecnico-operative per le operazioni relative all'abilitazione al S.I.Gi.T., alla costituzione in giudizio mediante deposito, alla comunicazione e alla notificazione, alla consultazione e al rilascio di copie del fascicolo informatico, all'assegnazione dei ricorsi ecc. Il Sistema informativo della giustizia tributaria (Sigit) è la piattaforma informatica attraverso la quale è possibile individuare la Commissione tributaria adita, il procedimento giurisdizionale attivato, il soggetto abilitato, la trasmissione/ricezione degli atti e documenti alla Commissione tributaria competente e la relativa attestazione, nonché la formazione del fascicolo informatico. Possono accedere al Sigit i giudici, le parti, i procuratori e i difensori. Le regole operative per l'abilitazione al sistema, saranno adottate con successivi decreti Mef. Le parti, nel ricorso o nel primo atto difensivo, dichiarano l'indirizzo di posta elettronica certificata che intendono utilizzare, eleggendo, così, il proprio domicilio digitale. Presso l'indirizzo di PEC stabilito, confluiranno tutte le notificazioni e le comunicazioni telematiche. Tali atti si intendono perfezionati con la ricevuta di avvenuta consegna generata dal gestore della posta elettronica certificata del destinatario. Per i professionisti iscritti all'albo, l'indirizzo Pec deve coincidere con quello comunicato ai rispettivi ordini e collegi.
La costituzione in giudizio del ricorrente avviene con il deposito mediante il S.I.Gi.T del ricorso, della nota d'iscrizione a ruolo e degli atti e documenti ad esso allegati, attestato dalla ricevuta di accettazione rilasciata dal S.I.Gi.T. recante la data di trasmissione. Alla costituzione in giudizio del ricorrente e del resistente sono dedicati rispettivamente gli articoli 7 e 8 dell'odierno decreto. In particolare, ai fini della costituzione in giudizio del ricorrente, il soggetto abilitato trasmette al S.I.Gi.T. il ricorso, la ricevuta di PEC che attesta l'avvenuta notifica dello stesso, la procura alle liti, la documentazione comprovante il pagamento del contributo unificato tributario e gli eventuali allegati, previo inserimento dei dati richiesti dal sistema per l'iscrizione a ruolo. Ai sensi del successivo articolo 10 i documenti devono avere i seguenti requisiti:
Gli atti e i documenti informatici prodotti successivamente alla costituzione in giudizio sono depositati esclusivamente mediante il S.I.Gi.T. e devono contenere l'indicazione del numero di iscrizione al registro generale assegnato al ricorso introduttivo. Il deposito degli atti e dei documenti informatici viene attestato mediante la ricevuta di accettazione rilasciata dal S.I.Gi.T. recante la data di trasmissione e l'indicazione della corretta acquisizione dei suddetti atti e documenti informatici al fascicolo informatico. La segreteria della Commissione tributaria forma il fascicolo informatico ai sensi dell'art. 41, comma 2-bis, del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, inserendovi anche le attestazioni rilasciate dal S.I.Gi.T ed ogni altro atto e documento informatico acquisito dal SI.Gi.T. Il fascicolo informatico contiene anche le copie informatiche degli atti e dei documenti cartacei prodotti e acquisiti. Le operazioni di accesso al fascicolo informatico sono registrate e conservate con caratteristiche di inalterabilità e integrità per anni 5 dalla data di passaggio in giudicato della sentenza, in un apposito file di log che contiene le seguenti informazioni: a) il codice fiscale del soggetto che ha effettuato l'accesso; b) il riferimento al documento informatico prelevato o consultato (identificativo di registrazione del documento informatico nell'ambito del Sistema documentale); c) la data e l'ora dell'accesso.
Il Processo tributario telematico è attivo, relativamente ai ricorsi ed appelli notificati a partire dal:
1 dicembre 2015 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Toscana e Umbria; 15 ottobre 2016 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Abruzzo e Molise; 15 novembre 2016 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Liguria e Piemonte; 15 dicembre 2016 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Emilia-Romagna e Veneto. Ora è quindi attivo in tutta Italia: medio tempore si è posto però il problema dell'utilizzo di tali modalità nelle Regioni in cui ancora non era attivo.
A tal proposito la Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 17941 del 12 settembre 2016, ha stabilito che la notifica a mezzo PEC, effettuata dal difensore del contribuente all'Amministrazione finanziaria, di sentenza emessa dalla CTR Campania non è idonea a far decorrere il termine breve per la proposizione del ricorso per Cassazione. La Suprema Corte ha ritenuto che tale modalità di notifica sia da ritenere valida solo dove trovano applicazione le disposizioni previste dal processo tributario telematico per i ricorsi tributari dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali, in base ai decreti ministeriali emessi. La pronuncia fa chiarezza in quanto tra le commissioni tributarie non sempre è stato espresso tale orientamento.
Ad esempio la CTR Marche con la sentenza n. 534/6/2016 aveva stabilito che la sentenza notificata via PEC dal contribuente vittorioso è idonea a far decorrere il termine breve di 60 giorni per l'impugnazione. Di conseguenza deve considerarsi inammissibile l'appello dell'Amministrazione finanziaria notificato oltre il termine di 60 giorni dalla notifica via PEC. Il contribuente, nelle sue difese, aveva eccepito la tardività dell'appello dell'Amministrazione finanziaria spedito il 9 ottobre 2015; il relativo termine “breve”, infatti, a seguito della notifica della pronuncia di primo grado avvenuta via PEC in data 7 luglio, scadeva il successivo 7 ottobre. Infatti, l'art. 51 comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 chiarisce che “se la legge non dispone diversamente il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria è di 60 giorni, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte”.
L'Ufficio aveva sostenuto la nullità della notifica via PEC (con conseguente applicabilità del termine lungo) in quanto la notifica delle sentenze emesse dal giudice tributario deve avvenire secondo le previsioni dell'art. 38 del D.Lgs. n. 546/1992, che richiama una norma (l'art. 16 dello stesso decreto e l'art. 16-bis) le cui modalità di applicazione (ai sensi dell'art. 12, comma 3 del D.Lgs. n. 156/2015) sono rimessi all'emanazione di decreti ministeriali di dettaglio tecnico-operativo. I giudici marchigiani non hanno concordato con tale posizione, ritenendola in aperto contrasto con l'art. 4 del d.P.R. n. 68/2005: di conseguenza hanno respinto l'appello dell'Ufficio.
Per quanto riguarda il formato dei documenti inviati tramite PEC la Cassazione ribalta un orientamento contrario che si stava formando presso le commissioni tributarie. Ad esempio, secondo la CTR Campania (sentenza 9515/11/17) la notifica a mezzo PEC non è valida se effettuata tramite messaggio di posta certificata contenente il file della cartella con estensione diversa da “.p7m”. Quest'ultima è, infatti, l'unica idonea a garantire non solo l'integrità e l'immodificabilità del documento informatico, ma anche la firma digitale e l'identificabilità del suo autore e, pertanto, la paternità dell'atto stesso. La CTR campana ha così accolto l'appello proposto da una società a cui era stata notificata a mezzo PEC una cartella di pagamento da parte di Equitalia per IRPEF 2012. I giudici napoletani affermano, infatti, che, come avvenuto nel caso di specie, la notifica in formato “.doc” o “.pdf” non rappresenta la produzione dell'originale del documento notificato, ma solo una copia elettronica senza valore poiché priva di attestato di conformità da parte di un pubblico ufficiale.
Anche la CTP di Reggio Emilia (con sentenza 204/1/17) ha stabilito che non è valida la notificazione della cartella di pagamento eseguita dall'Agente della Riscossione tramite posta elettronica certificata contenente il file con estensione “PDF”. La CTP di Reggio Emilia spiega come, con la notifica via PEC in formato “PDF”, non venga prodotto l'originale della cartella, ma solo una copia elettronica senza valore poiché priva di attestato di conformità da parte di un Pubblico Ufficiale. Secondo i giudici solo l'estensione “p7m” del file contenente la cartella garantisce la validità della notifica poiché contiene al suo interno il documento originale, l'evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica.
Infine si ricorda l'ordinanza della Corte di Cassazione n. 20672 del 31 agosto 2017 con cui è stata rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di massima di particolare importanza, riguardante gli effetti della violazione delle disposizioni tecniche specifiche sulla forma degli “atti del processo in forma di documento informatico” (o, descrittivamente, nativi informatici) da notificare e, in particolare, sull'estensione del “file” in cui essi si articolano, ove siano indispensabili per valutare la loro autenticità, dovendosi stabilire se esse prevedano, o meno, una nullità di forma e, quindi, se questa sia poi da qualificarsi indispensabile ai sensi dell'art. 156, comma 2, c.p.c., rendendosi – in caso di risposta affermativa del quesito – necessario altresì definire l'ambito di applicabilità alla fattispecie del principio generale di sanatoria degli atti nulli in caso di raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c.. |