Costi da reato: indeducibilità subordinata all'azione del PM

Francesco Spina
15 Febbraio 2018

A mente dell'art. 8, comma 1, D.L. n. 16/2012, l'indeducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, è subordinata all'effettivo esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero o, comunque, alla emissione, al termine dell'udienza preliminare, del decreto che dispone il giudizio, ovvero di una sentenza di non luogo a procedere per prescrizione del reato.
Massima

Nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, comma 1, del TUIR, di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p., fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 c.p.

Il caso

Con avvisi di accertamento emessi sulla scorta di un PVC redatto dalla Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate, recuperava a tassazione, nei confronti di una società di capitali, le detrazioni IVA ed i costi, relativi ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, connesse all'acquisto di autovetture di provenienza comunitaria da società nazionali, considerate fittiziamente interposte.

I ricorsi proposti avverso tali atti impositivi, erano rigettati dall'adita CTP di Lecco.

Tale decisione di Prime cure era, poi, confermata dalla CTR della Lombardia, la quale rigettava l'appello della contribuente e riteneva legittimi gli atti impositivi. Avverso tale decisione di secondo grado, la società di capitali proponeva ricorso per cassazione sulla base di nove motivi.

Nello specifico, con l'ottavo motivo di ricorso, il contribuente rilevava che l'indeducibilità dei costi relativi ad operazioni eseguite sotto un profilo squisitamente soggettivo, presupponeva la configurabilità di un reato e, dunque, l'accertamento – necessariamente ad opera del giudice penale – di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, a tal fine necessario.

In secondo luogo, la società di capitali evidenziava il riparto dell'onere della prova in caso di contestazioni relative ad operazioni inesistenti, con relativo onere gravante sull'Ufficio.

L'intimato l'Ufficio in detta sede di legittimità, non svolgeva alcuna difesa.

La Quinta Sezione della Suprema Corte, investita della controversia, in ordine alla cd. disciplina dei costi da reato, riteneva errata la decisone del secondo giudice.

Difatti, a mente del comma 1 dell'art. 8 D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44), è stato modificato l'art. 14, comma 4-bis, L. n. 537/1993, in forza del quale l'indeducibilità prevista dalla disposizione in rassegna, riguarda i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 del c.p.p., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 del c.p.p., fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 del c.p..

La nuova disciplina, stante l'esplicita previsione in proposito recata dal comma 3 dello stesso articolo 8 si applica, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell'art. 14 della L. 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi. La stessa disciplina è, inoltre, applicabile ai fini IRAP.

Con la riforma si passa, quindi, da una generica riconducibilità del costo ad eventi qualificabili come reato, ad un preciso nesso di causalità, strumentalità diretta e necessaria del fattore produttivo acquisito sostenendo il costo ad una specifica attività delittuosa.

Deve sussistere, quindi, il fine dell'agente di acquisire ad hoc beni e servizi, non disponibili altrimenti, da destinare al compimento di attività qualificata delittuosa.

Se, come nella specie, i beni acquisiti sono finalizzati ad attività lecita, non ne consegue alcun effetto di indeducibilità.

Inoltre deve sussistere, dopo la riforma, l'effettivo esercizio dell'azione penale da parte del pubblico Ministero o il decreto di rinvio ma giudizio del giudice per l'udienza preliminare.

Nel caso di specie, non era stata in alcun modo esercitata l'azione penale da parte del Pubblico Ministero e quindi la ripresa, basata esclusivamente sulla presunta commissione da parte dell'appellante di ipotesi di reato, deve ritenersi del tutto illegittima e come tale va annullata in accoglimento del ricorso proposto.

Per ciò che attiene all'onere della prova, esso compete in prima battuta all'Amministrazione finanziaria e, solo dopo che essa abbia dimostrato tali presupposti per l'esercizio accertativo con conseguente recupero a tassazione, s'innesca un'inversione dell'onere in capo ai contribuenti che devono dimostrare la propria buona fede.

Nel caso in scrutinio, invece, reputa il Collegio che l'Ufficio non abbia compiutamente assolto a detto onere e che, d'altro canto, i Giudici del merito abbiano, ingiustamente, imputato alla società ricorrente il mancato assolvimento di un onere della prova negativo e per ciò stesso inammissibile, cioè la dimostrazione di non essere a conoscenza della frode fiscale nella quale essa era partecipe, senza considerare il mancato, compiuto assolvimento dell'onere preliminare principale, in capo all'ufficio.

Le questioni

Le questioni giuridiche sottese nel caso in esame, sono essenzialmente due.

La prima verte nello stabilire se siano, o meno, ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 del c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 del c.p.p..

La seconda questione esaminata, invece, attiene al riparto dell'onere della prova, laddove l'A.F. contesti l'indeducibilità di costi, scaturiti fatture inesistenti.

Le soluzioni giuridiche

Risoluzione alla prima questione

In seguito ad una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, l'Ente Impositore contestava ad una società la deducibilità di componenti negative relative ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti ex art. 2 D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Avverso tale rilievo, il contribuente evidenziava l'inesistente accertamento della configurabilità del reato di cui si è detto.

Come correttamente affermato dal Giudice di Legittimità, i costi derivanti da attività penalmente illecite, non sono deducibili quando vi è una decisione giurisdizionale, secondo la quale un reato è stato commesso.

Tale disciplina è stata introdotta dall'art. 8 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (decreto semplificazioni fiscali), il quale ha integralmente sostituito il comma 4-bis dell'art. 14 della Legge n. 537/1993, con l'esplicito scopo di mettere ordine nella materia anche con riferimento ai precedenti periodi d'imposta (v. comma 3, art. 8).

Il nuovo testo normativo prevede che nella determinazione dei redditi, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio, direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 del c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 del c.p.p..

La norma in oggetto introduce, di fatto, una pregiudiziale suprema, alla stregua di una condizione obiettiva d'indeducibilità dei componenti negativi di reddito, al sussistere della quale non si porrebbe un tema di inerenza, di effettività o di obiettiva determinabilità della voce di spesa (v. Cass. civ., 26461/2014).

Se nella precedente versione del citato art. 14 L. n. 537/1993 la contestazione d'indeducibilità era, peraltro, collegata al mero invio della notizia di reato ex art. 331 c.p.p.,con la novella il costo sarà indeducibile solo

  1. se riferito all'acquisto di beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento della fattispecie di reato,
  2. il reato dovrà qualificarsi come delitto non colposo (cfr. Cass. civ., 21633/2016) e, soprattutto, la contestazione di indeducibilità presupporrà - quale condizione necessaria
  3. l'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero o il decreto di rinvio a giudizio del giudice per l'udienza preliminare.

In breve, condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente per l'azione del Fisco sarà, in ogni caso, l'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero e l'effettivo rinvio a giudizio (nei casi in cui è prevista l'udienza preliminare) assurgerà a condizione di procedibilità (in senso lato) dell'azione stessa.

L'art. 8 è, dunque, rivolto all'Agenzia delle Entrate (e alle procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, v. Cass. 55102/2017 e Cass. civ., n. 31628/2015), la quale dovrà abbandonare il procedimento, ritirando in autotutela l'atto impositivo, quasi fosse sottoposto a condizione risolutiva, ogni qual volta la richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero si arresti (v. Cass. civ., n. 39541/2017), per una causa diversa dalla prescrizione, in fase di udienza preliminare.

In ragion della formulazione introdotta dal citato art. 8, fatti salvi i limiti derivanti dall'art. 109 d.P.R. n. 917/1986 (ossia i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità), l'acquirente dei beni potrà dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell'ipotesi in cui sia consapevole (v. CTR Lazio Roma 1470/22/2016) del loro carattere fraudolento (v. Cass. civ. 25249/2016).

La nuova disciplina, stante l'esplicita previsione in proposito recata dal comma 3 dello stesso articolo 8 ed in quanto più favorevole di quella previgente perché richiede, per l'indeducibilità dei costi da reato (v. Corte Cost. n. 190/2012), l'ulteriore requisito dell'esercizio dell'azione penale (v. Cass. civ., 28440/2014), trova applicazione retroattiva (v. CTR Lazio Roma 4384/38/2014).

Tale valenza retroattiva è, invece, bloccata dalla sola definitivà, alla data del 2 marzo 2012 (data di entrata in vigore del decreto semplificazioni fiscali), degli avvisi di accertamento.

Va da sé precisare che a mente del comma 2 dell'art. 8 su citato, la disciplina della deducibilità delle componenti negative ricollegate a delitti non colposi, non trova applicazione laddove il costo, sia ricollegato ad operazioni oggettivamente inesistenti (v. Cass. civ., n. 30564/2017), ossia nei casi in cui la prestazione fatturata, non è mai stata posta in essere.

In particolare, nei casi in cui a fronte di una cessione di beni o prestazioni di servizi, mai avvenuta, il contribuente abbia dedotto il costo fittizio documentato da una fattura falsa, l'Amministrazione finanziaria può sempre rettificare il reddito imponibile del verificato, recuperando a tassazione il componente negativo (oltre che l'indetraibilità dell'IVA) in quanto l'operazione è inesistente.

Tornando al caso esaminato dal Supremo Consesso, sebbene la contestazione d'indeducibilità delle componenti negative ricollegate ad operazioni considerate sotto un profilo soggettivo, squisitamente inesistenti, nei confronti del contribuente non era stata in alcun modo esercitata l'azione penale da parte del Pubblico Ministero.

Per l'effetto, in applicazione della novella di cui al citato art. 8 comma 1 D.L. n. 16/2012 ed ai fini delle imposte dirette, i costi sostenuti ed inerenti alle più generali attività delittuose (v. Cass. civ., n. 22108/2014), sono da considerarsi pienamente deducibili (v. Cass. civ., n. 30148/2017), laddove non sia intervenuto l'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero.

Risoluzione alla seconda questione

La seconda questione giuridica sottesa al caso in esame, attiene al riparto dell'onere della prova (v. art. 2697 c.c.), laddove l'Ufficio contesti al contribuente, l'indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRES, in quanto relative ad operazioni inesistenti.

Tanto premesso, qualora l'Ufficio contesti l'emissione o l'utilizzo di fatture inesistenti (v. Cass. civ., n. 12802/2011), è onere dell'Amministrazione provare che l'operazione commerciale in realtà non è mai stata posta in essere (v. Cass. civ., n. 5406/2016), ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi (v. CTR Lombardia, Milano 4195/64/2014), anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione.

In applicazione dei principi generali (v. art. 2697 c.c.) in tema di prova (v. per l'IVA art. 54 co. 2 d.P.R. n. 633/1972, ma analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nell'art. 39 comma 1 lett. d) Dpr 600/1973), essa può ben consistere in presunzioni semplici e/o mediante elementi indiziari (v. Cass. civ., n. 20059/2014, Cass. civ., n .27718/13, Cass. civ., n. 15741/12 e Cass. civ., n. 9108/12).

Ad ogni buon conto, qualora la contestazione consista nell'utilizzo di fatture rese per operazioni non esistenti, l'Ufficio non può limitare il fondamento della propria azione erariale, alla dimostrazione della sussistenza di un preciso e/o ragionevole sospetto, riguardante l'operazione fatturata (v. Cass. civ., n. 23065/2015).

È, invece, onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, nonché la mancanza di consapevolezza di partecipare ad un'operazione fraudolenta (v. Cass. 428/2015), non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture (v. Cass. civ., n .28683/2015) o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (v. Cass. civ., n. 12802/2011).

A titolo meramente esemplificativo, nel quadro probatorio - anche indiziario - che deve essere fornito dall'Amministrazione, possono essere valorizzati i seguenti elementi:

a) la circostanza che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione (cfr. Cass. civ., n. 5912/2010, CGUE 13 febbraio 2014, causa C-18/13);

b) l'immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente) - a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell'attività economica e ad una non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell'operazione (cfr. Cass. 25778/2014, Cass. 24426/2013 e Cass. 6229/2013);

c) la instaurazione di rapporti diretti tra il cedente/prestatore effettivo interponente ed il cessionario/committente, l'assenza di documenti di trasporto (v. Cass. 30148/2017).

Tonando al caso esaminato dai Supremi Giudici, nel caso della ricorrente società il secondo Giudice aveva omesso la specifica indicazione degli elementi indiziari idonei a giustificare la contestazione dell'Ufficio.

A fronte di tale circostanza, il Supremo Consesso ha disposto la cassazione della sentenza della CTR, rinviando alla medesima Commissione Regionale in diversa composizione.

In conformità con il citato indirizzo giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, ha stabilito che a mente dell'art. 8, comma 1, D.L. n. 16/2012 – applicabile retroattivamente in quanto disposizione più favorevole -, l'indeducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, è subordinata all'effettivo esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero o, comunque, alla emissione, al termine dell'udienza preliminare, del decreto che dispone il giudizio, ovvero di una sentenza di non luogo a procedere per prescrizione del reato (v. Cass. civ., n. 30148/2017).

Osservazioni

Con la sentenza in commento, i Giudici della Sezione Tributaria prendono posizione sulla disciplina dei c.d costi da reato, di cui all'art. 8 D.L. n. 16/2012.

Il legislatore, infatti, con la predetta novella, ha introdotto un vaglio preventivo dell'autorità giudiziaria circa la sussistenza della condizione, necessaria all'applicazione del regime di indeducibilità. Per effetto del comma 1 dell'art. 8, qualora sia inoltrata, a seguito di indagini fiscali, la denuncia ex artt. 331 e 347 c.p.p., ma il Pubblico Ministero abbia ritenuto di richiedere l'archiviazione, non si realizza il presupposto per l'applicazione del regime d'indeducibilità.

Sicché, nonostante la denuncia, i costi e le spese sostenute, rimarranno deducibili. Per completezza di narrazione si rammenta che la deduzione dei costi rimane, invece, preclusa (v. comma 4-bis art. 14 L. n. 537/1993), laddove intervenga sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., fondata sulla causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 c.p., ossia prescrizione.

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